L’eccezione e il sovrano. Quando l’emergenza diventa ordinaria amministrazione (di Gaetano Azzariti)

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Montesquieu meglio di ogni altro spiega le disavventure giudiziarie di Bertolaso. Sin dal 1748 il teorico della divisione dei poteri ci ha, infatti, chiarito che “solo il potere arresta il potere”, mentre il sistema della protezione civile si fonda sull’opposto principio del potere libero di intervenire senza assoggettarsi o essere limitato da altri. Perché, allora, stupirsi se ora si verifica che questo è stato esercitato senza freni? Ci si è affidati agli uomini (della protezione civile) e non alle leggi vigenti: ma è ben noto che ciò comporta il rischio dell’assolutismo. I caratteri delle persone – la loro lealtà e correttezza ovvero la loro propensione a delinquere – in questo caso c’entrano poco o nulla. Un potere senza controllo non può che fuoriuscire dalla legalità normativa. “Il potere assoluto corrompe assolutamente”, spiega ancora Montesquieu. Anche Cesare in fondo era un leale servitore di Roma e ad essa aveva dato prestigio e gloria, ma ciò non toglie che, quando ha preteso poteri assoluti, ha corrotto il sistema giuridico romano e si è perduto, trasformando la repubblica in una dittatura, cui si è potuto porre fine solo in modo tragico.
D’altronde una ragione per porsi al di sopra della legge ordinaria c’è (sin dai tempi di Silla e Cesare): è l’emergenza e la salvezza della res publica. Dinanzi alle calamità naturali che pongono in concreto e immediato pericolo la vita dei consociati, quando è in gioco la sopravvivenza della repubblica è possibile conferire poteri straordinari, per il tempo limitato e al solo scopo di superare lo stato di necessità.
La domanda di fondo per comprendere la vicenda che ha coinvolto l’osannato sistema di protezione civile italiano è allora la seguente: i poteri “fuori controllo” sono stati conferiti per ragioni eccezionali e per la difesa di vite, beni e cose essenziali alla popolazione e per la salvaguardia del sistema democratico italiano?
Può discutersi se in origine la legge che ha istituito la protezione civile (n. 225 del 1992) si sia in effetti ispirata alla legge dell’eccezione e alla figura della dittatura commissaria necessarie per fronteggiare una situazione di pericolo estremo. Certo è che i poteri straordinari erano ristretti ai casi di “calamità naturali” e “catastrofi”, sebbene – sin da allora – con l’aggiunta ambigua di “altri eventi che, per la loro intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. Già in origine dunque può individuarsi una breccia in grado di ampliare a dismisura i compiti eccezionali che le calamità naturali e le catastrofi giustificano. In ogni caso è stato questo un sistema complesso che ha passato il vaglio della nostra Corte costituzionale (sent. 127 del 1995), la quale ha sottolineato la possibilità di un uso di poteri d’ordinanza in deroga alle disposizioni vigenti purché adeguatamente limitato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
La questione però ora si pone su un altro piano e riguarda il seguito e il progressivo ampliarsi dei poteri d’eccezione. Anzitutto, per l’interpretazione estensiva che ha avuto la formulazione originaria della legge che permetteva l’attribuzione dei poteri in deroga. Essa è passata (attraverso la breccia degli “altri eventi”) dal delimitato campo delle calamità naturali alla gestione delle più diverse emergenze. Prima l’emergenza rifiuti, poi l’emergenza immigrazione, infine una generale e indeterminata emergenza economico-sociale. Si è assistito insomma a una progressiva traslitterazione di senso che ha condotto ad ampliare progressivamente la possibilità di un uso straordinario dei poteri.
Ma un vero punto di svolta è avvenuto quando, nel 2001, è stato approvato un decreto-legge (n. 343) che ha spalancato le porte a una concezione palesemente impropria dell’emergenza. Non più solo un fatto specifico di carattere straordinario e imprevedibile, bensì ogni possibile “grande evento” può oggi rendere possibile l’uso di ordinanze in deroga alla legislazione vigente e l’assegnazione dei poteri straordinari alla protezione civile. E’ evidente che in tal modo si consegna alla valutazione politica del Governo, che deve dichiarare quando ci si trova dinanzi ad un “grande evento”, l’uso potenzialmente generalizzato dei poteri straordinari. Facendo fatalmente venir meno il rapporto tra regola ed eccezione. Basta scorrere l’elenco delle decisioni governative che hanno dichiarato “grandi eventi” manifestazioni, forse “importanti”, ma certamente non necessarie alla difesa di vite, beni e cose essenziali alla popolazione o alla salvaguardia del sistema democratico italiano. I campionati mondiali di ciclismo o di nuoto, la preparazione della riunione del G 8, la giornata delle gioventù, l’elezione del pontefice, una regata della coppa America, il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, il congresso eucaristico nazionale a Bari, un incontro dell’Associazione cattolica italiana, la beatificazione di madre Teresa di Calcutta, il vertice tra la Nato e la Federazione russa, le celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità d’Italia, sono alcuni dei casi che il Governo ha ritenuto dovessero essere affrontati conferendo poteri straordinari alla protezione civile, in deroga alla normativa vigente.
Così, l’eccezione si traduce in regola, la deroga alla legge diventa norma permanente ed effettiva, lo stato di diritto può in ogni momento essere sospeso in forza di una decisione politica del Governo. E il Governo trova un comodo strumento per “fare”, senza controlli e senza confronti: estraneo il Capo dello Stato alla decisione del Consiglio dei ministri nel dichiarare l’emergenza, escluso il passaggio parlamentare e il confronto con le opposizioni, che la nostra Costituzione prevede in ogni ipotesi, persino nei casi straordinari di necessità e d’urgenza in cui il Governo adotta decreti-legge. Un solo limite al potere d’emergenza sembra permanere: quello della magistratura.
Per completare dunque la trasformazione del sistema e conquistare definitivamente l’assolutezza del potere è parso necessario affrancare l’esercizio del potere d’ordinanza in deroga dal controllo della magistratura. Ed infatti, con un altro decreto-legge nel 2008 (n.90) si “interpreta” la norma ordinaria nel senso che le ordinanze adottate per l’ormai ordinaria emergenza sono sottratte al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Anche i passaggi successivi sono già stati linearmente definiti, nel decreto-legge in corso di conversione: sottrarre la protezione civile alle regole di diritto pubblico (ritenendo – almeno sino al recente ripensamento – di trasformare la sua struttura operativa in una società alle dirette dipendenze della presidenza del consiglio) e ostacolare il sindacato giurisdizionale (escludendo – con previsione apertamente incostituzionale – sino al 31 gennaio 2011 di poter intraprendere azioni giudiziarie e arbitrali nei confronti delle Strutture commissariali che hanno operato in Campania).
Giunti a questo punto è chiaro che non ci si trova dinanzi a semplici abusi (sempre che siano effettivamente accertati dall’autorità giudiziaria competente), bensì di fronte a un sistema di governo in via di formazione, che tende ad affermare l’assolutezza del potere. Fuori dallo stato di diritto e dai suoi vincoli, entro una cultura del fare che non può arrestarsi per rispettare le regole, ma che ambisce solo al risultato. E’ il fine che può giustificare l’uso di ogni mezzo possibile. Un ritorno al Principe che può ascoltare i suoi consiglieri (si parva licet componere magnis: ieri Macchiavelli, oggi Bertolaso), ma che alla fine decide in solitudine e senza vincoli. E’ la via, oramai scomposta, dell’eccezione, che come ci ricorda il massimo teorico dello stato d’eccezione, Carl Schmitt, coinvolge sempre il problema più profondo ed essenziale del potere per come si configura in concreto. Poiché chi decide nell’eccezione, cioè nel caso non regolato dal diritto, diventa il vero sovrano. Oggi avvertiamo che in gioco è la sovranità. A chi spetta? La Costituzione dice che essa appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione stessa; secondo altri alla protezione civile, che la esercita nelle forme e nei limiti decisi dal Principe.