Sulla dottrina marxista dello Stato. Una nota nel centenario della Rivoluzione d’ottobre

Già Professore Odinario di Economia politica – Università di Roma “La Sapienza”

ABSTRACT

ITA

La nota discute criticamente la dottrina marxista dello Stato quale venne sviluppata da Lenin alla vigilia dello scoppio della Rivoluzione d’ottobre sulla base delle idee principali di Marx ed Engels sulla questione. Si argomenta che questa dottrina, a partire dalla sua tesi centrale di un’incompatibilità tra la nozione di Stato e quella di libertà, non ha reso nel complesso un buon servizio alla causa della classe lavoratrice nel capitalismo.

EN

This brief note discusses critically the Marxist doctrine of the State as was developed by Lenin just before the outbreak of the October Revolution on the basis of the chief writings of Marx and Engels on the question. It is argued that this doctrine – notably its basic tenet that while the State exists there is no freedom and when there will be freedom there will be no State – has hardly helped to advance the cause of the working class under capitalism.


Sommario1. Due compiti della sinistra; 2. Una cultura borghese illuminata e la sua estinzione; 3. Sulle basi culturali dell’azione politica della sinistra; 4. La tesi dell’incompatibilità tra “Stato” e “libertà”; 5. Dottrina marxista dello Stato ed esperienza storica; 6. Influenza negativa della dottrina.

1. Due compiti della sinistra

Fino a una quarantina di anni fa, all’interno del capitalismo industrialmente avanzato, nella sinistra era ancora diffusa la consapevolezza che ciò che poteva indurre i capitalisti e i loro rappresentanti a fare delle concessioni importanti sul terreno economico era solo il timore di perdite maggiori, o addirittura il timore di perdere tutto. In generale, dunque, che i suoi compiti avrebbero dovuto essere sostanzialmente due: riuscire a tenere sempre vivo questo timore; sapere di volta in volta come sfruttarlo, ossia avere chiari i programmi e le misure necessarie a migliorare, attraverso l’intervento dello Stato, le condizioni di vita e di lavoro dei salariati e delle masse popolari – in pratica, le misure necessarie a migliorare il funzionamento stesso del capitalismo. Veniva al riguardo tenuto presente, da un lato, che a fronte di livelli di attività stabilmente elevati, quindi anche di una massa di profitti stabilmente elevata, i capitalisti e i loro rappresentanti avrebbero potuto col tempo abituarsi a considerare come normale un minor saggio di rendimento del capitale, finendo per accettare margini di profitto più contenuti e una minore quota dei redditi da capitale e impresa nel prodotto; dall’altro, che una parte della borghesia, la parte più istruita e socialmente sensibile, avrebbe anch’essa ricavato senso di tranquillità e di benessere da un contesto culturale e sociale non eccessivamente degradato e sufficientemente coeso; quindi, che avrebbe potuto essere indotta a sostenere, piuttosto che a contrastare, misure di riformismo socialdemocratico.

Continua su PDF