CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE E DIRITTO DI SOGGIORNO DEI CITTADINI EXTRACOMUNITARI

La Corte di Giustizia delle Comunità europee si pronuncia sul diritto di soggiorno di un cittadino terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro e colpito da divieto di ingresso e soggiorno in tale Stato; sul concetto di “abuso”, al fine di godere dei diritti comunitari; sul diritto al rispetto della vita familiare, di cui all’art. 8 CEDU.

SENTENZA DELLA CORTE
23 settembre 2003 (1)
«Libera circolazione dei lavoratori – Cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro – Coniuge colpito da divieto di ingresso e di soggiorno in tale Stato membro – Stabilimento temporaneo della coppia in un altro Stato membro – Stabilimento ai fini di conferire al coniuge il diritto di ingresso e di soggiorno nel primo Stato membro in forza del diritto comunitario – Abuso»
Nel procedimento C-109/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Immigration Appeal Tribunal (Regno Unito), nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Secretary of State for the Home Department
e
Hacene Akrich
domanda vertente sull’interpretazione del diritto comunitario in materia di libera circolazione delle persone e di diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro,
LA CORTE,
composta dal sig. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, dai sigg. J.-P. Puissochet, M. Wathelet, R. Schintgen e C.W.A. Timmermans, presidenti di sezione, dai sigg. D.A.O. Edward, A. La Pergola e P. Jann, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric (relatore), e dal sig. S. von Bahr, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
viste le osservazioni scritte presentate:
– per il sig. Akrich, dal sig. T. Eicke, barrister, su incarico dei sigg. D. Flynn, Joint Council for the Welfare of Immigrants e D. Betts, solicitor;
– per il governo del Regno Unito, dal sig. J. E. Collins, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra E. Sharpston, QC, e dal sig. T. R. Tam, barrister;
– per il governo ellenico, dalle sig.re I. Galani-Maragkoudaki e S. Vodina, in qualità di agenti;
– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra C. O’Reilly, in qualità di agente,
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali del sig. H. Akrich, rappresentato dall’avv. T. Eicke, del governo del Regno Unito, rappresentato dal sig. J. E. Collins, assistito dalla sig.ra E. Sharpston, del governo ellenico, rappresentato dalle sig.re I. Galani-Maragkoudaki e E.-M Mamouna, in qualità di agenti, e della Commissione, rappresentata dalla sig.ra C. O’Reilly, all’udienza del 5 novembre 2002,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 febbraio 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con ordinanza 3 ottobre 2000, pervenuta in cancelleria il 7 marzo successivo, l’Immigration Appeal Tribunal (Commissione di secondo grado per i ricorsi in materia di immigrazione) ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, due questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione del diritto comunitario in materia di libera circolazione delle persone e di diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino di uno Stato membro.
2.
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra il Secretary of State of the Home Department (in prosieguo: il «Secretary of State») ed il sig. Akrich, cittadino marocchino, vertente sul diritto di quest’ultimo di entrare e soggiornare nel Regno Unito.
Contesto normativo
Diritto comunitario
3.
L’art. 39 CE, nn. 1-3, dispone quanto segue:
«1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.
2. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:
(…)
b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri;
(…)».
4.
La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), agli artt. 1, 2, e 3, nn. 1 e 2, così recita:
«Articolo 1
1. Le disposizioni contenute nella presente direttiva riguardano i cittadini di uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un altro Stato membro della Comunità allo scopo di esercitare un’attività salariata o non salariata o in qualità di destinatari di servizi.
2. Tali disposizioni trovano applicazione anche nei riguardi del coniuge e dei familiari che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle direttive adottati in questo settore in esecuzione del Trattato.
Articolo 2
1. La presente direttiva riguarda i provvedimenti relativi all’ingresso sul territorio, al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, o all’allontanamento dal territorio, che sono adottati dagli Stati membri per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
2. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.
Articolo 3
1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.
2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti».
5.
L’art. 10, nn. 1 e 3, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), dispone quanto segue:
«1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:
a) il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;
b) gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.
(…).
3. Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri».
6.
Contemporaneamente al regolamento n. 1612/68, il legislatore comunitario ha adottato la direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati Membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 13). Secondo il suo primo considerando, tale direttiva è diretta all’adozione di provvedimenti conformi ai diritti e alle facoltà riconosciuti dal regolamento n. 1612/68 ai cittadini di ciascuno Stato membro che si trasferiscono allo scopo di svolgere un’attività subordinata, nonché ai membri delle loro famiglie. Ai sensi del secondo considerando della detta direttiva, la regolamentazione applicabile in materia di soggiorno deve ravvicinare, nella misura del possibile, la situazione dei lavoratori degli altri Stati membri e dei membri delle loro famiglie a quella dei lavoratori nazionali.
7.
Ai sensi dell’art. 1° della direttiva 68/360:
«Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente direttiva, le restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini di detti Stati e dei membri delle loro famiglie ai quali si applica il regolamento (CEE) n. 1612/68».
8.
L’art. 3 della direttiva 68/360 stabilisce quanto segue:
«1. Gli Stati membri ammettono sul loro territorio le persone di cui all’articolo 1 dietro semplice presentazione di una carta d’identità o di un passaporto validi.
2. Non può essere imposto alcun visto d’ingresso né obbligo equivalente, salvo per i membri della famiglia che non possiedono la cittadinanza di uno degli Stati membri. Gli Stati membri accordano a tali persone ogni agevolazione per l’ottenimento dei visti ad esse necessari».
9.
L’art. 4 della direttiva 68/630 dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri riconoscono il diritto di soggiorno sul loro territorio alle persone di cui all’articolo 1, che siano in grado di esibire i documenti indicati al paragrafo 3.
2. Il diritto di soggiorno viene comprovato con il rilascio di un documento denominato carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro della CEE. Tale documento deve contenere la menzione che esso è stato rilasciato in conformità del regolamento (CEE) n. 1612/68 e delle disposizioni adottate dagli Stati membri in applicazione della presente direttiva. Il testo di questa menzione figura in allegato alla presente direttiva.
3. Per il rilascio della carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro della CEE, gli Stati membri possono esigere soltanto la presentazione dei documenti qui di seguito indicati:
– dal lavoratore:
a) il documento in forza del quale egli è entrato nel loro territorio;
b) una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro o un attestato di lavoro;
– dai membri della famiglia:
c) il documento in forza del quale sono entrati nel loro territorio;
d) un documento rilasciato dall’autorità competente dello Stato d’origine o di provenienza attestante l’esistenza del vincolo di parentela;
e) nei casi contemplati dall’articolo 10, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68, un documento rilasciato dall’autorità competente dello Stato d’origine o di provenienza, da cui risulti che sono a carico del lavoratore o che con esso convivono in detto paese.
4. Ai membri della famiglia che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciato un documento di soggiorno di validità uguale a quello rilasciato al lavoratore da cui dipendono».
10.
La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati Membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), riguarda i lavoratori non salariati e i loro familiari.
Diritto nazionale
Considerazioni generali
11.
La normativa del Regno Unito in materia d’immigrazione è sostanzialmente costituita dall’Immigration Act 1971 (legge del 1971 sull’immigrazione) e dalle Immigration Rules (House of Commons Paper 395), (norme sull’immigrazione adottate dal Parlamento del Regno Unito nel 1994) ed in seguito più volte modificate (in prosieguo: le «Immigration Rules»).
12.
Ai sensi delle section 1(2) e 3(1) dell’Immigration Act 1971, chi non è cittadino britannico può, di norma, entrare o soggiornare nel Regno Unito solo se gli viene concessa un’autorizzazione in tal senso. Tali autorizzazioni sono definite, rispettivamente, «autorizzazione all’ingresso» («leave to enter») e «permesso di soggiorno» («leave to remain»).
13.
In forza del paragrafo 24 delle Immigration Rules, i cittadini di taluni paesi, tra cui il Marocco, devono ottenere un previo permesso di entrare («entry clearance») prima dell’arrivo nel Regno Unito. Un permesso di entrare è analogo ad un visto. Per le persone tenute ad ottenere un visto, esso si presenta sotto forma di visto.
14.
Ai sensi della section 7(1) dell’Immigration Act 1988 (legge del 1988 sull’immigrazione), il l’autorizzazione all’ingresso o al soggiorno nel Regno Unito non è richiesto per chi è legittimato ad entrare o a soggiornarvi «in forza di un diritto comunitario che egli può far valere direttamente».
Potere discrezionale del Secretary of State
15.
Il Secretary of State dispone del potere discrezionale di ammettere persone nel Regno Unito, o di autorizzarle a soggiornarvi, anche quando esse non soddisfano le condizioni previste dalle specifiche disposizioni in materia di immigrazione.
Espulsione
16.
Ai sensi delle sezioni 3(5) e 3(6) dell’Immigration Act 1971, chi non è cittadino britannico può, tra l’altro, subire l’espulsione («deportation») dal Regno Unito quando sia stato condannato per un reato punibile con pena detentiva e un tribunale penale ne abbia richiesto l’espulsione.
17.
Una volta che il Secretary of State ha firmato l’ordine di espulsione, ai sensi della section 5(1) dell’Immigration Act 1971, esso produce l’effetto di obbligare la persona interessata a lasciare il Regno Unito, di vietargli l’ingresso nel Regno Unito e di invalidare qualsiasi autorizzazione all’ingresso o al soggiorno che gli sia stata concessa, indipendentemente dal fatto che tale autorizzazione sia stata rilasciata prima o dopo la firma dell’ordine. Gli ordini di espulsione prevedono una misura di allontanamento della persona dal Regno Unito.
18.
Ad una persona che presenta domanda di autorizzazione all’ingresso nel Regno Unito mentre nei suoi confronti è in vigore un’ordine di espulsione, tale autorizzazione dev’essere rifiutata [paragrafo 320(2) delle Immigration Rules], anche se tale persona potrebbe essere, per il resto, legittimata ad entrare. Chi entra nel Regno Unito mentre nei suoi confronti è in vigore un’ordine di espulsione è considerato uno straniero entrato illegalmente [section 33(1) dell’Immigration Act 1971] e come tale è passibile di espulsione dal Regno Unito ai sensi della section 4(2)(c) e dell’allegato 2, paragrafo 9, dell’Immigration Act 1971.
19.
Gli ordini di espulsione hanno durata illimitata. Ai sensi della section 5(2) dell’Immigration Act 1971, tuttavia, il Secretary of State può revocare in ogni momento un ordine di espulsione. Il paragrafo 390 delle Immigration Rules stabilisce che ogni domanda di revoca di un ordine di espulsione deve essere valutata tenendo presenti tutti gli elementi della fattispecie, fra l’altro, i motivi per cui l’ordine è stato emesso, le dichiarazioni presentate a favore della revoca, gli interessi nazionali, compreso il mantenimento di un effettivo controllo sull’immigrazione, e gli interessi del richiedente, comprese le ragioni di ordine umanitario. Le situazioni matrimoniali e familiari sono di norma considerate ragioni di ordine umanitario.
20.
In forza del paragrafo 391 delle Immigration Rules, l’ordine di espulsione non viene di norma revocato a meno che non vi sia stato un mutamento sostanziale delle circostanze o che il trascorrere del tempo non giustifichi la revoca. Ad ogni modo, salvo casi eccezionali, l’ordine di espulsione non è revocato se la persona non è stata assente dal Regno Unito per un periodo di almeno tre anni dal momento dell’adozione dell’ordine.
21.
Il paragrafo 392 delle Immigration Rules chiarisce che la revoca dell’ordine di espulsione non conferisce, di per sé, all’interessato il diritto di entrare nel Regno Unito. Essa gli consente semplicemente di chiedere di entrare nel Regno Unito, conformemente alle Immigration Rules o ad altre disposizioni in materia di immigrazione.
Matrimonio con un cittadino britannico o con un cittadino di uno Stato membro dello Spazio economico europeo (SEE)
22.
Una persona il cui ingresso nel Regno Unito è subordinato all’ottenimento di un’autorizzazione all’ingresso, può richiedere tale autorizzazione facendo valere il proprio matrimonio con una persona, anche un cittadino del Regno Unito, presente e stabilita nel Regno Unito. Le condizioni richieste per il rilascio di tale autorizzazione sono indicate al paragrafo 281 delle Immigration Rules. Tale disposizione prevede, in particolare, al punto vi), che il richiedente deve essere in possesso di un valido permesso di entrare che gli permetta di far ingresso nel Regno Unito in qualità di coniuge.
23.
Ad una persona che soddisfa tutte le condizioni di cui al paragrafo 281 delle Immigration Rules può essere concesso un permesso di entrare e, se quest’ultimo viene rilasciato, tale persona può in seguito richiedere un’autorizzazione all’ingresso al momento dell’arrivo a un posto di frontiera del Regno Unito. Ai sensi del paragrafo 282 delle Immigration Rules, ad una persona che desidera ottenere un’autorizzazione all’ingresso nel Regno Unito in qualità di coniuge di una persona ivi presente e stabilita, può essere concessa, qualora detenga un siffatto permesso d’entrare, un’autorizzazione all’ingresso iniziale, della durata massima di dodici mesi.
24.
Tuttavia, in applicazione dei paragrafi 320(2) e 321(3) delle Immigration Rules, se una persona nei confronti della quale è in vigore un ordine di espulsione chiede di entrare nel Regno Unito in qualità di coniuge di una persona ivi presente e stabilita, le saranno negati il permesso di entrare e, se lo richiede, l’autorizzazione all’ingresso, anche se tale persona, per il resto, sarebbe in possesso dei requisiti per entrare a tale titolo. Questa persona deve ottenere la revoca dell’ordine di espulsione prima che gli possa essere concesso il permesso di entrare o l’autorizzazione all’ingresso nel Regno Unito. Essa può chiedere la revoca dell’ordine di espulsione o prima o contemporaneamente alla domanda di permesso di entrare.
25.
La normativa del Regno Unito in materia di immigrazione non conteneva, inizialmente, una disposizione specifica relativa alla situazione considerata dalla Corte nella citata sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh (Racc. pag. 4265) vale a dire, l’ammissione nel Regno Unito di una persona che dovrebbe normalmente disporre di un’autorizzazione all’ingresso e che vuole entrarvi come coniuge di un cittadino del Regno Unito che rientra o che vuole rientrare nel Regno Unito dopo aver esercitato i diritti derivanti dal diritto comunitario come lavoratore in un altro Stato membro.
26.
Tuttavia, alla luce della citata sentenza Singh, tale persona godeva di un «diritto comunitario che essa può far valere direttamente» ai sensi della section 7(1) dell’Immigration Act 1988 e della section 2 dello European Communities Act 1972 (legge del 1972 sulle Comunità europee), e non era tenuta, in tale qualità, ad ottenere un’autorizzazione all’ingresso nel Regno Unito.
27.
In sostanza, quando una tale persona era «una persona tenuta ad ottenere un preventivo permesso di entrare», essa doveva ottenere tale permesso per essere ammessa nel Regno Unito. Esso le veniva normalmente concesso, ma poteva esserle rifiutato per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. Se essa otteneva siffatto permesso, aveva quindi il diritto, al suo arrivo nel Regno Unito, di esservi ammessa e di soggiornarvi alle stesse condizioni di un familiare di un cittadino di uno Stato dello SEE diverso dal Regno Unito [artt. 3(2) e (3) dell’Immigration (European Economic Area) Order 1994 (ordinanza del 1994 sul’immigrazione proveniente dalla Spazio economico europeo)].
28.
Ai sensi dell’art. 11, n. 1, delle EEA Regulations 2000 (regolamento del 2000 sul diritto d’ingresso e di soggiorno nel Regno Unito dei cittadini dello SEE), tale regolamento di applica ad un «familiare» di un cittadino del Regno Unito come se egli fosse un familiare di un «cittadino dello SEE» qualora siano soddisfatte le condizioni di cui all’art. 11, n. 2. Tali condizioni sono le seguenti:
– dopo aver lasciato il Regno Unito, il cittadino del Regno Unito ha soggiornato in uno Stato membro dello SEE e o vi ha lavorato come lavoratore salariato (non a titolo provvisorio, né occasionale) o vi si è stabilito come lavoratore autonomo;
– il cittadino del Regno Unito non ha lasciato il Regno Unito per permettere al suo familiare di acquisire diritti in forza di tale regolamento e di eludere così l’applicazione della normativa sull’immigrazione del Regno Unito;
– al suo ritorno nel Regno Unito, il cittadino del Regno Unito sarebbe, se fosse un cittadino dello SEE, una persona legittimata a soggiornare nel Regno Unito («qualified person»), e
– se il familiare del cittadino del Regno Unito è il suo coniuge, il matrimonio ha avuto luogo e le parti hanno convissuto in uno Stato membro dello SEE prima del ritorno del cittadino britannico nel Regno Unito.
Causa principale
29.
Nel febbraio 1989, il sig. Akrich, cittadino marocchino nato nel 1967, veniva autorizzato ad entrare nel Regno Unito come turista per un mese. Egli presentava una domanda di permesso di soggiorno come studente, ma tale domanda veniva respinta nel luglio 1989 ed il successivo ricorso veniva respinto nell’agosto 1990.
30.
Nel giugno 1990 egli veniva condannato per tentato furto e per uso di un documento di identità rubato. In forza di un ordine di espulsione emanato dal Secretary of State, egli veniva espulso verso l’Algeria il 2 gennaio 1991.
31.
Nel gennaio 1992, tornava nel Regno Unito usando una falsa carta d’identità francese. Veniva arrestato e nuovamente espulso nel giugno 1992. Dopo essere rimasto fuori dal Regno Unito per meno di un mese, vi faceva ritorno clandestinamente.
32.
Mentre soggiornava illegittimamente nel Regno Unito, egli sposava, l’8 agosto 1996, la sig.ra Helina Jazdzewska, cittadina britannica, e, alla fine dello stesso mese, chiedeva un permesso di soggiorno in qualità di coniuge di un cittadino del Regno Unito.
33.
Dopo essere stato posto in detenzione all’inizio del 1997 in forza dell’Immigration Act 1971, il sig. Akrich veniva espulso, nell’agosto 1997, su sua richiesta verso Dublino (Irlanda), dove sua moglie si era stabilita dal giugno 1997.
34.
Nel gennaio 1998, il sig. Akrich chiedeva la revoca dell’ordine di espulsione e, il mese successivo, un permesso di entrare in qualità di coniuge di una persona ivi stabilita.
35.
In occasione di tale domanda, il sig. e la sig.ra Akrich venivano interrogati da un funzionario britannico dell’ambasciata del Regno Unito in Dublino in merito al loro soggiorno in Irlanda e alle loro intenzioni. Ne emergeva, da una parte, che la sig.ra Akrich aveva lavorato a Dublino dall’agosto 1997 svolgendo, dal gennaio 1998 fino al maggio o al giugno 1998, un impiego a tempo pieno e durata determinata ma prorogabile. Anche il sig. Akrich aveva lavorato nel settore della ristorazione per mezzo di un’agenzia, accettando tutti gli impieghi disponibili. Il fratello della sig.ra Akrich aveva proposto loro una sistemazione nel Regno Unito se vi avessero fatto ritorno, e a quest’ultima veniva offerto un impiego nel Regno Unito a partire dall’agosto 1998.
36.
Da tali colloqui emergeva inoltre che il sig. e la sig.ra Akrich chiedevano un permesso di entrare sul fondamento della citata sentenza Singh. La sig.ra Akrich indicava inoltre, rispondendo ad una domanda, che lei e suo marito avevano intenzione di tornare nel Regno Unito, avendo «sentito parlare di diritti comunitari in base ai quali, restando sei mesi, si poteva in seguito rientrare nel Regno Unito». Essa indicava, come fonte di tale informazione, «solicitors e altre persone nella stessa situazione».
37.
Il 21 settembre 1998, il Secretary of State rifiutava di revocare l’ordine di espulsione. Conformemente alle sue istruzioni, il 29 settembre 1998 veniva negato anche il permesso di entrare, richiesto sul fondamento della citata sentenza Singh. Il Secretary of State riteneva che il trasferimento del sig. Akrich e della sig.ra Akrich in Irlanda non fosse altro che un’assenza temporanea, deliberatamente diretta a far sorgere un diritto di soggiorno per il sig. Akrich al suo ritorno nel Regno Unito e, allo steso modo, ad eludere la normativa nazionale del Regno Unito, e che la sig.ra Akrich non avesse pertanto veramente esercitato i diritti derivanti dal Trattato CE in qualità di lavoratore in un altro Stato membro.
38.
Nell’ottobre 1998, il sig. Akrich proponeva ricorso contro queste due decisioni dinanzi all’Immigration Adjudicator (Regno Unito), che accoglieva il ricorso nel novembre 1999.
39.
Considerando dimostrato, in particolare, che il sig. Akrich e la sig.ra Akrich si erano trasferiti in Irlanda con lo scopo manifesto di esercitare successivamente diritti derivanti dal diritto comunitario che li autorizzavano a ritornare nel Regno Unito, l’Immigration Adjudicator giungeva tuttavia alla conclusione che, dal punto di vista giuridico, vi era stato un esercizio effettivo, da parte della sig.ra Akrich, di diritti conferiti dal diritto comunitario, esercizio che non era stato inficiato dalle intenzioni dei coniugi e che questi ultimi non si erano pertanto avvalsi del diritto comunitario per eludere le disposizioni della normativa nazionale del Regno Unito. Esso dichiarava altresì che il sig. Akrich non costituiva una vera e propria minaccia sufficientemente seria per l’ordine pubblico, tale da giustificare il mantenimento dell’ordine di espulsione.
40.
Il Secretary of State proponeva appello avverso tale decisione dinanzi all’Immigration Appeal Tribunal.
Ordinanza di rinvio e questioni pregiudiziali
41.
Nell’ordinanza di rinvio, l’Immigration Appeal Tribunal ricorda che, al punto 24 della citata sentenza Singh, la Corte ha formulato la seguente riserva:
«Riguardo ai rischi di frode invocati dal governo britannico, è sufficiente rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenze 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, Racc. pag. 399, punto 25 della motivazione, e 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, Racc. pag. I-3551, punto 14 della motivazione), le possibilità offerte dal Trattato CEE non possono avere l’effetto di consentire alle persone che ne fruiscono di sottrarsi abusivamente all’applicazione delle normative nazionali e di vietare agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per evitare tali abusi».
42.
L’Immigration Appeal Tribunal chiede se, accettando la tesi del sig. Akrich, secondo cui ogni provvedimento adottato da uno Stato membro al fine di prevenire un abuso deve essere compatibile con il diritto comunitario, l’Immigration Adjudicator abbia applicato correttamente tale riserva.
43.
Secondo il Secretary of State, la riserva dovrebbe essere presa in considerazione in entrambe le fasi dell’argomentazione del sig. Akrich, così che non sarebbe possibile stabilire se la sig.ra ed il sig. Akrich possano godere dei diritti conferiti ai «lavoratori», né se la portata della deroga fondata sull’«ordine pubblico» consenta l’esclusione del coniuge di un «lavoratore» da uno Stato membro, senza attribuire il dovuto valore al fatto che il fine del preteso esercizio dei diritti conferiti dal diritto comunitario era proprio quello di evitare l’applicazione ordinaria della normativa del Regno Unito sull’immigrazione.
44.
Il giudice del rinvio ritiene che questa sia una questione non chiaramente risolta dalla citata sentenza Singh e che sia quindi opportuno chiedere alla Corte ulteriori chiarimenti.
45.
Alla luce di tali considerazioni, l’Immigration Appeal Tribunal ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«Qualora un cittadino di uno Stato membro sia sposato con un cittadino di uno Stato terzo che, ai sensi della normativa nazionale, non sia legittimato ad entrare o a soggiornare nel detto Stato membro, e con il detto coniuge non cittadino si sposti in un altro Stato membro con l’intento di esercitarvi diritti conferiti dal diritto comunitario lavorando solo per un periodo limitato allo scopo di potere successivamente reclamare, al ritorno nello Stato membro di cui è cittadino, il beneficio di diritti conferiti dal diritto comunitario unitamente al detto coniuge:
1) se lo Stato membro d’origine sia legittimato a considerare l’intenzione di ambedue i coniugi, al momento in cui si spostano in un altro Stato membro, di reclamare il beneficio di diritti tratti dal diritto comunitario al ritorno nello Stato membro di cui il primo dei detti coniugi è cittadino, nonostante che il coniuge non cittadino difetti della legittimazione ai sensi della normativa nazionale, come una pretesa all’applicazione del diritto comunitario per eludere l’applicazione della normativa nazionale;
e
2) In caso affermativo, se lo Stato membro d’origine abbia il diritto di rifiutarsi:
a) di sopprimere tutti i preesistenti ostacoli all’ingresso del coniuge non cittadino nel detto Stato membro (nella specie, un ordine di espulsione vigente); e
b) di concedere al coniuge non cittadino il diritto di entrare nel suo territorio».
Sulle questioni pregiudiziali
46.
Con le sue questioni, che occorre esaminare insieme, il giudice del rinvio mira ad appurare, in sostanza, qual’è la portata della citata sentenza Singh in una situazione come quella di cui alla causa principale.
47.
In tale sentenza la Corte ha dichiarato che le disposizioni dell’art. 52 del Trattato CEE (divenuto, art. 52 del Trattato CE, e, a sua volta, in seguito a modifica, art. 43 CE) e quelle della direttiva 73/148, devono essere interpretate nel senso che esse obbligano uno Stato membro ad autorizzare l’entrata e il soggiorno nel suo territorio del coniuge – indipendentemente dalla sua cittadinanza – del cittadino di tale Stato che si sia recato, con detto coniuge, nel territorio di un altro Stato membro per esercitarvi un’attività subordinata, ai sensi dell’art. 48 del Trattato CEE (divenuto, art. 48 del Trattato CE, divenuto a sua volta, in seguito a modifica, art. 39 CE), e che ritorni a stabilirsi, ai sensi dell’art. 52 del Trattato CEE, nel territorio dello Stato di cui ha la cittadinanza. Secondo il dispositivo di tale sentenza, il coniuge deve godere quantomeno degli stessi diritti che gli spetterebbero, in forza del diritto comunitario, se suo marito (o sua moglie) entrasse e soggiornasse nel territorio di un altro Stato membro.
48.
Le stesse conseguenze derivano dall’art. 39 CE se il cittadino dello Stato membro interessato ha intenzione di ritornare sul suo territorio per esercitarvi un’attività subordinata. Di conseguenza, quando il coniuge è un cittadino di un paese terzo, deve godere quantomeno degli stessi diritti che gli spetterebbero in forza dell’art. 10 del regolamento n. 1612/68 se suo marito (o sua moglie) entrasse e soggiornasse nel territorio di un altro Stato membro.
49.
Tuttavia, il regolamento n. 1612/68 riguarda solo la libera circolazione all’interno della Comunità. Esso non dispone nulla in merito all’esistenza dei diritti di un cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell’Unione, relativi all’accesso al territorio della Comunità.
50.
Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa principale, dei diritti previsti dall’art. 10 del regolamento n. 1612/68, il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell’Unione, deve soggiornare legalmente in uno Stato membro nel momento in cui avviene il suo trasferimento in un altro Stato membro verso cui il cittadino dell’Unione emigra o è emigrato.
51.
Tale interpretazione è conforme all’economia delle disposizioni comunitarie dirette a garantire la libertà di circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, il cui esercizio non può penalizzare il lavoratore migrante e la sua famiglia.
52.
Quando un cittadino dell’Unione stabilito in uno Stato membro, coniugato con un cittadino di un paese terzo che fruisce del diritto di soggiornare in tale Stato membro, si trasferisce in un altro Stato membro per svolgervi un’attività lavorativa subordinata, tale trasferimento non deve far venire meno la possibilità di vivere legalmente insieme, perciò l’art. 10 del regolamento n. 1612/68 conferisce al detto coniuge il diritto di stabilirsi in tale altro Stato membro.
53.
Per contro, quando un cittadino dell’Unione stabilito in uno Stato membro e coniugato con un cittadino di un paese terzo che non gode del diritto di soggiornare in tale Stato membro, si trasferisce in un altro Stato membro per svolgervi un’attività lavorativa subordinata, il fatto che il suo coniuge non abbia il diritto, derivante dall’art. 10 del regolamento n. 1612/68, di stabilirsi con lui in tale altro Stato membro non può costituire un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiavano prima che il detto cittadino dell’Unione fruisse delle possibilità offerte dal Trattato in materia di circolazione delle persone. Pertanto, l’assenza di un tale diritto non è idonea a dissuadere il cittadino dell’Unione dall’esercitare i diritti di circolazione riconosciuti dall’art. 39 CE.
54.
Lo stesso vale quando il cittadino dell’Unione, coniugato con un cittadino di un paese terzo, ritorna nello Stato membro di appartenenza per esercitarvi un’attività lavorativa subordinata. Se il suo coniuge dispone di un diritto di soggiorno valido in un altro Stato membro, l’art. 10 del regolamento n. 1612/68 trova applicazione affinché il cittadino dell’Unione non sia dissuaso dall’intento di esercitare la libertà di circolazione ritornando nello Stato membro di cui è cittadino. Se, invece, il suo coniuge già non dispone di un diritto di soggiorno valido in un Stato membro, l’assenza, in capo a quest’ultimo, del diritto, tratto dal detto art. 10, di installarsi con il cittadino dell’Unione, non produce effetto dissuasivo a tale riguardo.
55.
Quanto alla questione dell’abuso, richiamata al punto 24 della citata sentenza Singh, occorre ricordare che i motivi che hanno potuto spingere un lavoratore di uno Stato membro a cercare un’occupazione in un altro Stato membro sono irrilevanti per quel che riguarda il diritto del lavoratore ad accedere e a soggiornare nel territorio di quest’ultimo Stato, sempreché l’interessato svolga o intenda svolgere un’attività reale ed effettiva (sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 23).
56.
Tali intenzioni non sono pertinenti neppure per valutare la situazione giuridica della coppia al momento del ritorno nello Stato membro di cui il lavoratore è cittadino. Un comportamento del genere non può costituire un abuso ai sensi del punto 24 della citata sentenza Singh, anche se il coniuge, nel momento in cui la coppia si è stabilita in un altro Stato membro, non era titolare di un diritto di soggiorno nello Stato membro di cui è cittadino il lavoratore.
57.
Per contro, si verificherebbe un abuso se ci si avvalesse delle possibilità offerte dal diritto comunitario ai lavoratori migranti e al loro coniuge nell’ambito di matrimoni di comodo contratti al fine di eludere le disposizioni relative all’ingresso ed al soggiorno dei cittadini di paesi terzi.
58.
Quando il matrimonio è autentico e, al momento del ritorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro di cui egli ha la cittadinanza, il suo coniuge, cittadino di un paese terzo, con il quale egli viveva nello Stato membro che lascia, non soggiorna legalmente sul territorio di uno Stato membro, occorre tuttavia tenere conto del diritto al rispetto della sua vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Tale diritto fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, riaffermata inoltre nel preambolo dell’Atto unico europeo e dall’art. 6, n. 2, UE, sono tutelati nell’ordinamento giuridico comunitario.
59.
Benché la CEDU non garantisca, a favore di uno straniero, alcun diritto ad entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato, l’esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come tutelato dall’art. 8, n. 1, di tale convenzione. Una simile ingerenza viola la CEDU a meno che essa non corrisponda ai requisiti di cui al n. 2 dello stesso articolo, cioè a meno che essa non sia «prevista dalla legge», dettata da uno o più scopi legittimi ai sensi della disposizione citata e «necessaria, in una società democratica», cioè «giustificata da un bisogno sociale imperativo» e, in particolare, proporzionata al fine legittimo perseguito (v., in particolare, sentenza 11 luglio 2002, Carpenter, Racc. pag. I-6279, punto 42).
60.
I limiti di ciò che è «necessari[o], in una società democratica», quando il coniuge ha commesso un’infrazione, sono stati messi in evidenza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle sentenze 2 agosto 2001, Boultif/Suisse, (Recueil des arrêts et décisions 2001-IX, §§ 46-56), e 11 luglio 2002, Amrollahi c. Danemark (non ancora pubblicata nella Recueil des arrêts et décisions, §§ 33-44).
61.
Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte nel senso che:
– Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa principale, dei diritti previsti dall’art. 10 del regolamento n. 1612/68, il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell’Unione, deve soggiornare legalmente in uno Stato membro nel momento in cui avviene il suo trasferimento in un altro Stato membro verso cui il cittadino dell’Unione emigra o è emigrato.
– L’art. 10 del regolamento n. 1612/68 non è applicabile quando il cittadino di uno Stato membro e il cittadino di un paese terzo hanno contratto un matrimonio di comodo, al fine di eludere le disposizioni relative all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi.
– In presenza di un matrimonio autentico tra un cittadino di uno Stato membro e un cittadino di un paese terzo, la circostanza che i coniugi si siano stabiliti in un altro Stato membro per godere dei diritti conferiti dal diritto comunitario al momento del ritorno nello Stato membro di cui il primo è cittadino non è pertinente ai fini della valutazione della loro situazione giuridica da parte delle competenti autorità di quest’ultimo Stato.
– Nel momento in cui un cittadino di un primo Stato membro, coniugato con un cittadino di un paese terzo con il quale vive in un secondo Stato membro, ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per ivi esercitare un’attività lavorativa subordinata, se il suo coniuge non fruisce dei diritti previsti dall’art. 10 del regolamento n. 1612/68, non avendo soggiornato legalmente nel territorio di uno Stato membro, le autorità competenti del primo Stato membro devono tuttavia, per valutare la domanda di ingresso e di soggiorno del detto coniuge nel territorio di quest’ultimo Stato, tener conto del diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’art. 8 della CEDU, sempreché il matrimonio sia autentico.
Sulle spese
62.
Le spese sostenute dai governi del Regno Unito ed ellenico, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
pronunciandosi sulle questioni sottoposte dall’Immigration Appeal Tribunal, con ordinanza 3 ottobre 2000, dichiara:
1) Per poter fruire, in una situazione come quella di cui alla causa principale, dei diritti previsti dall’art. 10 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino dell’Unione, deve soggiornare legalmente in uno Stato membro nel momento in cui avviene il suo trasferimento in un altro Stato membro verso cui il cittadino dell’Unione emigra o è emigrato.
2) L’art. 10 del regolamento n. 1612/68 non è applicabile quando il cittadino di uno Stato membro e il cittadino di un paese terzo hanno contratto un matrimonio di comodo, al fine di eludere le disposizioni relative all’ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi.
3) In presenza di un matrimonio autentico tra un cittadino di uno Stato membro e un cittadino di un paese terzo, la circostanza che i coniugi si siano stabiliti in un altro Stato membro per godere dei diritti conferiti dal diritto comunitario al momento del ritorno nello Stato membro di cui il primo è cittadino non è pertinente ai fini della valutazione della loro situazione giuridica da parte delle competenti autorità di quest’ultimo Stato.
4) Nel momento in cui un cittadino di un primo Stato membro, coniugato con un cittadino di un paese terzo con il quale vive in un secondo Stato membro, ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per ivi esercitare un’attività lavorativa subordinata, se il suo coniuge non fruisce dei diritti previsti dall’art. 10 del regolamento n. 1612/68, non avendo soggiornato legalmente nel territorio di uno Stato membro, le autorità competenti del primo Stato membro devono tuttavia, per valutare la domanda di ingresso e di soggiorno del detto coniuge nel territorio di quest’ultimo Stato, tener conto del diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, sempreché il matrimonio sia autentico.

Rodríguez Iglesias Puissochet Wathelet Schintgen Timmermans EdwardLa Pergola Jann Macken Colneric von Bahr
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 settembre 2003.
Il cancelliere
Il presidente
R. Grass
G.C. Rodríguez Iglesias

1: Lingua processuale: l’inglese.