Corte di giustizia, discriminazione diretta fondata sul sesso nel caso di una normativa nazionale che agevoli il licenziamento dei lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia e stabilisca altresì l’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 anni per gli uomini

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

18 novembre 2010 (*)

«Politica sociale – Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e lavoro – Direttiva 76/207/CEE – Art. 3, n. 1, lett. c) – Normativa nazionale che agevola il licenziamento dei lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia – Obiettivo di promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani – Normativa nazionale che stabilisce l’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 anni per gli uomini»

Nel procedimento C‑356/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria), con decisione 4 agosto 2009, pervenuta in cancelleria il 4 settembre 2009, nella causa

Pensionsversicherungsanstalt

contro

Christine Kleist,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev (relatore), A. Rosas, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 settembre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Pensionsversicherungsanstalt, dall’avv. A. Ehm, Rechtsanwalt,

– per la sig.ra Kleist, dall’avv. H. Forcher-Mayr, Rechtsanwalt,

– per la Commissione europea, dai sigg. V. Kreuschitz e M. van Beek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 settembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE (GU L 269, pag. 15; in prosieguo: la «direttiva 76/207»).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Kleist e il suo datore di lavoro, la Pensionsversicherungsanstalt (in prosieguo: la «cassa pensione»), in merito alle condizioni di cessazione del contratto di lavoro della sig.ra Kleist.

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3 La direttiva 76/207, che è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 luglio 2006, 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204, pag. 23), con effetto a decorrere dal 15 agosto 2009, prevedeva, al suo art. 2:

«1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia. .

2. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

– discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;

– discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;

(…)».

4 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), di tale direttiva «(l)’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come [già previsto] dalla direttiva» del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19).

5 L’art. 7, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24), dispone quanto segue:

«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di escludere dal suo campo di applicazione:

a) la fissazione dei limite di età per la concessione della pensione di vecchiaia e di fine lavoro e le conseguenze che possono derivarne per altre prestazioni;

(…)».

Il diritto nazionale

6 Gli artt. 1-3 della legge costituzionale federale relativa all’età pensionabile differenziata per gli assicurati di sesso maschile e per quelli di sesso femminile (Bundesverfassungsgesetz über unterschiedliche Altersgrenzen von männlichen und weiblichen Sozialversicherten) 29 dicembre 1992 (BGBl. 832/1992), sono formulati come segue:

«Articolo 1. Sono legittime le normative che prevedono limiti di età diversi per gli assicurati di sesso maschile e femminile presso il sistema previdenziale pubblico.

Articolo 2. A decorrere dal 1° gennaio 2019, il limite di età a partire dal quale le donne hanno diritto alla pensione di vecchiaia anticipata aumenterà di sei mesi dal 1° gennaio di ogni anno fino al 2028.

Articolo 3. A decorrere dal 1° gennaio 2024 il limite di età fissato agli assicurati di sesso femminile per potere percepire la pensione di vecchiaia aumenterà di sei mesi dal 1° gennaio di ogni anno fino al 2033».

7 La legge generale in materia di previdenza sociale (Allgemeines Sozialversicherungsgesetz) 9 settembre 1955 (BGBl. 189/1955), come modificata (in prosieguo: l’«ASVG»), si applica sia agli operai sia agli impiegati, in forza del suo art. 270. L’art. 253, n. 1, di tale legge prevede che, una volta raggiunta l’età pensionabile ordinaria, di 65 anni per gli uomini e di 60 anni per le donne, il diritto alla pensione di vecchiaia è maturato dall’assicurato qualora sia compiuto il periodo di attesa previsto dall’art. 236 della citata legge.

8 Emerge dalla decisione di rinvio che, in diritto austriaco, la pensione di vecchiaia legale (concessa ai sensi dell’ASVG) non può essere ridotta per il mantenimento di un rapporto di lavoro o per l’esercizio di un’attività professionale indipendente che vada oltre l’età a partire dalla quale matura il diritto a detta pensione.

9 Il contratto collettivo applicabile alla fattispecie è il regolamento speciale B per i medici e gli odontoiatri impiegati presso gli organismi di previdenza sociale austriaci (Dienstordnung B für die Ärzte und Dentisten bei den Sozialversicherungsträgern Österreichs, in prosieguo: il «DO.B»). Tale contratto collettivo stabilisce un regime speciale di licenziamento secondo il quale i lavoratori che hanno cumulato almeno 10 anni di anzianità di servizio nell’organismo presso il quale lavorano possono essere licenziati solo per determinati motivi.

10 L’art. 134 del DO.B è formulato come segue:

« (…)

2. I medici non licenziabili hanno diritto ad essere collocati a riposo quando

(…)

(2) sussiste un diritto alla pensione di vecchiaia ai sensi dell’art. 253 dell’ASVG.

(…)

4. Il consiglio di amministrazione può collocare a riposo un medico non licenziabile quando quest’ultimo

(1) possiede i requisiti di cui al secondo comma, [n.] 2 (…)».

Causa principale e questioni pregiudiziali

11 La sig.ra Kleist, nata nel febbraio 1948, lavorava alle dipendenze della cassa pensione svolgendo la funzione di dirigente medico.

12 La cassa pensione ha deciso di licenziare tutti i collaboratori e le collaboratrici in possesso dei requisiti per il collocamento a riposo previsti dal DO.B. Con lettera del 9 gennaio 2007, la sig.ra Kleist ha informato il suo datore di lavoro di non aver intenzione di andare in pensione al compimento del sessantesimo anno di età, ma di voler lavorare fino all’età di 65 anni. Ciononostante, la cassa pensione le ha comunicato, con nota 6 dicembre 2007, la sua decisione di collocarla a riposo a partire dal 1° luglio 2008.

13 La sig.ra Kleist ha impugnato il proprio licenziamento dinanzi al Landesgericht Innsbruck (Tribunale di Innsbruck). La sentenza di quest’ultimo del 14 marzo 2008, a lei sfavorevole, è stata riformata da una sentenza del 22 agosto 2008 dell’Oberlandesgericht Innsbruck (Corte di appello di Innsbruck), quale giudice d’appello in materia di diritto del lavoro e di diritto sociale. La cassa pensione ha poi presentato ricorso per cassazione (Revision) dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema di cassazione austriaca).

14 L’Oberster Gerichtshof sottolinea che il regime di licenziamento stabilito dal DO.B deroga al sistema generale introdotto dalla normativa austriaca nella parte in cui quest’ultimo prevede che la cessazione unilaterale del rapporto di lavoro è, in linea di principio, ingiustificata. Esso indica tuttavia che non è esclusa l’applicazione della tutela generale contro il licenziamento abusivo prevista, a determinate condizioni, dalla citata normativa qualora attraverso questa cessazione si incida su interessi sostanziali del lavoratore e qualora il datore di lavoro non possa dimostrare motivi attinenti all’azienda o alla persona del lavoratore a giustificare tale cessazione.

15 Il giudice del rinvio illustra inoltre che, nel contesto della valutazione se tale cessazione incida su interessi sostanziali del lavoratore, si considera l’assicurazione previdenziale di cui gode quest’ultimo, in particolare riguardo alla percezione di una pensione di vecchiaia. Orbene, tale stesso criterio è utilizzato nell’ambito della disposizione del DO.B controversa nella causa principale, la quale autorizza il datore di lavoro a disapplicare una tutela contro il licenziamento, rinforzata rispetto a quella derivante dal regime ordinario, ai lavoratori che dispongano di una pensione di vecchiaia, offrendo in tal modo la possibilità di assumere lavoratori più giovani.

16 L’Oberster Gerichtshof nutre dubbi sulla questione se, nell’ambito della valutazione della comparabilità delle situazioni in cui si trovano i lavoratori, il criterio della situazione sociale del lavoratore, applicato dal diritto austriaco in materia di licenziamento, debba essere preso in considerazione allo stesso titolo che il criterio dell’età. Tale giudice rileva che gli uomini e le donne sono trattati allo stesso modo a tale proposito, atteso che essi perdono il beneficio della tutela rinforzata contro il licenziamento accordata dal DO.B dal momento in cui hanno diritto ad un’assicurazione previdenziale.

17 Il giudice del rinvio ritiene che, in considerazione, in particolare, dell’importanza della discrezionalità degli Stati membri nella realizzazione delle misure di politica occupazionale, le questioni di diritto sollevate nella causa di cui è investito non siano sufficientemente chiarite dalla giurisprudenza della Corte da consentirgli di adottare una decisione.

18 In tale contesto, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva [76/207] debba essere interpretato nel senso che — nel contesto di un regime di diritto del lavoro in cui la tutela generale dal licenziamento dei lavoratori è improntata alla dipendenza sociale (finanziaria) di questi ultimi dal posto di lavoro — esso osta alla disposizione di un contratto collettivo che prevede, oltre alla tutela generale dal licenziamento sancita dalla legge, una tutela speciale solo fino al momento in cui solitamente viene fornita una garanzia sociale (finanziaria) mediante il diritto ad una pensione di vecchiaia, qualora quest’ultima maturi in tempi diversi per gli uomini e per le donne.

2) Se l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva [76/207] osti, nel contesto del descritto regime di diritto del lavoro, alla decisione di un datore di lavoro pubblico di licenziare una lavoratrice pochi mesi dopo il momento in cui ella acquisisca la garanzia del diritto ad una pensione di vecchiaia, allo scopo di assumere nuovi lavoratori pronti ad inserirsi nel mercato del lavoro».

Sulle questioni pregiudiziali

19 Con le sue questioni, che conviene esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 debba essere interpretato nel senso che una normativa nazionale la quale, per promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani, consente ad un datore di lavoro di diritto pubblico di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, laddove tale diritto è maturato per le donne ad un’età di cinque anni inferiore a quella prevista per gli uomini, costituisce una discriminazione fondata sul sesso vietata da tale direttiva.

Osservazioni presentate alla Corte

20 Secondo la sig.ra Kleist, la normativa controversa nella causa principale costituisce una discriminazione fondata sul sesso in quanto consente al datore di lavoro di mandare in pensione d’ufficio un’impiegata che raggiunge l’età a partire dalla quale matura il diritto a detta pensione, vale a dire 60 anni, laddove tale diritto matura in momenti diversi a seconda che l’impiegato sia di sesso maschile o femminile. L’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 dovrebbe essere interpretato nel senso che osta ad una siffatta normativa.

21 La sig.ra Kleist chiede alla Corte di pronunciarsi anche sull’interpretazione delle disposizioni della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16). Fa valere che tali disposizioni ostano ad una normativa nazionale come quella controversa nella causa principale in quanto quest’ultima comporta, inoltre, una discriminazione diretta fondata sull’età.

22 La cassa pensione sostiene che la normativa controversa nella causa principale introduce una disparità di trattamento indirettamente fondata sul sesso che è giustificata alla luce dell’obiettivo di promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani e non costituisce quindi una discriminazione illegittima. Essa ritiene, inoltre, che occorre evitare una situazione nella quale le donne possono cumulare il reddito da lavoro alle prestazioni legali pensionistiche, mentre gli uomini non hanno tale possibilità.

23 La Commissione europea considera che l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un contratto collettivo contenga una disposizione che prevede una tutela particolare che va oltre il regime generale ordinario di tutela dal licenziamento, ma che si applica unicamente fintantoché il lavoratore disponga di un’assicurazione previdenziale che gli fornisca mezzi finanziari, il che si verifica normalmente quando quest’ultimo percepisce una pensione di vecchiaia, laddove il diritto a tale pensione matura in tempi diversi a seconda che il lavoratore sia un uomo o una donna, in quanto l’obiettivo di promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani non può giustificare una siffatta normativa.

Risposta della Corte

24 Occorre rilevare, in via preliminare, che la questione delle condizioni di accesso alla pensione di vecchiaia, da un lato, e quella delle condizioni di cessazione del rapporto di lavoro, dall’altro, sono distinte (v., in tal senso, sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 32).

25 Per quanto riguarda queste ultime, l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 prevede che l’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico.

26 A tale proposito, inerisce alla nozione di licenziamento prevista in tale disposizione, nozione che deve essere intesa in senso ampio, un limite di età per la cessazione obbligatoria del rapporto, fissato nell’ambito della politica generale di pensionamento seguita da un datore di lavoro, anche ove implichi la concessione di una pensione (v., per analogia, sentenze 26 febbraio 1986, Marshall, cit., punto 34, e causa 262/84, Beets-Proper, Racc., pag. 773, punto 36).

27 Ne consegue che, dal momento che la sig.ra Kleist è stata collocata a riposo d’ufficio dal suo datore di lavoro, conformemente alla decisione adottata da quest’ultimo di licenziare tutti i suoi impiegati che hanno maturato il diritto ad una pensione di vecchiaia, la causa principale riguarda le condizioni di licenziamento ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207.

28 Si deve anzitutto rammentare che la Corte ha dichiarato che una politica generale in fatto di licenziamenti, la quale implichi il licenziamento di un’impiegata per il solo motivo che essa ha raggiunto o superato l’età alla quale ha diritto ad una pensione statale, età che, a norma delle leggi nazionali, è diversa per gli uomini e per le donne, costituisce una discriminazione in base al sesso vietata dalla direttiva 76/207/CEE (v., in tal senso, sentenza Marshall, cit., punto 38).

29 A tale proposito si deve rilevare, in primo luogo, che, conformemente all’art. 2, n. 2, primo trattino, della direttiva 76/207 una discriminazione diretta si produce quando una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

30 Nella specie, emerge dall’art. 134, n. 2, punto 2, e n. 4, punto 1, della DO.B, che i medici non licenziabili possono comunque essere collocati a riposo quando maturano un diritto alla pensione di vecchiaia ai sensi dell’art. 253 dell’ASVG. Orbene, in forza del citato art. 253, n. 1, gli uomini maturano tale diritto al compimento del sessantacinquesimo anno di età e le donne al compimento del sessantesimo anno di età. Ne consegue che i lavoratori di sesso femminile possono essere licenziati a partire dal momento in cui raggiungono i 60 anni, mentre i lavoratori di sesso maschile possono essere licenziati unicamente dopo aver raggiunto l’età di 65 anni.

31 Poiché il criterio applicato dalle disposizioni in parola è indissociabile dal sesso dei lavoratori sussiste dunque, contrariamente a quanto sostenuto dalla cassa pensione, una disparità di trattamento direttamente fondata sul sesso.

32 Occorre, in secondo luogo, esaminare se, in un contesto come quello disciplinato dalle citate disposizioni, i lavoratori di sesso femminile di età tra i 60 e i 65 anni si trovino in una situazione comparabile, ai sensi dell’art. 2, n. 2, primo trattino, della direttiva 76/207, a quella dei lavoratori di sesso maschile che si trovano nella stessa fascia di età.

33 A tale proposito, il giudice del rinvio nutre dubbi, sostanzialmente, sulla questione se la circostanza che i lavoratori di sesso femminile di età tra i 60 e 65 anni dispongono, a titolo della pensione di vecchiaia legale, di un’assicurazione previdenziale, sia tale da conferire alla situazione di tali lavoratori un carattere specifico rispetto quella dei lavoratori di sesso maschile che si trovano nella stessa fascia d’età, i quali non dispongono di una siffatta assicurazione.

34 Occorre esaminare la comparabilità di tali situazioni, in particolare alla luce dell’oggetto della normativa che introduce la disparità di trattamento (v., in tal senso, sentenze 9 dicembre 2004, causa C‑19/02, Hlozek, Racc. pag. I‑11491, punto 46, e, per analogia, 16 dicembre 2008, causa C‑127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., Racc. pag. I‑9895, punto 26).

35 Nella specie, la normativa che introduce la disparità di trattamento in parola ha ad oggetto la disciplina delle condizioni in presenza delle quali gli impiegati possono perdere il loro posto di lavoro.

36 Nel contesto della presente causa principale, contrariamente a quanto si verificava nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze 9 novembre 1993, causa C‑132/92, Roberts (Racc. pag. I‑5579, v., in particolare, punto 20), e Hlozek, cit. (v., in particolare, punto 48), il vantaggio concesso alle lavoratrici consistente nel poter accedere alla pensione di vecchiaia ad un’età inferiore di cinque anni a quella stabilita per i lavoratori di sesso maschile non ha un rapporto diretto con l’oggetto della normativa che stabilisce una disparità di trattamento.

37 Infatti, detto vantaggio non situa i lavoratori di sesso femminile in una situazione specifica rispetto a quelli di sesso maschile, dal momento che gli uomini e le donne si trovano in situazioni identiche per quanto riguarda le condizioni di cessazione del rapporto di lavoro (v., in tal senso, sentenza 26 febbraio 1986, causa 151/84, Roberts, Racc. pag. 703, punto 36).

38 Peraltro, come emerge dalla decisione di rinvio, la circostanza di cui al punto 33 della presente sentenza risulta dal fatto che la Repubblica d’Austria ha inteso stabilire, a titolo dell’eccezione al principio di parità di trattamento di cui l’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, un regime che prevede una differenza in merito all’età pensionabile legale tra gli uomini e le donne al fine di compensare lo svantaggio sociale, familiare ed economico che subiscono le donne.

39 Orbene, la Corte ha dichiarato in diverse occasioni che, tenuto conto dell’importanza fondamentale del principio di parità di trattamento, l’eccezione al divieto di discriminazioni fondate sul sesso prevista da tale disposizione dev’essere interpretata restrittivamente, nel senso che essa può applicarsi soltanto alla fissazione dell’età del pensionamento per la corresponsione delle pensioni di vecchiaia e di anzianità ed alle conseguenze che ne derivano per altre prestazioni previdenziali (v., in tal senso, sentenze Marshall, cit., punto 36; 21 luglio 2005, causa C‑207/04, Vergani, Racc. pag. I‑7453, punto 33, e 27 aprile 2006, causa C‑423/04, Richards, Racc. pag. I‑3585, punto 36).

40 Poiché la normativa controversa nella causa principale riguarda, come emerge dal punto 27 della presente sentenza, il licenziamento ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 e non le conseguenze di cui all’art. 7, n. 1, lett. a), della direttiva 79/7, la citata eccezione non è dunque applicabile a tale normativa.

41 In terzo luogo, la direttiva 76/207 opera una distinzione tra, da un lato, le discriminazioni direttamente fondate sul sesso e, dall’altro, quelle definite «indirette», nel senso che unicamente le disposizioni, i criteri o le prassi che possono costituire discriminazioni indirette possono, in forza del suo art. 2, n. 2, secondo trattino, evitare la qualifica di discriminazione a condizione che siano «giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il [loro] conseguimento siano appropriati e necessari». Una siffatta possibilità non è invece prevista per le disparità di trattamento atte a costituire discriminazioni dirette, ai sensi dell’art. 2, n. 2, primo trattino, di tale direttiva.

42 Pertanto, posto che, da un lato, la differenza di trattamento prevista da una normativa come quella controversa nella causa principale è direttamente fondata sul sesso e che, dall’altro, come emerge dal punto 37 della presente sentenza, la direttiva 76/207 non prevede deroghe, applicabili alla fattispecie, al principio della parità di trattamento, occorre concludere che tale differenza di trattamento costituisce una discriminazione direttamente fondata sul sesso (v., in tal senso, sentenza Vergani, cit., punto 34).

43 La citata disparità di trattamento non può dunque essere giustificata dall’obiettivo di promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani, come invocato dalla cassa pensione.

44 Per quanto riguarda, infine, la questione dell’eventuale esistenza di una discriminazione basata sull’età ai sensi della direttiva 2000/78, si deve rammentare che, nell’ambito del procedimento istituito dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. (v., in particolare, sentenza 12 ottobre 2010, causa C‑45/09, Rosenbladt, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32).

45 Poiché il giudice del rinvio non ha chiesto alla Corte chiarimenti in merito all’interpretazione di tale direttiva e non emerge neanche dalla decisione di rinvio che l’esistenza di una siffatta discriminazione sia stata sollevata nell’ambito della controversia principale, l’esame di tale questione non sembra utile ai fini della risoluzione della controversia in parola.

46 Le questioni sottoposte vanno dunque risolte dichiarando che l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva 76/207 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale la quale, per promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani, consente ad un datore di lavoro di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, laddove tale diritto è maturato dalle donne ad un’età inferiore di cinque anni rispetto a quella in cui tale diritto è maturato per gli uomini, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso vietata da tale direttiva.

Sulle spese

47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale la quale, per promuovere l’inserimento professionale di persone più giovani, consente ad un datore di lavoro di licenziare gli impiegati che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, laddove tale diritto è maturato dalle donne ad un’età inferiore di cinque anni rispetto a quella in cui tale diritto è maturato per gli uomini, costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso vietata da tale direttiva.

Firme

* Lingua processuale: il tedesco.