Corte di giustizia, risoluzione del contratto di lavoro e mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

27 novembre 2008 (*)

«Politica sociale – Direttiva 2001/23/CE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Trasferimento di imprese – Art. 4, n. 2 – Modifica sostanziale delle condizioni di lavoro in caso di trasferimento – Contratto collettivo – Risoluzione del contratto di lavoro da parte del lavoratore – Risoluzione considerata imputabile al datore di lavoro – Conseguenze – Indennizzo economico a carico del datore di lavoro»

Nel procedimento C‑396/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Korkein oikeus (Finlandia), con decisione 24 agosto 2007, pervenuta in cancelleria il 27 agosto 2007, nella causa tra

Mirja Juuri

e

Fazer Amica Oy,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dai sigg. T. von Danwitz, E. Juhász, G. Arestis e J. Malenovský (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: sig. R. Grass,

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

– per il governo finlandese, dalla sig.ra J. Himmanen, in qualità di agente;

– per il governo ungherese, dalle sig.re J. Fazekas, R. Somssich e K. Borvölgyi, in qualità di agenti;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. Huttunen e J. Enegren, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 settembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Juuri e il suo precedente datore di lavoro, la Fazer Amica Oy (in prosieguo: l’«Amica»), relativamente al rifiuto da parte di quest’ultima di concedere alla ricorrente della causa principale varie indennità in seguito alla risoluzione del suo contratto di lavoro, avvenuta dopo un trasferimento d’impresa.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3 La direttiva 2001/23 codifica la direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE (GU L 201, pag. 88).

4 Ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23:

«Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

(…)».

5 L’art. 4, n. 2, della medesima direttiva così dispone:

«Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è risolto in quanto il trasferimento comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro».

6 La formulazione di quest’ultima disposizione è identica a quella dell’art. 4, n. 2, della direttiva 77/187, così come modificata dalla direttiva 98/50.

La normativa nazionale

7 Ai sensi dell’art. 6, capitolo 7, della legge 26 gennaio 2001, n. 55, sui contratti di lavoro [Työsopimuslaki (55/2001); in prosieguo: la «legge sui contratti di lavoro»], che recepisce nel diritto finlandese l’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23:

«Qualora venga posto fine ad un contratto di lavoro per il motivo che le condizioni di lavoro del lavoratore sono sostanzialmente peggiorate per effetto di un trasferimento di impresa, la risoluzione del rapporto di lavoro è considerata imputabile al datore di lavoro».

8 L’art. 2, capitolo 12, della medesima legge attribuisce al lavoratore il diritto di ottenere dal suo datore di lavoro un indennizzo per la risoluzione non giustificata del contratto di lavoro. Ai sensi di tale disposizione, qualora abbia posto fine al contratto di lavoro in contrasto con i motivi previsti dalla legge in parola, il datore di lavoro è condannato a versare un indennizzo. È inoltre possibile condannare il datore di lavoro a versare un indennizzo in una situazione in cui si considera che il lavoratore abbia egli stesso il diritto di risolvere il contratto di lavoro.

9 Il lavoratore non ha tuttavia il diritto all’indennizzo previsto al citato art. 2 nel caso in cui il datore di lavoro abbia risolto il contratto di lavoro per un motivo sostanziale e rilevante. Ciò non di meno, anche in una simile evenienza, il lavoratore riceve il salario ed altre prestazioni durante il periodo di preavviso.

Causa principale e questioni pregiudiziali

10 La sig.ra Juuri ha lavorato dal 5 aprile 1994 in qualità di dipendente della Rautaruukki Oyj (in prosieguo: la «Rautaruukki») presso la mensa aziendale a Hämeenlinna. Al suo rapporto di lavoro è stato applicato il contratto collettivo di lavoro del settore metallurgico.

11 Il 31 gennaio 2003, ultimo giorno di validità del contratto collettivo in parola, tra la Rautaruukki e l’Amica ha avuto luogo un trasferimento d’impresa riguardante l’unità di ristorazione di Hämeenlinna. L’Amica ha informato la sig.ra Juuri che, a partire dal 1° febbraio 2003, al suo rapporto di lavoro sarebbe stato applicato il contratto collettivo di lavoro del settore alberghiero e della ristorazione, vincolante per l’Amica. La sig.ra Juuri ha tuttavia richiesto che, per quanto la riguardava, continuasse ad esserle applicato il contratto dei metallurgici. Poiché l’Amica ha opposto un rifiuto, il 19 febbraio 2003 la sig.ra Juuri ha risolto il suo contratto di lavoro, con effetto immediato.

12 La sig.ra Juuri ha quindi proposto ricorso dinanzi all’Helsingin käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di Helsinki), nell’ambito del quale ella ha sollecitato il versamento da parte dell’Amica di un’indennità di preavviso pari a quattro mensilità di salario, un’indennità compensativa delle ferie per il periodo di preavviso, nonché un indennizzo pari a quattordici mensilità di salario per risoluzione illegittima del contratto di lavoro.

13 A tal fine ella ha fatto valere, in particolare, l’art. 2, capitolo 12, della legge sui contratti di lavoro, sostenendo che l’applicazione del contratto collettivo del settore alberghiero e della ristorazione avrebbe causato una diminuzione delle sue entrate pari ad EUR 300 mensili e che, inoltre, sarebbe stata obbligata a trasferirsi in altri locali dell’Amica. Le condizioni di lavoro della sig.ra Juuri sarebbero pertanto sostanzialmente peggiorate per effetto del trasferimento d’impresa. Ciò considerato, l’Amica sarebbe, quindi, responsabile per la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 6, capitolo 7, della legge sui contratti di lavoro.

14 L’Amica ha contestato le domande della sig.ra Juuri, facendo valere, da un lato, che la cessazione del rapporto di lavoro con la sig.ra Juuri non era ad essa imputabile e, dall’altro, di non aver agito per negligenza o intenzionalmente in violazione del contratto di lavoro o della legge sui contratti di lavoro. Detta società non sarebbe pertanto responsabile per il danno causato dalla risoluzione del contratto di cui trattasi.

15 L’11 febbraio 2005 l’Helsingin käräjäoikeus ha respinto il ricorso della sig.ra Juuri. A suo parere l’art. 6, capitolo 7, della legge sui contratti di lavoro non può essere interpretato nel senso che completerebbe le disposizioni sul risarcimento dei danni previste dalla legge in parola, creando a favore del lavoratore un nuovo fondamento per le richieste di indennizzo. La sig.ra Juuri non aveva quindi diritto all’indennizzo richiesto in base alla menzionata disposizione. L’Amica, inoltre, non era inadempiente rispetto ad alcuno dei suoi obblighi.

16 Dopo che l’Helsingin hovioikeus (Corte d’appello di Helsinki) ha confermato tale decisione, la sig.ra Juuri ha adito il Korkein oikeus (Corte suprema finlandese). A sostegno della sua impugnazione ella ha fatto valere che la direttiva 2001/23 si propone di instaurare un regime di responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore allorché il rapporto di lavoro viene a cessare in seguito a sostanziali modifiche che vi siano apportate, anche nel caso in cui, come nella causa principale, il datore di lavoro abbia ben rispettato, ai sensi dell’art. 3, n. 3, di tale direttiva, il contratto collettivo che vincolava il cedente e garantiva al lavoratore migliori condizioni di lavoro, e ciò sino alla data della scadenza della validità di detto contratto collettivo.

17 Il Korkein oikeus constata che una siffatta interpretazione significherebbe che sul datore di lavoro potrebbe gravare un obbligo di risarcimento del danno causato ad un lavoratore che abbia posto fine al suo contratto di lavoro anche nel caso in cui lo stesso datore di lavoro abbia agito sotto tutti i profili in conformità sia della normativa applicabile sia del contratto collettivo per lui di volta in volta vincolante.

18 Qualora tale interpretazione della direttiva fosse adottata, occorrerebbe, a suo parere, decidere successivamente la questione se l’indennizzo del lavoratore debba essere imposto conformemente all’art. 2, capitolo 12, della legge sui contratti di lavoro, ossia considerando che ciò comporti il versamento di un importo pari ad un massimo di ventiquattro mensilità o se l’indennizzo debba al massimo corrispondere all’importo dovuto da un datore di lavoro che abbia un motivo sostanziale e rilevante per risolvere il contratto di lavoro, laddove gli importi versati comprenderebbero l’indennità relativa al periodo di preavviso di quattro mesi nonché l’indennità compensativa delle ferie ad esso collegata.

19 In tale contesto il Korkein oikeus ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 4, n. 2, della direttiva [2001/23] debba interpretarsi nel senso che uno Stato membro, in una situazione in cui un lavoratore ha risolto egli stesso il suo contratto di lavoro in seguito al deterioramento sostanziale delle condizioni di lavoro per effetto di un trasferimento di impresa, deve garantire legalmente al lavoratore il diritto di ottenere dal datore di lavoro un indennizzo economico come per il caso in cui il datore di lavoro ha posto illegittimamente fine al rapporto di lavoro, allorché si consideri la circostanza che il datore di lavoro ha rispettato, nei modi previsti all’art. 3, n. 3, della [detta] direttiva, il contratto collettivo di lavoro che vincolava il cedente e garantiva migliori condizioni al lavoratore, solo sino alla sua scadenza e che proprio ciò è causa del deterioramento delle condizioni di lavoro.

2) Qualora la responsabilità del datore di lavoro in conformità della direttiva [2001/23] non sia così estesa come descritto nella [prima] questione, se essa debba nondimeno gravare sul datore di lavoro, ad esempio attraverso il versamento della retribuzione e [delle] altre prestazioni per il periodo di preavviso che il datore di lavoro deve osservare».

Sulle questioni pregiudiziali

20 Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23 debba essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri, nel caso di risoluzione di un contratto di lavoro o di un rapporto di lavoro che rientrino nell’ambito di applicazione di detto articolo, di garantire al lavoratore un diritto ad un indennizzo economico a carico del datore di lavoro in condizioni identiche al diritto di cui l’interessato può avvalersi allorché il datore di lavoro pone illegittimamente fine al suo contratto o al suo rapporto di lavoro, o, quanto meno, di cui può avvalersi a titolo del periodo di preavviso che il datore di lavoro deve osservare, in forza del diritto nazionale applicabile, in caso di risoluzione del contratto di lavoro per un motivo sostanziale e rilevante.

21 In proposito il giudice del rinvio s’interroga altresì sull’incidenza della circostanza che il datore di lavoro abbia rispettato, conformemente all’art. 3, n. 3 della direttiva 2001/23, il contratto collettivo che vincolava il cedente e garantiva migliori condizioni al lavoratore solamente sino alla data della sua scadenza, derivando il deterioramento delle condizioni di lavoro, a suo parere, appunto dalla scadenza in parola.

Sul principio dell’indennizzo economico a carico del datore di lavoro

22 Dal dettato dell’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23 risulta che esso istituisce una disciplina che imputa al datore di lavoro la responsabilità della risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro, a prescindere da quale sia la parte formalmente all’origine della risoluzione in parola. Tale disposizione, per contro, non precisa le conseguenze che ne discendono sotto il profilo giuridico. Essa non prevede quindi alcun obbligo per gli Stati membri di garantire ai lavoratori un determinato regime di indennizzo né, di conseguenza, di assicurare che le modalità di detto regime siano identiche a quelle del regime di cui i lavoratori possono beneficiare allorché il datore di lavoro pone fine illegittimamente al contratto di lavoro o di cui possono beneficiare a titolo del periodo di preavviso che il datore di lavoro deve osservare.

23 Ciò è conforme alla finalità della direttiva 2001/23, che mira solo a un’armonizzazione parziale della materia in oggetto, estendendo essenzialmente la tutela garantita ai lavoratori in modo autonomo dal diritto dei vari Stati membri anche all’ipotesi del trasferimento d’impresa. Essa non è tesa ad instaurare un livello di tutela uniforme nell’intera Comunità europea secondo criteri comuni. Pertanto, è possibile invocare i vantaggi della direttiva 2001/23 solo per garantire che il lavoratore interessato sia tutelato, nei suoi rapporti con il cessionario, nello stesso modo in cui era protetto nei rapporti con il cedente, secondo le norme del diritto interno dello Stato membro interessato (sentenza 6 novembre 2003, causa C‑4/01, Martin e a., Racc. pag. I‑12859, punto 41).

24 Risulta inoltre espressamente dalla relazione di cui alla proposta di direttiva 77/187 [COM (74) 351] che, se la risoluzione del contratto di lavoro da parte del lavoratore dev’essere considerata come avvenuta per un motivo che fa sorgere la responsabilità del datore di lavoro, le conseguenze giuridiche che ne discendono, quali l’indennizzo o il risarcimento dei danni, devono essere valutate in funzione delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri.

25 Tenuto conto di tali elementi non si può ritenere che l’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23 abbia implicitamente fissato un livello uniforme di tutela dei lavoratori al di là della previsione d’imputabilità della responsabilità che stabilisce. Ne deriva segnatamente che la disposizione di cui trattasi non determina le conseguenze economiche dell’imputabilità al datore di lavoro della risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro verificatasi nelle circostanze summenzionate. Tali conseguenze vanno dunque stabilite in ogni Stato membro, in funzione delle norme nazionali applicabili in materia.

26 Occorre tuttavia ricordare che la libertà di scegliere il modo ed i mezzi destinati a garantire l’attuazione di una direttiva nulla toglie all’obbligo, per ciascuno degli Stati membri destinatari, di adottare, nell’ambito del rispettivo ordinamento giuridico nazionale, tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva in questione, conformemente allo scopo che essa persegue (v. sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 15, e 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 40).

27 L’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai sensi dell’art. 10 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi dei detti Stati, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (citate sentenze von Colson e Kamann, punto 26, nonché Impact, punto 41).

28 In proposito risulta giocoforza rammentare che la direttiva 2001/23 mira ad assicurare il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento d’imprenditore, permettendo loro di restare al servizio del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente (v., in particolare, sentenze 10 febbraio 1988, causa 324/86, Tellerup, detta «Daddy’s Dance Hall», Racc. pag. 739, punto 9, e 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punto 25).

29 Siffatto scopo è parimenti perseguito anche oltre dalla direttiva di cui trattasi, in quanto addossa al cessionario la responsabilità della risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro in caso di sostanziali modifiche delle condizioni di lavoro in seguito al trasferimento d’impresa, essendo le conseguenze di detta responsabilità disciplinate dal diritto nazionale applicabile.

30 Alla luce di quanto precede, l’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi di una risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dettata dalla ricorrenza delle condizioni di applicazione di detta disposizione e indipendente da qualsivoglia inadempimento del cessionario agli obblighi derivanti dalla direttiva medesima, gli Stati membri non sono tenuti a garantire al lavoratore un diritto ad un indennizzo economico a carico del detto cessionario in condizioni identiche al diritto di cui un lavoratore può avvalersi allorché il datore di lavoro pone illegittimamente fine al suo contratto di lavoro o al suo rapporto di lavoro. L’organo giurisdizionale nazionale è ciononostante tenuto, nell’ambito delle sue competenze, a garantire che, quanto meno, il cessionario sopporti, in siffatta ipotesi, le conseguenze che il diritto nazionale applicabile fa discendere dalla risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro imputabile al datore di lavoro, quali il versamento della retribuzione e le altre prestazioni relative, in forza di tale diritto, al periodo di preavviso che detto datore di lavoro deve osservare.

Sulla portata dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23

31 Come esposto al punto 21 della presente sentenza, nella causa principale il giudice del rinvio si pone delle domande sul comportamento del cessionario riguardo all’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, tenuto conto del fatto che quest’ultimo ha osservato il contratto collettivo del settore metallurgico solo fino alla data della scadenza dello stesso e che tale data coincideva con il momento del trasferimento dell’impresa.

32 Secondo la disposizione in parola, dopo un trasferimento d’impresa, il cessionario deve mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo negli stessi termini previsti da quest’ultimo per il cedente, e ciò fino alla data della risoluzione o della scadenza di detto contratto collettivo, o altresì dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.

33 La disposizione di cui trattasi mira quindi ad assicurare il mantenimento di tutte le condizioni di lavoro conformemente alla volontà delle parti contraenti del contratto collettivo, e ciò nonostante il trasferimento d’impresa. Per contro, questa stessa disposizione non è idonea a derogare alla volontà di dette parti, così come manifestata nel contratto collettivo. Di conseguenza, se le parti contraenti hanno stabilito di non garantire talune condizioni di lavoro oltre una determinata data, l’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23 non può imporre al cessionario l’obbligo di rispettarle posteriormente alla data convenuta di scadenza del contratto collettivo, giacché, al di là di questa data, il contratto collettivo di cui trattasi non è più in vigore.

34 Ne consegue che l’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23 non impone al cessionario di garantire il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite con il cedente oltre la data della scadenza del contratto collettivo, anche qualora tale data coincida con il momento del trasferimento dell’impresa.

35 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere le questioni pregiudiziali dichiarando che l’art. 4, n. 2, della direttiva 2001/23 dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi di una risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dettata dalla ricorrenza delle condizioni di applicazione di detta disposizione e indipendente da qualsivoglia inadempimento del cessionario agli obblighi derivanti dalla direttiva medesima, gli Stati membri non sono tenuti a garantire al lavoratore un diritto ad un indennizzo economico a carico del detto cessionario in condizioni identiche al diritto di cui un lavoratore può avvalersi allorché il datore di lavoro pone illegittimamente fine al suo contratto di lavoro o al suo rapporto di lavoro. L’organo giurisdizionale nazionale è ciononostante tenuto, nell’ambito delle sue competenze, a garantire che, quanto meno, il cessionario sopporti, in siffatta ipotesi, le conseguenze che il diritto nazionale applicabile fa discendere dalla risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro imputabile al datore di lavoro, quali il versamento della retribuzione e le altre prestazioni relative, in forza di tale diritto, al periodo di preavviso che detto datore di lavoro deve osservare.

36 Spetta al giudice del rinvio valutare la situazione di cui alla causa principale alla luce dell’interpretazione della disposizione dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, in base alla quale il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite in un contratto collettivo che scade alla data del trasferimento dell’impresa non è garantito oltre tale data.

Sulle spese

37 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:

L’art. 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi di una risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dettata dalla ricorrenza delle condizioni di applicazione di detta disposizione e indipendente da qualsivoglia inadempimento del cessionario agli obblighi derivanti dalla direttiva medesima, gli Stati membri non sono tenuti a garantire al lavoratore un diritto ad un indennizzo economico a carico del detto cessionario in condizioni identiche al diritto di cui un lavoratore può avvalersi allorché il datore di lavoro pone illegittimamente fine al suo contratto di lavoro o al suo rapporto di lavoro. L’organo giurisdizionale nazionale è ciononostante tenuto, nell’ambito delle sue competenze, a garantire che, quanto meno, il cessionario sopporti, in siffatta ipotesi, le conseguenze che il diritto nazionale applicabile fa discendere dalla risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro imputabile al datore di lavoro, quali il versamento della retribuzione e le altre prestazioni relative, in forza di tale diritto, al periodo di preavviso che detto datore di lavoro deve osservare.

Spetta al giudice del rinvio valutare la situazione di cui alla causa principale alla luce dell’interpretazione della disposizione dell’art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, in base alla quale il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite in un contratto collettivo che scade alla data del trasferimento dell’impresa non è garantito oltre tale data.

Firme

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* Lingua processuale: il finlandese.