Il testo integrale del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sul futuro dell’Unione Europea pronunciato a Riga il 10 aprile 2007

Riflettere sul futuro dell’Europa significa interrogarsi su quali siano le ragioni che ci spingono oggi a rinnovare la nostra unità e su quali debbano essere nei prossimi anni gli obiettivi dell’Unione Europea. Poche epoche sono state caratterizzate, come la nostra, da processi di trasformazione tanto accelerati, che scuotono con forza le strutture politiche, economiche, sociali e culturali dei nostri Paesi. Dinanzi a sfide ed opportunità, ma anche rischi e minacce, che hanno una dimensione globale, la risposta non può essere puramente nazionale. La risposta – da parte dei nostri paesi – può essere valida solo se fortemente e solidalmente europea.
Alcune potenze emergenti crescono con un tasso che supera l’8%, rispetto al 2% della media europea. Le proiezioni indicano che entro il 2030 nessun paese europeo avrà titolo a sedere da solo nel G7. Uniti, i Paesi europei dispongono però ancora dei numeri per sostenere la competizione globale e tutelare i propri interessi rispetto al resto del mondo. Il nostro continente possiede nel suo insieme le risorse umane, culturali, scientifiche e tecnologiche necessarie per il suo progresso anche nel futuro. Perché ciò accada, è necessario però utilizzare queste risorse in modo unitario ; salvaguardare con coerenza la costruzione comune ; astenersi dall’attribuire all’Unione Europea responsabilità che non ha ; chiarire ai cittadini che molti dei settori in cui si manifestano le più evidenti carenze – le politiche sociali, il governo dell’economia, la politica estera, l’immigrazione e l’energia – sono ancora prevalentemente di competenza degli Stati membri. Ed è di conseguenza necessario in tali settori dotare l’Unione degli strumenti che le sono indispensabili per meglio tutelare gli interessi dei Paesi membri.
Il mercato unico deve essere completato ed esteso a tutti i settori. Alla moneta unica occorre affiancare un più efficace coordinamento delle politiche economiche, per dare impulso alla crescita e all’occupazione. Deve essere varata una politica comune dell’energia compatibile con le esigenze ambientali, per far fronte ai problemi del cambiamento climatico e dell’approvvigionamento energetico esplosi in tutta la loro acutezza. Dobbiamo costituire un effettivo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, per dare risposte congiunte alle pressioni migratorie, accrescere i diritti dei nostri cittadini, rafforzare la loro sicurezza anche attraverso un più efficace contrasto al terrorismo e alla criminalità. Solo se giungerà a rafforzare la propria unità, l’Europa potrà contare sulla scena mondiale ed operare a favore della pace e di un dialogo tra le civiltà non disgiunto dalla ferma difesa dei nostri valori.
Per conseguire tutti questi obiettivi l’Europa dovrà non solo dimostrare volontà politica ed unità d’intenti ; dovrà anche rafforzare le proprie istituzioni. Il dilemma politiche/Istituzioni è falso, perché l’Europa non può vivere, e tanto meno svilupparsi, senza Istituzioni e strumenti adeguati. Lo dimostra lo scarto tra il traguardo posto dalla Strategia di Lisbona – fare dell’Europa l’economia più dinamica e competitiva del mondo entro il 2010 – e gli insufficienti risultati finora raggiunti, in assenza di un coordinamento basato anche su strumenti cogenti. Lo conferma lo stentato cammino verso una politica europea dell’immigrazione, per effetto delle previsioni in buona parte inadeguate degli attuali Trattati. Lo prova il fatto che, ogni volta che l’Europa ha dovuto affrontare nuovi compiti, si è reso necessario riformare le sue istituzioni ed estendere il voto a maggioranza. Vorrei ricordare a questo riguardo che il mercato interno non sarebbe stato realizzato nei tempi previsti se l’Atto Unico Europeo del 1986 non avesse superato la regola dell’unanimità in settori cruciali : dall’unione doganale al diritto di stabilimento ; dai movimenti di capitali ai trasporti ; dalla politica sociale alla ricerca ; dalla coesione economica ai fondi regionali.
Il resto del mondo ha bisogno di più Europa ; di un’Europa che parli con una sola voce sul piano internazionale e che abbia strumenti adeguati, anche militari, per contribuire a garantire sicurezza e stabilità fuori dai propri confini, quando ciò venga richiesto dalla Comunità internazionale. Ma questa voce comune e questi strumenti di intervento non sono ancora previsti dalle norme europee in vigore.
In molti Paesi occidentali, così come in Europa, si avverte una crisi della politica: crisi della progettualità, in alcuni casi crisi di leadership, crisi di fiducia della pubblica opinione. Insisto molto sulla nozione di democrazia, perché la storia dell’Occidente è anche la storia delle sue conquiste democratiche. Se l’Europa non saprà rafforzare la sua democrazia, offrendo ai cittadini nuovi motivi di identificazione e di partecipazione nelle scelte dell’Unione, la solidità della costruzione europea ne risentirà fortemente. Ebbene, a me sembra evidente che la risposta alla crisi della politica, alla domanda di maggiore partecipazione democratica, al disincanto che i cittadini hanno espresso nei referenda francese ed olandese, stia proprio in un rafforzamento delle Istituzioni europee, della loro comprensibilità, visibilità e capacità d’azione.
Non si può seriamente pensare che dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007 l’Unione non abbia necessità di una profonda riforma dei suoi assetti istituzionali. E’ interesse di tutti i paesi, vecchi e nuovi Membri, fare in modo che l’Unione non perda la propria efficacia ; dimostrare che il progetto avviato cinquanta anni fa non sta per essere diluito dall’estensione dei confini dell’Unione.
Auspico pertanto che il Consiglio europeo di giugno porti a compimento, con successo ed in tempo utile per le prossime elezioni europee, le innovazioni sancite nel Trattato costituzionale firmato nell’ottobre 2004, senza rimettere in discussione il delicato equilibrio che fu allora faticosamente raggiunto, tenendo conto di tante esigenze e posizioni in 2 anni e mezzo di discussione e di ricerca del compromesso nella Convenzione di Bruxelles e nella Conferenza Intergovernativa. Ogni tentativo di alterare quel compromesso, sottoscritto da tutti i 27 Stati e già ratificato da 18 di essi, aprirebbe trattative dai risultati e dai tempi imprevedibili. In tal caso – tutti debbono saperlo – i Paesi che hanno ratificato il Trattato tornerebbero necessariamente a chiedere riforme più ambiziose. Tra queste ultime, l’Italia è pronta a sollecitare in particolare l’estensione del voto a maggioranza, che è essenziale per rendere più efficace e democratico il processo di formazione delle decisioni. L’esperienza dimostra che la possibilità di decidere a maggioranza ha l’effetto di stimolare, anziché di comprimere, la ricerca del necessario consenso tra gli Stati, senza che nessuno di essi si senta destinato a restare in minoranza.
Sono questi i punti di forza dell’integrazione europea : l’esistenza di valori e di obiettivi comuni ; la condivisione di risorse e sovranità ; l’adozione di un metodo che garantisce le minoranze e che assicura la cooperazione tra governi nazionali ed istituzioni sopranazionali nell’interesse comune. I punti di debolezza sono invece le mancate riforme ; il rischio di un’Unione paralizzata dall’unanimità ; la perdita di ambizione e di progettualità ; lo sfilacciamento degli obiettivi condivisi. E poiché questi rischi sono ancora più pressanti in una Europa più larga, essa deve procedere al più presto a riaffermare i propri valori comuni – di pace, di solidarietà, di democrazia, di eguaglianza, di rispetto dei diritti – in un Testo fondamentale capace di riunire quasi 490 milioni di cittadini.
Si sono accresciute – col grande allargamento – le diversità in seno all’Unione europea : nessuno intende mortificarle, nessuno pretende di imporre una pesante uniformità di indirizzi e di tendenze in tutti i campi. Ma bisogna – nel rispetto delle diversità – rafforzare il sistema degli impegni e delle decisioni comuni.
Il passaggio da 15 a 27 Stati membri è stato una grande conquista storica, ma anche una scommessa. Perderemmo questa scommessa, se ci mostrassimo incapaci di decidere e di agire tempestivamente. E in quel caso il futuro dell’Europa – di tutti i suoi Stati, di tutte le sue nazioni – si farebbe oltremodo incerto, per non dire oscuro. Ci condanneremmo tutti insieme a un fatale declino del nostro patrimonio storico e del nostro ruolo nel mondo d’oggi e di domani.