La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione promosso da “La Rosa nel Pugno-Laici Socialisti Liberali Radicali”

Con l’ord. n. 79 depositata il 24 febbraio 2006, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dall’associazione politica “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il conflitto trae origine dalla nuova legge elettorale (specificamente dagli artt. 18-bis del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e 9 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, come sostituiti, rispettivamente, dall’art. 1, comma 6, e dall’art. 4, comma 3, della legge 21 dicembre 2005, n. 270). La ricorrente lamenta, in particolare, che le regole dettate dalla riforma elettorale del 2005 per la raccolta delle firme necessarie alla presentazione delle liste dei candidati ostacolerebbero, stante lo strettissimo lasso di tempo a disposizione, la possibilità stessa di una sua partecipazione alla competizione elettorale in numerose circoscrizioni. L’onere della raccolta delle firme gravante su “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” sarebbe in contrasto con la ratio dell’obbligo stesso, che è quella di evitare che possano prendere parte alla competizione elettorale soggetti privi di radicamento politico e sociale (la ricorrente sottolinea che fanno ad essa capo diciassette parlamentari italiani, tre parlamentari europei e numerosi eletti negli enti territoriali).
La Corte dichiara inammissibile il ricorso sottolineando che “i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’art. 134 Cost.”.

Di seguito il testo dell’ordinanza:

ORDINANZA N. 79
ANNO 2006

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle disposizioni di cui all’art. 18-bis del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati) e all’art. 9 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), come sostituiti, rispettivamente, dall’art. 1, comma 6, e dall’art. 4, comma 3, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), promosso con ricorso dell’associazione politica “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, depositato in cancelleria il 7 febbraio 2006 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2006, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che l’associazione politica denominata “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali”, in persona dei soci fondatori e legali rappresentanti Giuseppe Albertini, Maurizio Turco, Cecilia Maria Angioletti e Rapisardo Antinucci, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 49 della Costituzione – conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in relazione all’art. 18-bis del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati) e all’art. 9 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), come sostituiti, rispettivamente, dall’art. 1, comma 6, e dall’art. 4, comma 3, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica);
che la ricorrente, premesso che l’associazione è nata – dall’incontro tra due soggetti politici (radicali e socialisti) che hanno avuto un ruolo di primo piano nella storia politica del Paese – allo scopo di presentarsi, con proprio simbolo, ad ogni tipo di elezioni a partire dalle prossime politiche, deduce che tale obiettivo trova un ostacolo nelle regole dettate, dalla riforma elettorale del 2005, per la raccolta delle firme necessarie alla presentazione delle liste dei candidati;
che, ad avviso della ricorrente, sussiste il rischio della esclusione dalla competizione elettorale in numerose circoscrizioni, stante lo strettissimo lasso di tempo a disposizione per la raccolta delle firme e la necessità di definire le candidature in anticipo rispetto alle altre formazioni politiche, con conseguente lesione del diritto di parteciparvi in condizioni di parità con gli altri partiti, ai sensi dell’art. 49 Cost.;
che, infatti, nel previgente sistema, l’onere della raccolta delle firme sussisteva per tutti i partiti o gruppi politici, mentre, per effetto della riforma, sono esonerati solo: 1) i partiti o i gruppi politici costituiti in gruppi parlamentari in entrambe le Camere «all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi»; 2) i partiti o i gruppi che si presentano in coalizione con almeno due partiti che hanno costituito gruppi parlamentari in entrambe le Camere all’inizio della legislatura e abbiano ottenuto almeno un seggio alle ultime elezioni per il Parlamento europeo, purché si presentino con l’identico contrassegno delle elezioni europee; 3) i partiti o i gruppi politici rappresentanti minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno un seggio alle ultime elezioni politiche alla Camera o al Senato;
che, conseguentemente, “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” ha l’onere della raccolta delle firme, nonostante i diciassette parlamentari italiani, i tre parlamentari europei e i numerosi eletti negli enti territoriali, in contrasto con la ratio dell’obbligo stesso, che è quella di evitare che possano prendere parte alla competizione elettorale soggetti privi di radicamento politico e sociale;
che, in ordine alla propria legittimazione a sollevare conflitto, la ricorrente sostiene che i partiti politici sono titolari di attribuzioni costituzionali nei procedimenti per l’elezione delle assemblee, con conseguente qualificazione di poteri dello Stato allorché lamentino la lesione di quelle attribuzioni;
che, nel richiamare la giurisprudenza della Corte, la quale “ha ritenuto legittimati i promotori di referendum abrogativi” – secondo cui per configurare un potere dello Stato è sufficiente la titolarità di attribuzioni costituzionali il cui esercizio sia essenziale per il funzionamento degli organi costituzionali, restando secondario se il soggetto sia o meno organo dello Stato in senso proprio – deduce che, a maggior ragione, sono legittimati i partiti, non dotati di vita effimera;
che, ad avviso della ricorrente, fra le diverse funzioni che svolgono i partiti, quella relativa alle competizioni elettorali rappresenta un’attribuzione costituzionale che l’art. 49 Cost. assegna loro in via esclusiva, non essendo configurabile a Costituzione vigente altra forma di rappresentanza politica;
che, sebbene il partito politico sia una associazione di diritto comune, esso svolge il ruolo di strumento attraverso cui i cittadini concorrono a determinare la politica nazionale, assurgendo ad elemento essenziale del rapporto di rappresentanza politica che caratterizza la forma di Stato disegnata dalla Costituzione; concorso che, sempre ad avviso della ricorrente, avviene fondamentalmente con la partecipazione alle competizioni elettorali, nel cui ambito sono essenziali la «presentazione di alternative elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche»; inoltre, solo la natura costituzionale delle attribuzioni assegnate ai partiti nel procedimento elettorale giustifica la legislazione relativa al finanziamento delle campagne elettorali, con i relativi limiti di spesa e le procedure di controllo;
che, quanto alla natura legislativa dell’atto cui è riferita la lesione delle attribuzioni costituzionali, la ricorrente – consapevole dell’orientamento restrittivo della giurisprudenza della Corte – reputa soddisfatta la condizione residuale che rende ammissibile il conflitto;
che, in particolare, ad avviso della ricorrente, nella specie non sussiste neanche in astratto la possibilità di un giudizio incidentale, atteso che, ai sensi degli artt. 23 e 87 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dell’art. 66 Cost. e secondo giurisprudenza consolidata, la verifica degli atti preparatori del processo elettorale – comprensiva del controllo in ordine alla esclusione di nuove liste – è priva di tutela giurisdizionale, essendo demandata all’Ufficio centrale nazionale, che ha natura amministrativa, e alle Camere;
che, nel merito, “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” sostiene che la nuova legge elettorale lede il suo diritto, garantito dall’art. 49 Cost., di partecipare in condizioni di parità con gli altri partiti alla competizione elettorale e deduce l’irragionevolezza della nuova disciplina rispetto a tre profili: la ratio legis, il ruolo “identitario” del simbolo, il favor legislativo verso la creazione di formazioni politiche più ampie;
che, secondo la ricorrente, la lesione sarebbe determinata dalla irragionevole esclusione, dalle eccezioni che consentono l’esonero della raccolta delle firme, dei nuovi partiti nati dalla federazione di forze politiche presenti nel Parlamento italiano e in quello europeo, politicamente e socialmente radicati;
che, quanto al primo profilo di irragionevolezza – sottolineato che la raccolta delle firme trova il proprio fondamento nell’apprezzabile esigenza di evitare che possano prendere parte alla competizione elettorale soggetti totalmente privi di radicamento politico e sociale –, sostiene che l’esonero, per non trasformarsi in un’inammissibile privilegio dei partiti presenti in Parlamento contro i nuovi competitori, dovrebbe includere tutte quelle forze politiche che non debbono dare prova del proprio seguito elettorale; e l’irragionevolezza sarebbe ancora più evidente in considerazione dei requisiti meno rigidi previsti per l’elezione al Parlamento europeo (art. 12 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante “Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia”);
che, con riferimento al secondo profilo, deduce che il requisito della necessaria identità del contrassegno lederebbe il diritto all’identità politica dei partiti, penalizzando quelle forze politiche che, federandosi, danno vita a nuovi competitori, con conseguente inammissibile privilegio per i partiti maggiori;
che il terzo profilo di irragionevolezza si sostanzierebbe nel contrasto con il favore della nuova legislazione elettorale per l’accorpamento dei partiti più piccoli in entità di maggiore dimensione;
che, in conclusione, la ricorrente chiede che – dichiarata l’ammissibilità del conflitto – questa Corte accordi i necessari provvedimenti d’urgenza per consentire alla associazione “La Rosa nel Pugno – Laici Socialisti Liberali Radicali” di partecipare con proprie liste alla competizione elettorale per le elezioni politiche del prossimo 9 aprile senza sottostare alla raccolta delle firme; e che, nel merito, dichiari che spetta alla ricorrente presentare proprie liste alle elezioni politiche alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica fruendo dell’esonero dalla raccolta delle firme, annullando, di conseguenza l’art. 18-bis del d.P.R. n. 361 del 1957 e l’art. 9 del d.lgs. n. 533 del 1993, come sostituiti, rispettivamente, dall’art. 1, comma 6, e dall’art. 4, comma 3, della legge n. 270 del 2005;
che, in prossimità della data di fissazione della camera di consiglio, la ricorrente ha depositato memoria, insistendo, sulla base di ulteriori argomentazioni, per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate;
che, nel ribadire la propria legittimazione soggettiva, la ricorrente premette che è irrilevante la mancanza del nome “partito” nel proprio statuto, atteso che tale termine non ha alcuna definizione formale nella legislazione ordinaria;
che, in particolare, il principio, affermato dalla Corte con riferimento ai comitati promotori di referendum – secondo cui laddove una figura soggettiva esterna allo Stato-apparato sia titolare, in forza di norme costituzionali, di diritti o poteri da esercitare all’interno di un procedimento costituzionalmente rilevante, essa può senz’altro agire per difendere l’esercizio delle proprie attribuzioni nei confronti degli altri poteri dello Stato che prendono parte al medesimo procedimento – sarebbe, ad avviso della ricorrente, riferibile anche al caso di specie, atteso che, nel contesto del procedimento elettorale, di indubbia rilevanza costituzionale, i singoli partiti sono titolari di una posizione costituzionale insostituibile nella fase della presentazione delle candidature, riconosciuta letteralmente dall’art. 49 Cost., nel quale il termine “concorrere”, con il duplice significato di “contribuire” e “gareggiare”, si riferisce anche al diritto dei partiti di partecipare alle competizioni elettorali in condizioni di parità;
che la ricorrente si sofferma ancora sulla sussistenza delle condizioni per l’ammissibilità del conflitto avverso un atto legislativo, non potendo essere sollevata questione di legittimità costituzionale in via incidentale; circostanza che confermerebbe la rilevanza costituzionale del procedimento per l’elezione della Camera e del Senato;
che, infine, la ricorrente ribadisce la necessità di un intervento cautelare per evitare, nelle more del giudizio, la definitiva e irreversibile lesione dell’attribuzione fatta valere con il ricorso, sostenendo che il potere cautelare della Corte – pur non essendo espressamente previsto per i conflitti tra poteri – deve ritenersi implicito nella sua funzione di garanzia costituzionale, oltre che nel diritto di azione del ricorrente, come sarebbe confermato dall’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), relativo al conflitto tra enti, e dal nuovo art. 35 della stessa legge, che ha esteso la cautela al ricorso in via principale avverso le leggi.
Considerato che, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge n. 87 del 1953, questa Corte è chiamata in via preliminare a decidere, con ordinanza in camera di consiglio senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile sotto il profilo dell’esistenza della materia di un conflitto, la cui risoluzione spetti alla sua competenza, valutando se sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, secondo la ricorrente, i partiti politici sono titolari di attribuzioni costituzionali in base all’art. 49 della Costituzione, e che, pertanto, sarebbe ad essi applicabile il principio affermato dalla Corte rispetto ai comitati promotori di referendum;
che il principio suddetto non può essere riferito ai partiti politici, mancando il presupposto per la sua applicazione, consistente nella previsione della titolarità di uno specifico potere da parte della Costituzione, laddove l’art. 75 Cost. riconosce espressamente ad una frazione del corpo elettorale – della quale i promotori sono competenti a dichiarare la volontà – la titolarità del potere di iniziativa referendaria e la Corte ha ritenuto che poteri dello Stato, ai fini del conflitto di cui all’art. 134 Cost., possono anche essere figure soggettive esterne rispetto allo Stato-apparato (sentenza n. 69 del 1978);
che l’art. 49 Cost. attribuisce ai partiti politici la funzione di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» e non specifici poteri di carattere costituzionale;
che, al riguardo, è decisivo rilevare che i partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale – nella prospettiva del diritto dei cittadini di associarsi – quali strumenti di rappresentanza di interessi politicamente organizzati; diritto di associazione al quale si ricollega la garanzia del pluralismo;
che le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la «presentazione di alternative elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche» – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.;
che, inoltre, conferma della suddetta interpretazione si rinviene nelle scelte fatte dall’Assemblea costituente, che lasciò cadere – pur dopo lunga discussione – due proposte diverse: una volta a riconoscere ai partiti politici attribuzioni di carattere costituzionale, comprensive della presentazione di liste elettorali e del diritto di promuovere azioni davanti alla Corte costituzionale; un’altra, volta a rinviare alla legge il conferimento ai partiti di poteri propri in ordine alle elezioni e di altre funzioni di pubblico interesse, previa individuazione – da parte della stessa legge – dei requisiti di cui i partiti avrebbero dovuto essere in possesso, l’accertamento dei quali veniva demandato alla Corte costituzionale;
che, quindi, i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’art. 134 Cost.;
che, pertanto, ai partiti politici non è possibile riconoscere la natura di organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà di un potere dello Stato per la delimitazione di una sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali (art. 37 della legge n. 87 del 1953);
che, ad ulteriore conferma della non accoglibilità della tesi prospettata dalla ricorrente, si deve considerare che il riconoscimento ai partiti politici di poteri costituzionali – posto che la Carta fondamentale non attribuisce espressamente tali poteri ma solo funzioni aventi rilevanza costituzionale – finirebbe con l’introdurre un nuovo tipo di giudizio costituzionale, avente ad oggetto la procedura di elezione delle Assemblee, e persino il procedimento di approvazione delle leggi;
che, infine, dalla negazione per i partiti politici di una sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali discende l’assorbimento degli ulteriori profili relativi all’ammissibilità del ricorso.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2006.

Annibale MARINI, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2006.