La Giunta non deve fermarsi

Emergenza costituzionale


Il PDL e la relazione Augello ribadiscono gli argomenti già noti per rinviare il voto sulla decadenza: la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, il ricorso di Berlusconi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La relazione ne aggiunge uno nuovo: la pregiudiziale volta a una pronuncia interpretativa preliminare della Corte di giustizia della Unione europea (CGUE), sulla conformità del decreto 235/2012 alla normativa europea. Della impossibilità che la Giunta si rivolga alla Corte costituzionale si è già detto in un precedente intervento. Ma dovrebbe la Giunta fermarsi e attendere la pronuncia della CEDU o della CGUE? Certamente no.

In termini di diritto, i ricorsi non hanno effetto sospensivo, né una pronuncia di Corte europea può toccare la sentenza definitiva di condanna della Cassazione, o cancellare dall’ordinamento italiano il d.lgs. 235/2012. Inoltre, quanto al ricorso CEDU, Berlusconi prima della decadenza chiede un astratto parere preventivo sul decreto 235, non ancora a lui applicato, e sulla cui vigenza la Corte europea non può incidere. In attesa di questo parere vorrebbe che Giunta e Senato non decidessero. Un impianto inaccettabile. Quanto alla CGUE, per Augello la Giunta dovrebbe portare la questione in sede europea. A questa ipotesi dovremmo anzitutto opporre in buona parte gli stessi argomenti che negano la via alla Corte costituzionale, poiché è il giudice nazionale che può adire la CGUE per un parere preventivo di conformità. E la Giunta giudice non è, per la Corte europea come per quella italiana. In ogni caso, avremmo che un organo che fa parte del potere legislativo, massimo decisore politico abilitato a modificare o cancellare la legge in qualunque momento, chiederebbe lumi sul che fare a una Corte europea che sulla legge non può in alcun modo direttamente incidere. Un impianto concettualmente assurdo, oltre che giuridicamente infondato. Ma tutto si spiega. Sarebbe appropriato e normale che il cittadino UE Berlusconi portasse al giudice europeo l’atto concretamente dichiarativo della decadenza. Ma ovviamente questo non darebbe al condannato Berlusconi l‘indulgenza plenaria preventiva che a tutti i costi vuole.

Già questi argomenti potrebbero bastare. Ma è utile dire di più. A Strasburgo Berlusconi è noto. Una serie di ricorsi ha in specie punteggiato la vicenda IMI-SIR: Previti c. Italia, 45291/06, dec. 8.12.2009; Pacifico c. Italia, 44531/06, dec. 21.6.2012; Previti c. Italia, 1845/08, dec. 12.2.2013; Acampora c. Italia, 2072/08, dec. 8.1.2013. Nessuno è stato accolto. Il ricorso 45291/06 fu presentato da Previti il 2 novembre 2006, quando era già avviato il procedimento di decadenza dalla carica di deputato per l’interdizione dai pubblici uffici. Il ricorso trova solo un paio di menzioni fuggevoli (25 gennaio 2007; 9 luglio 2007) nelle ben 22 diverse occasioni in cui per oltre un anno la Giunta della Camera discusse di Previti. Un argomento certo non decisivo. E conta ora sottolineare che la Giunta non trovò nel ricorso alcuna ragione di sospendere o rinviare i propri lavori, e il 9 luglio 2007 propose all’Aula la decadenza. Un precedente di sicuro rilievo.

Il ricorso CEDU rivolge contro il decreto 235/2012 due censure principali. La prima, sulla violazione del principio di legalità della pena (art. 7 Carta europea dei diritti dell’uomo) per la presunta natura di sanzione penale retroattiva della incandidabilità/ineleggibilità; la seconda, sulla violazione del diritto a un ricorso effettivo (art. 13 Carta), per la mancanza di rimedi nel diritto interno. Argomenti sostanzialmente analoghi avanza Augello per la CGUE.

Sono infondati. Il decreto 235/2012 non tocca il nullum crimen sine lege, perché non configura una pena accessoria. Lo sarebbe, se venisse dalla decisione di un giudice, chiamato a commisurarla al reato commesso, come accade per l’interdizione dai pubblici uffici. Conseguentemente, non tocca nemmeno il ne bis in idem. Dobbiamo invece guardare alla formula dell’art. 1 del decreto 235: “Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore … “. Siamo di fronte a un divieto di appartenenza all’assemblea che la legge affianca alla distinta fattispecie dell’incandidabilità. Chi si trova nella condizione indicata dalla legge non può essere componente dell’assemblea elettiva. Questo non è tanto un profilo afflittivo individuale, quanto una tutela dell’integrità dell’assemblea, intesa come garanzia non della composizione personale derivante dal voto, ma di una composizione non inquinata rispetto allo standard definito dal legislatore. Una tutela dell’etica pubblica e del buon nome dell’istituzione, sulla quale anche per la normativa europea è corretto riconoscere una discrezionalità del legislatore, nella specie correttamente esercitata. E il transitorio di cui tanto si discute ci segnala non una sanzione retroattiva, ma solo la necessità che l’assemblea operi in ogni momento a tutela della propria integrità, ripristinando una legittima composizione con l’esclusione di chi non può farne parte.

Nemmeno il principio di un’adeguata difesa è violato. Proprio da questa sede abbiamo proposto una ricostruzione per cui avverso la decadenza Berlusconi potrebbe adire direttamente la Corte costituzionale. E la vicenda Previti dimostra che nello stesso procedimento dichiarativo della decadenza sono ampie le possibilità di difesa. E chi afferma strenuamente la natura di giudice e la funzione giurisdizionale della Giunta – come fa Augello a fini di rinvio – non dovrebbe poi lamentare la mancanza di rimedi. È un cane che si morde la coda.

Le trappole sono infinite. Vanno contrastate in Commissione le richieste strumentali di rinvio, come quelle già avanzate. La posizione del PD che vede il voto sulle pregiudiziali come assorbente anche per la relazione è conforme al regolamento, e opportuna. Soprattutto, apre a una rapida nomina di un nuovo relatore, per regolamento necessaria. Poi si ricomincia, e non finirà in due o tre giorni.

Nel frattempo, ricordiamo al condannato Berlusconi di leggere anche il comma 2 dell’art. 7 della Carta: “Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”. Tale riteniamo appunto l’evasione fiscale, beninteso – come dice la Carta – nelle nazioni civili.