Le parole del Presidente Napolitano sulle ipotesi di “secessione padana”

EMERGENZA COSTITUZIONALE

A Venezia, parlando al “popolo padano”, Bossi rispolvera il totem della secessione, vagheggiando di una via democratica e referendaria (Bossi: “Secessione nel Paese non c’è più democrazia” (video).; E Bossi rilancia: referendum per secessione, La Repubblica.it, 19 set. 2011.). Napolitano risponde subito che agitare ancora la bandiera della secessione significa porsi fuori della storia e della concreta realtà del mondo d’oggi(Il Presidente Napolitano sulla secessione (video)). Reguzzoni, capogruppo leghista alla Camera, obietta che al di sopra del Capo dello Stato c’è il popolo sovrano, e che esiste il principio di autodeterminazione dei popoli(Reguzzoni sul popolo sovrano e sull’autodeterminazione (video)). Il 30 settembre a Napoli, parlando agli studenti e ai docenti della Facoltà di giurisprudenza dell’Università Federico II, Napolitano rincara la dose: non esiste un popolo padano; è ridicolo rispolverare uno Stato lombardo-veneto; fin quando si strilla su un prato va bene, ma se si andasse oltre lo Stato non potrebbe non reagire, come del resto già accadde nell’immediato dopoguerra nei confronti del separatismo siciliano(Secessione, Napolitano durissimo con la Lega “Gridano sui prati, popolo padano non esiste”, La Repubblica.it, 30 set. 2011). La protesta dei leghisti si alza violenta. Parole minacciose e destabilizzanti, quelle di Napolitano(Napolitano insiste: “Il Paese o cresce insieme o non cresce”. Rivolta della Lega, Il Fatto quotidiano, 1 ott. 2011; Calderoli pizzica Napolitano. Riforma o autodeterminazione, Libero-news.it, 1 ott. 2011).
Una secessione è il distacco unilaterale di una parte del territorio da uno Stato, al fine della formazione di un nuovo Stato indipendente e sovrano, o dell’aggregazione a un altro Stato preesistente. È comunque un evento traumatico, dal momento che il distacco è voluto e praticato da una parte sola. Furono atti di secessione quelli degli Stati del Sud che abbandonarono tra la fine del 1860 e l’inizio del 1861 la federazione statunitense. Ne venne la guerra civile. Non si può mai parlare di secessione come se fosse un tè delle cinque.
Ma – dicono i leghisti – la secessione si fonda sul diritto di autodeterminazione dei popoli. È richiamato dall’art. 1, comma 2, della Carta delle Nazioni Unite(Carta Nazioni Unite, art. 1, comma 2). Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, del 1966, dispone all’art. 1, comma 1: “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”. Per il comma 3 gli Stati contraenti debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione e rispettare tale diritto(Patto internazionale sui diritti civili e politici, art. 1, commi 1 e 3). Il Patto è stato ratificato dall’Italia con legge L. 25 ottobre 1977, n. 881(L. 25 ottobre 1977, n. 881, in G.U. 7 dicembre 1977, n. 333 (suppl. ord.). E dunque non è dubbio che il principio di autodeterminazione nei termini anzidetti sia stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico.
Ma allora hanno ragione i leghisti? No. Anzitutto, l’autodeterminazione presuppone l’esistenza di un popolo. Un concetto che certo non si applica a qualsiasi aggregazione di persone per il solo fatto di coesistere in un medesimo territorio. Presuppone una individuazione identitaria: per etnia, lingua, religione, storia, cultura o altro. In effetti, proprio il territorio non è elemento indispensabile. Ad esempio, esiste un popolo Rom, non legato a una collocazione geografica specifica, e che tuttavia mantiene e custodisce altri connotati che lo qualificano come popolo. Mentre il “popolo padano” non presenta alcuna caratteristica percepibile che lo distingua dagli altri italiani, salvo forse la maggiore e più spiccata voglia di pagare meno tasse, e di tenere tutti per sé i proventi di quelle pagate.
Del resto, quand’anche in un medesimo Stato convivano più popoli in senso proprio, ciò non attribuisce ad alcuno un automatico diritto alla secessione. È necessario che ci si trovi di fronte a situazioni di sopraffazione, violazione di diritti, negazione dell’identità. La Corte Suprema del Canada, dopo i referendum secessionisti del Quebec (1980 e 1995), ha seccamente rigettato l’ipotesi che il diritto internazionale garantisse al Quebec un diritto alla secessione unilaterale(In re: Secession of Quebec, [1998] 2 S.C.R. 217. La House of Commons canadese ha poi approvato a larga maggioranza, il 27 novembre 2006, una mozione di iniziativa governativa per cui “the Québécois are a nation within a united Canada”. L’ampio consenso non ha cancellato il dubbio che ne venissero favorite nuove tensioni secessioniste). Tra l’altro argomentando che di diritto all’autodeterminazione nemmeno si parla laddove i secessionisti si autogovernano in casa propria con ampi poteri. È appena il caso di rilevare che proprio questo accade con la Lega: al governo di regioni ed enti locali nei territori “padani”, ed anche a Roma da anni.
Ma si potrebbe comunque praticare una via democratica alla secessione, in specie attraverso un referendum “padano”?
Compatibilmente con la Costituzione in vigore, certamente no. Anzitutto, il referendum è consentito solo per l’abrogazione di leggi vigenti (art. 75) o per la formazione di leggi costituzionali (art. 138). Altre forme non sono né previste né consentite. E in ogni caso osta il dettato dell’art. 5 Cost.: la Repubblica è “una e indivisibile”. Una secessione comporta sempre una separazione di parte del territorio. E dunque “divide”. Il principio della indivisibilità comprende certamente anche un profilo di integrità territoriale. E si opporrebbe – come limite alla revisione costituzionale – a una modifica della Costituzione che volesse introdurre referendum di autodeterminazione.
Infine, il popolo sovrano. Come stabilisce l’art. 1, la sovranità popolare si esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. E dunque non c’è, né sul tema della secessione né su qualsiasi altro, alcun supremo volere popolare che possa stravolgere l’architettura di checks and balances scritta in Costituzione.
Bene ha fatto il Presidente Napolitano – nel rispondere a una domanda che proprio io gli ho posto – a usare parole nette e chiare. Sarà pur vero che i leaders leghisti ritrovano antichi mantra per tenere a freno una base sempre più riottosa e scontenta per la pessima azione di governo, e per la coabitazione con sgradevoli coinquilini. Ma sulle cose serie – come l’unità del paese – non si scherza, mai.