Libera impresa o stato criminale?

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Non ho mai avuto dubbi sul revisionismo-riformismo costituzionale italiano. Sulla sua matrice politico-culturale, sugli obiettivi reali cui mirava e mira. Non mi stupisce, quindi, solo mi indigna la proposta del Ministro Tremonti , in pieno accordo (e non c’era da dubitarne) col presidente Berlusconi, di modificare l’articolo 41 della Costituzione. Dove è scritto che l’ iniziativa economica privata è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e che la legge “determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, sia pubblica che privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Il Ministro ritiene che si dovrebbe poter derogare per tre anni da tali norme al fine di favorire la ripresa liberando dagli adempimenti richiesti le iniziative economiche che emergessero per lo “small business” (escludendo finanza e urbanistica). L’enfasi con cui Tremonti accompagna la proposta è però eccessiva, sospetta. A motivarla rispolvera il vecchio assioma secondo cui “l’eccesso di regole blocca lo sviluppo”. Inalbera l’onesta bandiera con la scritta “tutto deve essere libero tranne ciò che è proibito” e si propone come apostolo di questa nuova “rivoluzione liberale”.
L’intento reale della proposta sembra quindi altro. All’eccesso di regole si potrebbe provvedere subito con una legge ordinaria che elimini ogni “eccesso” nelle materie di competenza esclusiva dello Stato e che varrebbe come determinazione dei principi generali della legislazione concorrente delle Regioni. Ma è l’eccesso di regole che il Ministro combatte o invece le regole come tali? Quelle che risultano prescritte in Costituzione e che riguardano, ad esempio, la sicurezza, la libertà, la dignità umana dei lavoratori dipendenti delle imprese, dei cittadini che entrano in contatto con le imprese o sono investiti dai cascami dell’attività produttiva o dalla qualità dagli stessi prodotti ? O le norme che prevedono controlli sull’attività economica onde evitare che sia volta a fini asociali ?
Che la socialità non sia un principio, un valore, un obiettivo dell’indirizzo politico del governo di cui l’onorevole Tremonti è autorevolissimo ministro è più che noto. Ma che si debba giungere, in Italia, a considerare irrilevante l’asocialità dei fini, dei mezzi, dei prodotti di una o più imprese non può che porsi come delittuoso. E non può che configurarsi come concorso in omicidio continuato o in strage l’esclusione dei controlli concernenti la sicurezza sul lavoro anche se detta esclusione derivasse dalla legge. Lo stato italiano merita di diventare stato-criminale? Non le chiedo di rispondere, ma di riflettere, onorevole Tremonti.