Per il Tribunale di Milano la guerriglia armata non è terrorismo.

Per il Tribunale di Milano la guerriglia armata non è terrorismo e deve essere valutata nel contesto delle operazioni belliche e quale diretta reazione all’uso generale di «strumenti ad altissima potenzalità offensiva» impegati dalle forze di occupazione. L’appello del p.m. del 29/01/05.

N. 28491/04 R.G. N.R. N. 5774/04 R.G. G.I.P.
Tribunale di Milano Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice dr. Clementina Forleo,
all’esito del giudizio abbreviato celebrato nel procedimento penale a margine indicato, nei confronti di:
*DRISSI Noureddine, nato in Marocco il 29.3.1965 presente all’udienza detenuto presso la Casa Circondariale “San Vittore” di Milano difeso di fiducia dall’Avv. Giuseppe DE CARLO, viale Brianza, 32 Milano
*HAMRAOUI Kamel Ben Mouldi, nati a Beja (Tunisia) il 21.10.1977 presente all’udienza detenuto presso la Casa Circondariale “San Vittore” di Milano difeso di fiducia dall’Avv. Ilaria CREMA, via Bulloni, 12 del foro di Brescia
IMPUTATI
l) del delitto p. e p. dall’art. 270 bis c.p., in quanto si associavano tra loro e con altre persone, tra cui Mohammed Tahir Hammid (già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), Trabelsi Mourad (imputato in separato procedimento pendente davanti all’A.G. di Brescia), El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, Ciise Maxamed Cabdullah, Mohamed Amin Mostafà, Abderrazak Mahjoub, Muhamed Majid alias Mullah Fouad, Housni Jamal alias Jamal Al Maghrebi (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d’Assise di Milano) Daki Mohammed, Toumi Ali Ben Sassi e Bouyahia Maher Ben Abdelaziz (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato) allo scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale, in Italia ed all’estero, all’interno di un’organizzazione sovra-nazionale, localmente denominata con varie sigle (tra cui “Ansar Al Islam”), comunque operante sulla base di un complessivo programma criminoso, condiviso con similari organizzazioni attive in Europa, Nord Africa, Asia e Medio Oriente, contemplante: °preparazione ed esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi – ovunque collocati riconducibili agli Stati, occidentali e non, ritenuti “infedeli” e nemici; il tutto nel quadro di un progetto di “Jihad”, intesa, secondo l’interpretazione della religione musulmana propria dell’associazione, nel senso di strategia violenta per l’affermazione dei principi “puri” di tale religione; °il favoreggiamento della immigrazione illegale in Italia e verso altri Stati dei militanti; °il procacciamento di documenti falsi di identità per i componenti dell’organizzazione; °il reclutamento di una pluralità di persone da inserire nell’associazione ed eventualmente inviare in campi di addestramento ubicati principalmente in Iraq; °l’invio dei militanti nelle “zone di guerra” a sostegno delle attività terroristiche ivi progettate ed eseguite contro il “nemico infedele”; °la raccolta dei finanziamenti necessari per il raggiungimento degli scopi della organizzazione; °il proselitismo effettuato (anche nei luoghi di culto e di riunione siti in Milano, come la moschea di Via Quaranta ed un appartamento di Via Cilea n. 40) attraverso videocassette, audio-cassette, documenti propagandistici e sermoni incitanti al terrorismo ed al sacrificio personale in azioni suicide destinate a colpire il nemico “infedele”; °la predisposizione, comunque, di tutti mezzi necessari per l’attuazione del programma criminoso dell’associazione e per il sostegno ai ” fratelli” ovunque operanti secondo il descritto programma. In particolare, operando nella associazione: – Muhammad Majid (alias Mullah Fouad), Abderrazak Madjoub, Ciise Maxamed Cabdullaah ed El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, con funzioni direttive ed organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) nell’ambito della cellula operante in Milano ed in altre zone del territorio italiano (Muhammad Majid e Ciise Maxamed Cabdullaah, in particolare, nel periodo della propria permanenza in Italia), nonché il Ciise Maxamed Cabdullaah anche a livello internazionale; condotta consistita per i primi tre anche nel fungere da raccordo tra i vertici dell’organizzazione transnazionale e l’attività dei membri della cellula italiana; per il quarto anche nel coordinare l’attività dei membri della cellula locale; per tutti nel coordinare l’approvvigionamento di documenti falsi; – Hamraoui Kamel Ben Mouldi e Drissi Noureddine, con funzioni organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) consistite nel coordinare l’attività dell’associazione in varie località del Nord Italia (tra cui, oltre Milano, anche Cremona e Parma) anche allo scopo di eludere le indagini delle competenti autorità concentratesi principalmente sull’attività svolta nella città di Milano, sede principale della cellula italiana; – Mohamed Amin Mostafa, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nell’assicurare il necessario supporto per l’invio definitivo, in vista dei fini sopra indicati, di persone, documenti e denaro nel Kurdistan iracheno (in alcuni casi attraverso la Siria); – Daki Mohammed, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nel dare ospitalità e nell’assicurare approvvigionamento di documenti falsi a membri dell’associazione (tra cui lo stesso Ciise Maxamed Cabdullaah); – Bouyahia Maher Ben Abdelaziz, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.pp), fungendo da raccordo in territorio turco (segnatamente nella città di Instanbul) tra i capi dell’organizzazione transnazionale e l’attività dei membri della cellula italiana; – Housni Jamal, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), svolgendo la propria attività, secondo le direttive impartitegli da El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, sia in territorio italiano che in territorio estero (recandosi, ad es., in Turchia presso il gruppo di Bouyahia Maher Ben Abdelaziz per recapitare loro materiale vario su ordine di El Ayashi); – Toumi Ali, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), provvedendo principalmente al reperimento di documenti falsi e di altro materiale logistico (computer, telefoni, etc.) necessari allo svolgimento dell’attività associativa.
Associazione avente il suo principale centro operativo italiano in Milano, tuttora operante anche in altre località nel territorio italiano (oltre che all’estero) a partire almeno dal luglio 2001; (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all’atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).
2) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 12 commi 1 ° e 3° D.L.vo 286/1998 (ora modificato dalla L. 189/2002), in quanto, in concorso tra loro e con altre persone, tra cui Mohammed Tahir Hammid (già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), Trabelsi Mourad (imputato in separato procedimento davanti all’A.G. di Brescia), El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, Mohamed Amin Mostafà, Abderrazak Mahjoub, Muhamed Majid alias Mullah Fouad, Housni Jamal alias Jamal Al Maghrebi (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d’Assise di Milano) Toumi Ali Ben Sassi e Bouyahia Maher Ben Abdelaziz (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato), compivano, in violazione delle disposizioni di legge regolanti la materia, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, atti diretti a procurare l’ingresso illegale di una pluralità di persone nel territorio dello Stato, ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altri Stati del quale le suddette persone non erano cittadine o non avevano titolo di residenza permanente, con le condotte già descritte nei capi precedenti. In particolare, provvedevano anche a procurare documenti falsi a persone che arrivavano in Italia anche allo scopo di transitare, successivamente, in altri Stati (prevalentemente presso campi di addestramento in Iraq). Fatto aggravato dall’essere stato commesso da più di tre persone in concorso tra loro. Con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 1 L. 6.2.80 n. 15, avendo commesso i reati per finalità di terrorismo.
Reati accertati o commessi in Milano ed in altre località nel territorio italiano dal luglio 2001 al novembre 2003 (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all’atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).
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conclusioni delle parti:
Il P.M. ha chiesto rigettarsi l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa. Nel merito ha chiesto la condanna degli imputati alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione e di euro 16.000,00 di multa, previa derubricazione del ruolo rivestito dai predetti nel reato di cui al capo a) in quello di partecipe.
La difesa ha preliminarmente eccepito l’incompetenza territoriale di questa A.G. essendosi il fatto commesso in Cremona, con conseguente competenza dell’A.G. di Brescia ex art.51/3 bis c.p. Nel merito, la difesa di DRISSI ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato o perchè l’imputato non lo ha commesso; in subordine ha chiesto la concessione delle circostanze attenuanti generiche; la difesa dell’HAMRAOUI ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste o perchè l’imputato non lo ha commesso.
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ha pronunciato la seguente
SENTENZA art.22/3 c.p.p.
ORDINANZA art.299/3 u.p. c.p.p.
MOTIVI della DECISIONE
In data 29.3.2004, a seguito di richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti di di Trabelsi Mourad in ordine ai medesimi reati di cui all’attuale imputazione, questo giudice emetteva sentenza di incompetenza per territorio in favore dell’A.G. di Brescia, ritenendo la stessa competente per l’intera “cellula” di cui all’imputazione all’epoca formulata. Di seguito, in data 3.8.2004, perveniva richiesta di rinvio a giudizio concernente le posizioni degli altri imputati di cui all’attuale incriminazione (fatta eccezione per Mohammed Tahir Hammid per il quale era nel frattempo intervenuta sentenza ex art.444 c.p.p.), alcuni dei quali chiedevano procedersi con le forme del giudizio abbreviato. Tra quest’ultimi, gli imputati Drissi Noureddine e Hamroaui Kamel Ben Mouldi, risultati nel corso delle indagini in stretto contatto con il Trabelsi. I difensori dei due eccepivano preliminarmente l’incompetenza territoriale di questa A.G. in favore di quella bresciana, e questo giudice si riservava la decisione all’esito della discussione.
Alla luce della riformulazione dell’imputazione rispetto a quella elevata in ordine alla posizione del Trabelsi, nonchè soprattutto in base alle indagini successivamente compiute – ed in particolare agli interrogatori resi da taluni coimputati ed imputati in procedimenti connessi nonchè agli atti acquisiti nel giudizio abbreviato ex art.441/5 c.p.p. – va confermata la competenza di detta A.G. in ordine al c.d. gruppo cremonese, e dunque anche in ordine alle posizioni dei due attuali imputati Drissi e Hamraoui, ma va invece affermata la competenza di questa A.G. in ordine al c.d. gruppo milanese, ossia alle posizioni degli altri imputati. Come infatti già evidenziato nel decreto di rinvio a giudizio emesso in data 29.9.2004 nei confronti degli imputati che non hanno optato per il rito speciale, dall’insieme degli atti processuali – peraltro di seguito integrati ex art.441/5 c.p.p. – emerge all’evidenza la pluralità di più ” cellule” di matrice islamico-fondamentalista gravitanti in aree eversive operanti nel territorio nazionale e la sostanziale autonomia, anche nelle loro precipue finalità, delle stesse, e ciò pur in presenza di evidenti e necessari collegamenti tra le medesime ed altre, collaterali, stanziate all’ estero. Sempre da detti atti emerge pure l’incentrarsi della “cellula” della quale facevano parte tutti gli altri imputati nel territorio milanese, in cui la stessa trovava appunto il suo epicentro logistico. Tale valutazione prescinde evidentemente dallo stanziamento dei singoli membri nel territorio dello Stato e si impernia necessariamente sulla base operativa dei gruppi in questione. Tanto si afferma in quanto sia i due curdi abitanti a Parma – Mohammed Tahir Hammid e Mohamed Amin Mostafà – pur nei loro appurati contatti con il gruppo cremonese ed in particolare con il Trabelsi, sia Daki Mohamed, domiciliato a Reggio Emilia, risulta operassero in stretto contatto con i membri dell’organizzazione stanziati in Milano, ed in particolare con l’El Ayashi, con il Nasr Osama, oltre che con il Mullah Fouad (nel periodo in cui quest’ultimo era stanziato in Italia), loro referenti primari.
All’esito del giudizio abbreviato deve pertanto affermarsi la competenza dell’A.G. bresciana con riguardo alle posizioni degli imputati Drissi e Hamraoui, i quali peraltro risultano dagli stessi atti indagati presso tale A.G. in parallelo procedimento avente ad oggetto i medesimi titoli di reato, assorbenti le attuali incriminazioni.
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Va nondimeno evidenziato come all’esito del giudizio abbreviato, conclusosi per gli altri imputati con sentenza assolutoria dal reato di cui all’art.270 bis c.p., sulla base degli elementi di prova allo stato ed in questa sede utilizzabili, non possano al riguardo ritenersi persistenti i gravi indizi in ordine a tale reato neppure per il c.d. gruppo cremonese, per la parte evidentemente concernente il presente procedimento come finora sviluppatosi. Ciò si precisa ai soli effetti del regime cautelare in atto nei confronti dei due imputati in questione, non detenuti nell’ambito del parallelo procedimento bresciano.
Sul punto va innanzitutto rilevato come gli atti di causa debbano essere sfrondati dagli atti affetti da inutilizzabilità patologica, ed innanzitutto dalle c.d. fonti d’intelligence, ossia dai numerosi dati provenienti da ” acquisizioni informative” o “investigative” non meglio precisate, o da acquisizioni assunte in “contesti di collaborazione internazionale” o asseritamente provenienti da “segnalazioni da parte di organismi americani” o da “dati forniti dal BKA tedesco”, anch’esse prive di qualsivoglia supporto genetico degno di rilievo processuale e non puntalmente riscontrate da atti processualmente rilevanti. Lo stesso è a dirsi per gli atti compiuti all’estero e non assistiti dalle garanzie difensive che l’ordinamento interno pone ad imprescindibile fondamento dell’utilizzabilità di tali atti, ed in particolare alle audizioni di soggetti assunti come testimoni anzichè come indagati in procedimenti all’evidenza connessi e dunque senza le dovute garanzie difensive. Ci si riferisce soprattutto alle audizioni di ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall’autorità norvegese ed acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria. Analoghi rilievi di inutilizzabilità processuale riguardano con altrettanta evidenza i dati provenienti dalle c.d. fonti aperte, ossia da informazioni giornalistiche o assunte per via telematica.
Tanto premesso, può dirsi con margini di ragionevole certezza ed al di là delle reticenti dichiarazioni di taluni imputati, che entrambe le ” cellule” in questione avevano come precipuo scopo il finanziamento, e più in generale il sostegno, di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali, presumibilmente stanziate nel nord dell’Iraq. A tal scopo, infatti, erano organizzati sia la raccolta e l’invio – attraverso canali ritenuti “sicuri” – di somme di denaro, sia l’arruolamento di volontari – tutti stranieri e tutti di matrice islamico-fondamentalista – da far giungere in dette zone evitando ogni possibile intoppo nelle loro trasferte, e dunque attraverso percorsi anch’essi ritenuti “sicuri” e con documenti spesso contraffatti. L’attività delle “cellule” in questione, per quanto sempre risulta da detti atti, si colloca storicamente in concomitanza dell’attacco statunitense all’Iraq, avvenuto com’è noto nel marzo del 2003 ma notoriamente previsto come altamente probabile all’indomani del conflitto in Afghanistan, nel quale pure tali gruppi risultano essere stati attivi. Numerose conversazioni intercettate fanno peraltro riferimento a tale accadimento ed alla necessità di arginare il più possibile i prevedibili nefasti effetti, aiutando “i fratelli” presenti nelle zone del conflitto, sia economicamente sia, appunto, rinforzando i contingenti armati attraverso l’invio di combattenti.
Non risulta invece provato, nonostante gli encomiabili sforzi investigativi compiuti, che tali strutture paramilitari prevedessero la concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia da innescare in detti o in altri prevedibili contesti bellici e dunque incasellabili nell’ambito delle attività di tipo terroristico di cui all’art.270 bis c.p. come novellato all’indomani dei noti e tragici fatti dell’11.9.2001.
La nozione di terrorismo, com’è noto, diverge da quella di eversione e come questa non è definita in via normativa, dovendosi dunque ricavare in via ermeneutica, sia sulla base del contenuto delle convenzioni internazionali sul punto, sia, soprattutto, riflettendo sulla “ratio” e sulla genesi della norma penale in questione. Emblematico sotto il primo profilo appare il tenore della Convenzione Globale dell’O.N.U. sul Terrorismo, progettata nel 1999, che all’art.18/2 prevede un’esimente in ordine alle sanzioni in essa previste, in forza della quale le stesse non riguardano le forze armate ed i gruppi armati o movimenti diversi dalla forze armate di uno Stato nella misura in cui si attengano alle norme del diritto internazionale umanitario. Proprio da tale normativa, ed in particolare da detta esimente, si ricava che le attività violente o di guerriglia poste in essere nell’ambito di contesti bellici, anche se poste in essere da parte di forze armate diverse da quelle istituzionali, non possono essere perseguite neppure sul piano del diritto internazionale, a meno che – ed ecco che in tal caso l’esimente in questione non opera – non venga violato il diritto internazionale umanitario. Da tale ultimo limite può ricavarsi dunque che le attività di tipo terroristico rilevanti e dunque perseguibili sul piano del diritto internazionale siano quelle dirette a seminare terrore indiscriminato verso la popolazione civile in nome di un credo ideologico e/o religioso, ponendosi dunque come delitti contro l’umanità.
A confortare tale impostazione interviene la “ratio” della norma di cui all’art.270 bis c.p., com’è noto novellata a seguito dei noti e tragici fatti dell’11.9.2001. La modifica, che ha appunto esteso il rilievo penale dei fatti in tale norma già previsti anche ai casi in cui gli stessi fossero posti ai danni di uno Stato estero, voluta d’emergenza all’indomani di tali fatti parallalemente ad analoghi interventi legislativi posti in essere in altri paesi, ha evidentemente perseguito la finalità di creare una sorta di diritto penale sovranazionale con il quale tutelare i singoli Stati da attentati terroristici di ampio spettro, speculari di strategie politiche autonome e risolutive. L’estendere tale tutela penale anche agli atti di guerriglia, per quanto violenti, posti in essere nell’ambito di conflitti bellici in atto in altri Stati ed a prescindere dall’obiettivo preso di mira, porterebbe inevitabilmente ad un’ingiustificata presa di posizione per una delle forze in campo, essendo peraltro notorio che nel conflitto bellico in questione, come in tutti i conflitti dell’era contemporanea, strumenti di altissima potenzialità offensiva sono stati innescati da tutte le forze in campo.
Tanto premesso, va rilevato come in punto di fatto non può ritenersi provato, neppure in termini di gravità indiziaria, che le due “cellule” in questione, pur gravitando in aree notoriamente contrassegnate da propensioni al terrorismo, avessero obiettivi trascendenti quelli di guerriglia come sopra delineati. Al riguardo non può dirsi sufficiente a fondare l’ipotizzata responsabilità penale, la comune appartenenza a realtà eversive ed a strutture, quale quella denominata “Ansar Al Islam” – peraltro bombardata e distrutta nel corso di tale conflitto – dalla composizione tutt’altro che omogenea ed anzi alquanto articolata e complessa. Sotto tale ultimo profilo va evidenziato come la variegata gamma di posizioni, tutte di matrice islamico-fondamentalista, confluenti nella menzionata struttura “Ansar Al Islam” sia stata delineata dal coimputato ” collaboratore” Mohammed Tahir Hammid, il quale, pur nella evidente prospettiva di un trattamento sanzionatorio alquanto mite poi ottenuto ex art.444 c.p.p., ha infatti spiegato che tale formazione era alquanto eterogenea, facendo ad essa capo vari modi di intendere l’opposizione ai regimi “nemici”, pur nella comune e dunque omogenea matrice islamico-fondamentalista dei vari sostenitori e simpatizzanti. Le ultime dichiarazioni del predetto parlano al riguardo chiaro. Il Mohammed Tahir ha infatti riferito genericamente di “aver sentito dire” che ” Ansar Al Islam” era “in contatto con Al Qaeda” e che aveva in progetto anche di utilizzare “kamikaze” per azioni di guerriglia all’interno dei confini iracheni, senza fornire alcun elemento di diretta cognizione al riguardo, e anzi significativamente aggiungendo che la svolta verso dette forme di violenza era oggetto di discussione tra i componenti dell’organizzazione, affermando altresì di essere un islamista moderato e di non condividere la deriva violenta di detta formazione. Ha inoltre aggiunto che alcuni dei suoi coimputati, quali l’El Ayashi, “si stavano avvicinando a detta organizzazione”, così confermando dunque che gli stessi non vi erano organicamente inseriti.
Sempre in ordine all’organizzazione “Ansar Al Islam”, va poi evidenziato il tenore della documentazione sequestrata al suo vertice Mullah Krekar, arrestato in Olanda e poi scarcerato ed espluso in Norvegia. In uno di tali atti, concernente l’ideologia del gruppo e la sua matrice islamico-fondamentalista, si parla infatti di addestramenti militari al fine di affrontare “combattimenti sul fronte”, nonchè di “tunnel e cave” costruti per difendersi dai “raid aerei soprattutto dopo gli ultimi bombardamenti sopra Tora Bora nel caso ci fossero degli attacchi dell’ alleanza americana britannica”. Il documento in questione si conclude con una chiosa per così dire “profetica”. Si legge infatti: “Scrivo queste righe prima dell’attacco americano in Iraq e probabilmente anche noi verremo colpiti anche se stiamo prendendo delle misure protettive per le nostre trecento famiglie, alcuni si nascondono in Iran, ma anche lì hanno la vita dura e difficile… perchè si presume che gli americani attaccheranno le città di Halja e Siruane che sono strategiche, e se queste città verranno liberate potremmo iniziare l’era dell’Emirato Islamico che opererebbe in associazione con l’organizzazione delle Nazioni Unite. E infine chiedo a Dio di darci la forza e la vittoria. Il vostro fratello Abu Sayed Kutub Fateh Krekar.
Sia da tali elementi, sia dalle riportate dichiarazioni di Mohammed Tahir può dunque ricavarsi che “Ansar Al Islam” era strutturata come una vera e propria organizzazione combattente islamica, munita di una propria milizia addestrata appunto alla guerriglia e finanziata anche da gruppi stanziati in Europa ed evidentemente gravitanti nell’area del fondamentalismo islamico, senza perciò avere obiettivi di natura terroristica, probabilmente e verosimilmente propri solo di alcuni di suoi membri. E’ da evidenziarsi peraltro come dal riportato manoscritto a firma del Mullah Krekar era stata dallo stesso prevista la possibilità di un’ istituzionalizzazione, addirittura nell’ambito delle Nazioni Unite, dell’ organizzazione in questione.
Sempre sulle appurate finalità delle due “cellule” in questione vanno anche menzionate le dichiarazioni rese dall’imputato El Ayashi in data 29.7.2004, laddove lo stesso ammette di aver inviato combattenti in medioriente nel 2003 “per ragioni di Jahad”, ossia “per opporsi agli invasori”, in concomitanza appunto con l’attacco americano e per combattere con tro lo stesso, e ciò attraverso il canale siriano gestito dal coimputato Mullah Fouad. In questo senso, a parere della scrivente, devono peraltro essere intese le più significative conversazioni intercettate. E’ il caso del riferimento alla “grande bomba” che “sta arrivando” di cui alla conversazione telefonica intervenuta in data 11.3.2003 ore 11.40 tra l’attuale imputato Drissi e Trabelsi Mourad, evidentemente i due interlocutori riferendosi all’imminente attacco americano all’Iraq, com’è noto scoppiato proprio in quei giorni. Si pensi ancora alla “maledizione” di cui alla conversazione intervenuta in data 1.4.2003 tra l’El Ayashi e Ciise Mahamed all’interno della camera di sicurezza della locale Questura, e il chiaro riferimento alla ormai intervenuta guerra all’Iraq ed alla posizione al riguardo assunta dal governo italiano, con commenti all’evidenza tutt’altro che inequivocabilmente riferibili ad attività di tipo terroristico in concreto programmate. Altra conversazione emblematica in tal senso quella intervenuta in data 30.3.2003 ore 20.41, ossia ad attacco americano già avvenuto, tra il citato El Ayashi e l’attuale imputato Hamraoui, nel corso della quale quest’ultimo comunica che il Trabelsi, sentiti altri personaggi di spicco del gruppo, avrebbe deciso che “non hanno bisogno di uomini lì, hanno bisogno di uomini qui”, precisando lo stesso che ” metà degli uomini cercano finanziamenti, metà restano qui”, all’evidenza riferendosi, quanto agli uomini che restano “qui”, ai finanziatori di quei combattimenti. Lo stesso è a dirsi per la conversazione intervenuta tra il Mullah Fouad e l’El Ayashi sempre in data 30.3.2003, nel corso della quale il primo richiede l’invio di combattenti adeguatamente addestrati, di “gente che colpisca il ferro”, sollecitando l’interlocutore a cercare anche “quelli che stavano in jaban”, alludendo secondo la prospettazione accusatoria (ma il riferimento appare in verità alquanto ambiguo) all’invio di uomini disposti, comunque sempre in quel contesto, al diretto sacrificio umano.
Non risulta inoltre da alcun atto degno di rilievo processuale che le due “cellule” in questione fossero legate all’organizzazione “Al Tawid” della quale sarebbe vertice il noto terrorista Al Zarqawi. Sotto tale profilo va evidenziato come l’utenza telefonica asseritamente in uso a quest’ultimo personaggio fosse tutt’altro che corrispondente (ed anzi differente per ben cinque cifre) a quella che nella conversazione del 9.3.2003 intercorsa tra l’El Ayashi e i due curdi residenti a Parma, viene indicata come in uso al Mullah Fouad. Neppure risultano legami penalmente rilevanti di tali gruppi con quelli, pur della stessa matrice ideologica, responsabili di attacchi di pacifica natura terroristica, non potendo al riguardo farsi leva sulla presunta analogia della “potenziale progettualità operativa degli spostamenti di uomini e di risorse” nè tanto meno sulla asserita ” circolarità di rapporti” tra soggetti gravitanti nei medesimi ambienti eversivi, e dunque su loro rapporti di conoscenza o di pregressa frequentazione.
Ad incidere sulle esposte considerazioni non può neppure invocarsi la circostanza in base alla quale gli imputati non erano di nazionalità irachena e dunque non avrebbero potuto legittimamente battersi in guerra contro il “nemico” americano. E’ evidente infatti come la scriminante prevista dalla citata convenzione riguardi le forze belligeranti facenti parte delle opposte fazioni in lotta, a prescindere dalla nazionalità dei singoli individui combattenti qualora accomunati da un’unica matrice strategico-ideologica.
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Rimarranno perciò da appurare, nel futuro corso del procedimento bresciano, sia i legami penalmente rilevanti tra i due attuali imputati e gli altri imputati di quel procedimento, sia d’altro canto le eventuali attività terroristiche da tale “cellula” in concreto programmate. A tal ultimo riguardo non può non rilevarsi come gli atti del procedimento bresciano acquisiti ex art.441/5 c.p.p. e concernenti l’audizione in incidente probatorio del “collaboratore” Zouaoi Chokri, finiscano in ultima analisi per avallare tale valutazione. Le dichiarazioni del predetto relative a presunti attentati da commettere sul territorio italiano, appaiono infatti fondate su deduzioni dallo stesso ricavate da discorsi in linguaggio criptico asseritamente tenuti in sua presenza da soggetti assolutamente estranei al presente procedimento. D’altra parte, come affermato dal P.M. in udienza, va evidenziato come le dichiarazioni che tale “collaboratore” avrebbe reso nell’ambito di altro procedimento milanese e di cui vi è traccia in detto atto, non riguarderebbero le due “cellule” in questione.
Quanto sopra, si ripete, lungi dall’anticipare valutazioni di merito non certo spettanti alla scrivente in ordine alla posizione dei due predetti, vale solo ai fini della revoca della misura cautelare in atto nei confronti degli stessi nell’ambito del presente procedimento in ordine al reato associativo loro contestato. Per tali motivi, il reato di cui all’art.12 d.lvo 286/1998 andrà liberato dalla circostanza aggravante di cui all’art.1 l.15/1980.
P.Q.M.
visto l’art. 22/3 c.p.p.
DICHIARA
la propria incompetenza per territorio ed
ORDINA
l’immediata trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Brescia, anche per gli adempimenti connessi alla rinnovazione della misura cautelare in atto come di seguito limitata;
visto l’art.299/3 u.p. c.p.p.
REVOCA
la misura cautelare in atto nei confronti dei due imputati per sopravvenuta carenza di gravi indizi in ordine al reato di cui al capo 1), ed escludendo dal reato di cui al capo 2), l’aggravante di cui all’art.1 l.15/1980, sempre per sopravvenuta carenza di gravi indizi al riguardo.
ORDINA
la formale scarcerazione degli stessi limitatamente a tali ipotesi.
Milano, 24.1.2005
Il Cancelliere Il Giudice dr. Clementina Forleo

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PROCURA DELLA REPUBBLICA
Presso il Tribunale di Milano
N. 28491/04.21 R.G. N. R. PM Milano, 29.1.2005
N. 5774/04 R.G. G.I.P.
Al Cancelliere del Tribunale
(ex artt. 310, 309 c. 7 cpp)
M I L A N O
APPELLO EX ART. 310 cpp

Si propone appello ex art. 310 cpp avverso l’Ordinanza pronunciata dal GIP presso il Tribunale di Milano in data 24/01/2005, ex art. 299, c. 3 u.p. C.p.p., con la quale, contestualmente alla sentenza di dichiarazione di incompetenza per territorio con conseguente ordine di immediata trasmissione degli atti al PM presso il Tribunale di Brescia, revocava la misura cautelare in atto nei confronti di :
1) DRISSI Noureddine nato il 30 apr 1964 a TUNISI (TUNISIA), detenuto dal 5 maggio 2003;
2) HAMRAOUI Kamel Ben Mouldi nato il 21 ott 1977 a BEJA (TUNISIA), detenuto dall’ 1 aprile 2003;
per sopravvenuta carenza di gravi indizi limitatamente all’imputazione ex art 270 bis C.P., per la quale era stato richiesto il loro rinvio a giudizio (richiesto anche per il delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 12 commi 1° e 3° D.L.vo 286/1998, aggr. ex art. 1 L. 6.2.80 n. 15).

AMMISSIBILITA’
L’appello deve intendersi ammissibile essendo proposto non contro la sentenza dichiarativa dell’incompetenza territoriale, ma esclusivamente contro l’Ordinanza di revoca della misura cautelare in atto nei confronti dei due imputati sopra citati, in relazione ex art 270 bis cp.

PREMESSA IN FATTO
Appare opportuno, per chiarezza espositiva e per una migliore comprensione dei fatti, riepilogare preliminarmente il succedersi dei provvedimenti cautelari emessi nell’ambito del procedimento, le fasi relative al promuovimento dell’azione penale nei confronti di tutti gli imputati e le conseguenti decisioni adottate dal G.U.P. di Milano (peraltro, nella persona del medesimo magistrato che ha pronunciato l’ordinanza qui impugnata) :
A) Tra il 31 marzo ed il 25 novembre 2003, l’ufficio del GIP di Milano, nell’ambito di procedimenti originariamente separati, a conclusione di varie fasi di attività investigative svolte nei confronti di un gruppo radicale islamico operante tra le città di Milano, Cremona e Parma, con ramificazioni in altri paesi europei, emetteva i seguenti provvedimenti restrittivi a carico di cittadini stranieri (a tutti contestando – meno che alla donna indicata sub n. 12 – la violazione dell’art. 270 bis cp, oltre a vari reati in tema di immigrazione/emigrazione clandestina aggravati e ricettazione di documenti falsi) :

Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 5236/02.21 PM (n. 1511/02 GIP) del 31.3.04 a carico di:
1. EL AYASHI RADI ABD EL SAMIE ABOU EL YAZID, ALIAS MERA’I, NATO A EL GHARBIA (EGITTO) 2.1.1972, arrestato l’1.4.03;
2. CIISE MAXAMED CABDULLAAH, NATO IN SOMALIA L’8.10.1974, RESIDENTE IN INGHILTERRA; arrestato l’1.4.03;
3. MOHAMMED TAHIR HAMMID, ALIAS ABDELHAMID AL KURDI, NATO A POSHOK (IRAQ) L’1.11.1974; arrestato il 31.3.03;
4. MOHEMMED AMIN MOSTAFA, NATO A KARKUK L’11.10.1975; arrestato il 31.3.03;
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 36601/01.21 PM (n. 7464/01 GIP) dell’1.4.04 a carico di:
5. TRABELSI MOURAD, ALIAS ABU JARRAH, NATO IL 20 MAGGIO 1969 A MENZEL TEMINE (TUNISIA), IMAM DELLA MOSCHEA DI CREMONA;
6. HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI, NATO IL 21 OTTOBRE 1977 A BEJA (TUNISIA), arrestato l’1.4.03;
7. DRISSI NOUREDDINE, ALIAS ABU ALI, NATO IL 30 APRILE 1964 A TUNISI, arrestato il 5.5.03;
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 5236/02.21 PM (n. 1511/02 GIP) del 4.4.04 a carico di:
8. DAKI MOHAMED, NATO A CASABLANCA IL 29.3.1965; arrestato il 4.4.03;
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 5236/02.21 PM (n. 1511/02 GIP) del 25.11.03 a carico di:
9. BOUYAHIA MAHER BEN ABDELAZIZ, ALIAS ABU DHAR AL TUNSI, NATO A TUNISI (TUNISIA) IL 17.06.1970; arrestato il 28.11.03;
10. ABDERRAZAK MAHDJOUB, NATO IL 23.12.73 AD ALGERI (ALGERIA) DIMORANTE AD AMBURGO (GERMANIA) arrestato il 28.11.03;
11. HOUSNI JAMAL, ALIAS JAMAL AL MAGHREBI, NATO IL 22.02.1983 IN MAROCCO, arrestato il 28.11.03.
12. BENTIWAA FARIDA BEN BECHIR, NATA A TUNISI (TUNISIA) IL 03.03.1961,
13. MUHAMAD MAJID, ALIAS MULLAH FOUAD, NATO IL 01.12.1970 A BAGHDAD (IRAQ); quest’ultimo rimaneva ed e’ latitante;
Ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 40479/03.21 PM (n. 6289/03 GIP) del 25.11.03 a carico di:
14) TOUMI ALI BEN SASSI, nato a Tunisi (Tunisia) il 24.12.1965, sottoposta a fermo di P.G. il 22.11.2003, successivamente convalidato e seguito dalla citata ordinanza di custodia cautelare in carcere
B) Definizione della fase delle indagini preliminari e promuovimento dell’azione penale:
Le posizioni dei citati originari indagati, con successivi provvedimenti, venivano riunite in un unico procedimento, quello n. n. 28491/04.21 e per tutti, in data 3.8.04, veniva richiesto il rinvio a giudizio innanzi alla Corte d’Assise di Milano, ad eccezione di :
– MOHAMMED TAHIR HAMMID, ALIAS ABDELHAMID AL KURDI per il quale, in data 19.4.04, era intervenuta sentenza di applicazione della pena ex art.444 cp (nel proc. n. 5236/02.21 PM);
– TRABELSI Mourad, per il quale il rinvio a giudizio era stato richiesto anteriormente. Ma, in relazione al TRABELSI Mourad, il G.U.P. di Milano, in data 29.3.04, pronunciava sentenza di incompetenza territoriale a favore dell’A.G. di Brescia, mantenendo il suo stato di custodia cautelare.
Questo ultimo dato è rilevante ai fini che qui interessano poiché la posizione di Trabelsi era ed è assolutamente identica, sotto ogni aspetto, a quella degli imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI, per i quali viene proposta la presente impugnazione.
Successivamente, la posizione della BENTIWAA Farida veniva separata in sede di udienza preliminare dinanzi al G.U.P. a seguito di accordo delle parti sulla applicazione della pena ex art. 444 cp.
BOUYAHIA Maher Ben Abdelaziz , DAKI Mohamed, DRISSI Noureddine, HAMRAOUI Kamel Ben Mouldi e TOUMI Ali Ben Sassi chiedevano di essere giudicati con rito abbreviato.
Tutti gli altri imputati venivano rinviati al giudizio della I Corte d’Assise di Milano (udienza del 22.2.2005) con decreto del G.U.P. del 29.9.04, mantenendosi per tutti lo stato di custodia cautelare (o il provvedimento cautelare per l’unico latitante) anche in relazione al reato associativo per cui sono stati scarcerati gli imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI.
Questi i dati formali più rilevanti del procedimento, fino alla duplice separata pronuncia del GUP a seguito della celebrazione del giudizio con rito abbreviato; in data 24.1.05, infatti:
1) nei confronti di BOUYAHIA Maher Ben Abdelaziz , DAKI Mohamed e TOUMI Ali Ben Sassi, il G.U.P. di Milano pronunciava sentenza di condanna per alcune imputazioni loro contestate e di assoluzione, con mera lettura del dispositivo. Non è evidentemente contro questa sentenza che si propone impugnazione: l’appello sarà proposto nelle forme ed entro i termini di legge, successivamente al deposito della motivazione;
2) nei confronti dei soli DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI, lo stesso GUP, con separata sentenza-ordinanza, dichiarava la propria incompetenza territoriale (ordinando la immediata trasmissione degli atti al PM di Brescia), revocando nel contempo la misura cautelare in atti limitatamente all’imputazione ex art 270 bis cp. per sopravvenuta carenza di gravi indizi; in particolare, ritenendo non utilizzabili alcuni atti contenuti nel fascicolo del PM, tra cui alcune deposizioni testimoniali rese dinanzi all’A.G. Norvegese ed acquisite agli atti del PM mediante regolare rogatoria dal PM effettuata in Norvegia.
MOTIVI DELL’APPELLO
I^ motivo: Violazione di Legge, con riferimento a quanto previsto dagli artt. 279 e 299 C.P.P., non essendo riconosciuto al giudice che si dichiari incompetente per territorio il potere di deliberare contestualmente in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di responsabilità legittimanti una misura cautelare in atto
Va rilevato, innanzitutto, che seppure può ben riconoscersi al GIP, nell’ambito del giudizio abbreviato, il potere di verificare la permanenza delle condizioni in fatto ed in diritto legittimanti le misura cautelari eventualmente emesse nel corso delle indagini preliminari, potere che discende dai principi generali, e che trova per altro specifico conforto in quanto disposto dall’art 299 C.P.P. terzo comma in tema – per l’appunto – di revoca e sostituzione delle misure (atteso che nella individuazione dell’udienza preliminare quale luogo processuale nel quale il Giudice che procede può intervenire in tema di revoca delle misure ben può comprendersi il giudizio abbreviato quale giudizio che nasce, si inserisce nell’udienza preliminare e che si svolge secondo le norme di quell’udienza), deve rilevarsi come quel potere debba essere esercitato a norma dell’art 279 C.P.P. dal Giudice che procede (detto articolo, infatti, per l’appunto stabilisce che “sull’applicazione e sulla revoca delle misure nonchè sulle modifiche dello loro modalità esecutive provvede il Giudice che procede. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il Giudice delle Indagini Preliminari”).
Si tratta di una norma di portata generale e di chiarissima formulazione, che, se coniugata con il disposto dell’art 22 e 23 C.P.P., permette di escludere in capo al GUP ed a seguito della dichiarazione di incompetenza alcun potere in tema di status libertatis ed in particolare alcun potere in tema di revoca delle misure in atto.
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione è del tutto conforme (vedi Cassazione Penale 11/05/1996 ed ancora Cassazione 29/01/2001) nell’affermare che le regole sulla competenza risultano tassativamente preordinate anche per lo status libertatis, sicchè, qualora il Giudice dichiari la propria incompetenza ordinando la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso al Giudice competente, facendo così regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari, cessa di essere competente anche in ordine ai provvedimenti de libertate, e ciò persino in ordine alla richiesta di scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare (vedi Cassazione Penale, Sez. II, 11/05/1996, n. 1760 – c.c. 26.4.96 – Bonavita) e, ancora nell’affermare, che con la dichiarazione di incompetenza, il Giudice si spoglia definitivamente e quindi non ha più alcun potere in tema di revoca delle misure poiché in tal caso non è più il Giudice che procede come richiede l’art 279 C.P.P. (Cassazione Penale, Sez. I, 29/01/2001, n. 3347 – c.c. 16.10.2000- Besnik ).
Tale interpretazione delle norme richiamate, del resto, trova indiretta conferma nella previsione di cui all’art 27 C.P.P. laddove il legislatore ha previsto in via del tutto eccezionale una ipotesi di inefficacia differita ex lege delle misure emesse dal Giudice che si è dichiarato contestualmente incompetente, senza tuttavia prevedere le eccezioni di senso contrario in relazione al potere di revoca delle misure come esercizio di un potere legittimo da parte del Giudice che si è spogliato del procedimento.
Deve rilevarsi, del resto, che lo stesso G.U.P. di Milano (nella persona del medesimo magistrato) ha seguito evidentemente l’orientamento qui illustrato, allorché, dichiarando la propria incompetenza (sempre a favore dell’A.G. bresciana), il 29.3.04, in ordine alla posizione di Trabelsi Mourad (assolutamente identica, sotto ogni aspetto, a quella degli imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI, in quanto tutti e tre componenti la cd. “cellula di Cremona”, accusati degli stessi reati, raggiunti dalla medesime fonti di prova e colpiti dalla medesima ordinanza cautelare del GIP di Milano dell’1.4.04, prima richiamata) ne ha mantenuto lo stato di custodia cautelare
II motivo : violazione del giudicato cautelare ed omessarichiesta del parere del pubblico ministero
Il Giudice per l’udienza preliminare è pervenuto alla revoca delle misure cautelari in atto in relazione all’imputazione ex art. 270 bis c.p., rilevando come “non possano al riguardo ritenersi persistenti i gravi indizi in ordine a tale reato”.
La sussistenza di gravi indizi di responsabilità per il reato associativo a carico degli imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI era oggetto, però, di “giudicato cautelare” stabilizzatosi, sia per la non impugnazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere da parte di DRISSI Noureddine, sia per il rigetto della impugnazione stessa di HAMRAOUI K. da parte di codesto Tribunale (ordin. 19.4.2003) non seguito da ricorso per Cassazione. Pertanto, la misura cautelare in atto poteva essere revocata, ex art. 299 c. 1^ cpp, con riferimento ai gravi indizi di responsabilità, solo in presenza di fatti nuovi oppure in presenza di fatti già esistenti, noti ed acquisiti al procedimento, ma non valutati nell’ordinanza che aveva applicato la misura (in relazione a tale consolidato indirizzi giurisprudenziale, vedi Cass. 4153 del 9.11.03, relativa a fattispecie analoga). Nel caso in esame, invece, il GIP ha semplicemente fornito una sua valutazione dei medesimi elementi di prova già presi in considerazione da altri giudici pervenuti a diverse conclusioni. Tale operazione, ovviamente, ben sarebbe stata possibile con l’emissione di una sentenza di proscioglimento e non già contestualmente ad una sentenza di incompetenza territoriale.
Né si può fare a meno di rilevare che la ampiezza della potestà cognitiva del Giudice per l’Udienza Preliminare avrebbe potuto condurre a tale conclusione anche nella valutazione della posizione di tutti quei coimputati che, invece, sono stati rinviati a giudizio con provvedimento del 29.9.04, dinanzi alla I Corte d’Assise (vedi pag. 4 della presente impugnazione), con mantenimento del loro stato di custodia cautelare o di latitanti anche in ordine al reato associativo. Tale contraddizione logica, pur non rilevante in questo caso quale vizio giuridico, è comunque evidente.
E’ da rilevare, infine, che pur potendo il Giudice revocare d’ufficio una misura cautelare in carcere (ma, come s’è detto, deve trattarsi del “Giudice che procede”), egli è sempre tenuto a richiedere il parere del P.M.. Nella specie, il P.M. non è stato posto in condizione di esprimerlo poiché, pur avendo ovviamente presenziato alle udienze di celebrazione del rito abbreviato, mai i difensori hanno avanzato istanze di scarcerazione e mai il Giudice ha investito il PM stesso della necessità o opportunità di pronunziarsi su tale eventualità.
III motivo: Violazione di Legge, in relazione a quanto previsto dall’art 442 commi 1 ed 1 bis C.P.P., per erronea valutazione circa la inutilizzabilità, ai fini della decisione, di atti contenuti nel fascicolo del P.M.
A sostegno delle sue decisioni, il G.I.P. ha preliminarmente affermato come “gli atti di causa debbano essere essere sfrondati dagli atti affetti da inutilizzabilità patologica, ed innanzitutto dalle cd. fonti di intelligence, ossia dai numerosi dati provenienti da “acquisizioni informative o “investigative” non meglio precisate, o da acquisizioni assunte “in contesti di collaborazione internazionale” o asseritamene provenienti da “segnalazioni da parte degli organismi americani” o da “dati forniti dal BKA tedesco”, anch’esse prove di qualsivoglia supporti genetico degno di rilievo processuale e non puntualmente riscontrate da atti processualmente rilevanti. Lo stesso è a dirsi per gli atti compiuti all’estero e non assistiti dalle garanzie difensive che l’ordinamento interno pone ad imprescindibile fondamento dell’utilizzabilità di tali atti, ed in particolare alle audizioni come testimoni, anziché come indagati in procedimenti all’evidenza connessi e, dunque, senza le dovute garanzie difensive. Ci si riferisce soprattutto alle audizioni di ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall’autorità norvegese ed acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria. Analoghi rilievi di inutilizzabilità processuale riguardano con altrettanta evidenza i dati provenienti dalle cd. fonti aperte, ossia da informazioni giornalistiche o assunte per via telematica.”
Tali rilievi del G.I.P. sono per una parte ultronei, per un’altra genericamente formulati senza alcun riferimento agli specifici atti cui si riferiscono ed, ancora e per la parte maggiore, giuridicamente errati.
In via preliminare, va subito precisato che quest’Ufficio ben conosce – ed ovviamente condivide – l’orientamento giurisprudenziale affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione che, parzialmente correggendo quello in precedenza affermatosi in tema di utilizzazione piena, in sede di giudizio abbreviato, degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. (Cass. Pen., Sez. I, 26.1.1994 n. 749, ud. 22.9.93, De Simone; Cass. Pen. Sez. II, 8.4.98 n. 4269, ud. 10.3.98, Rigato ed altri; Cass. Pen., Sez. VI, 11.5.93 n. 4813, ud. 25.2.93, Romano), ha affermato che “il negozio processuale di tipo abdicativo (ndr.: costituito dalla richiesta ed ammissione del giudizio con rito abbreviato) può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai connotati peculiari del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cpp, con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 cpp (in quanto in tal caso il vizio sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità relativa stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria della inutilizzabilità cosiddetta patologica, inerente, cioè, gli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali e quelle negoziali di merito”(Cass. SS. UU., n. 16, Rivista 216246, 21.6.2000-30.6.2000, Tammaro; indirizzo ribadito in Cass. Pen., Sent. n. 7699, ud. 29.10.2003, nonché in Cass. Pen., Sent. N. 36234, ud. del 13.5.04)
Ma va altresì specificato che, proprio per l’ossequio prestato da questo Ufficio a tale principio, i rilievi del G.I.P. di Milano sono ultronei nella parte in cui si riferiscono a “fonti di intellingence” o a mere segnalazioni da parte di servizi di informazioni nazionali o esteri, prive di qualsiasi riscontro, poiché tali elementi mai sono stati utilizzati o considerati come fonti di prova nella fase delle indagini preliminari (dal P.M. per richiedere le ordinanze di custodia cautelare, dal G.I.P. quali prove a sostegno di queste, dal Tribunale del Riesame nella motivazione con cui esse sono state confermate), all’atto del promuovimento dell’azione penale ed, infine, a sostegno delle richieste di condanna nel giudizio abbreviato: si tratta all’evidenza, invece, di elementi talvolta citati nelle informative di polizia giudiziaria in atti solo per illustrare – doverosamente – l’iter investigativo, sul piano storico e logico: la lettura degli atti citati, nonchè della ponderosa memoria presentata dal PM al termine della sua requisitoria orale può facilmente confermarlo.
Ma le considerazioni del GIP sono svolte anche in modo generico ed “omnicomprensivo” così da rendere persino impossibile individuare a quali informative o atti esse si riferiscano. E’ evidente, infatti, che, per evitare di risolversi in una mera petizione di principio priva di reale rilievo, le affermazioni del G.I.P. avrebbero dovuto contenere precisi riferimenti, con date, provenienza ed altri estremi identificati, a quegli atti di P.G., di fonte italiana o estera, che si ritengono afflitti da inutilizzabilità fisiologica. E’ del tutto evidente, a mero titolo di esempio, che le informative del B.K.A. tedesco (l’organo di polizia giudiziaria che ha svolto indagini parallele in Germania), acquisite a seguito di formale rogatoria, contrariamente a quanto ritenuto dal G.I.P., sono ben utilizzabili in sede di giudizio con rito abbreviato nella parte in cui si riferiscono esiti di pedinamenti e di perquisizioni, in cui illustrano il contenuto di documenti sequestrati o i contatti telefonici tra gli imputati o le notizie sui loro precedenti giudiziari, così come lo sono quelle dello stesso tipo provenienti da organi italiani, anche ove contengano analisi di documenti tratti da siti Internet, ufficiali ed accessibili senza speciali autorizzazioni del giudice etc..
Quest’ultimo rilievo introduce il discorso sulla violazione, da parte del G.I.P., di quanto previsto all’art 442 commi 1 ed 1 bis cpp. secondo cui il Giudice, ai fini della deliberazione nel giudizio abbreviato, utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art 416 comma 2 cpp. .
Infatti, esclusa anche da parte di quest’ufficio la valutabilità come prova degli atti (prima richiamati) afflitti da inutilizzabilità patologica, ribadito il rilievo che precede sulla genericità dei riferimenti del GIP a talune altre categorie di atti o notizie asseritamente inutilizzabili, è specialmente errata la decisione del G.I.P. di considerare inutilizzabili “.. gli atti compiuti all’estero e non assistiti dalle garanzie difensive che l’ordinamento interno pone ad imprescindibile fondamento dell’utilizzabilità di tali atti, ed in particolare le audizioni come testimoni, anziché come indagati in procedimenti all’evidenza connessi e, dunque, senza le dovute garanzie difensive”. Il G.I.P. ha specificato di riferirsi “soprattutto alle audizioni di ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall’autorità norvegese ed acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria.”
Intanto, va subito specificato che si tratta di atti acquisiti al processo il 12.1.2004 a seguito della rogatoria effettuata dal P.M. in Norvegia il 15 dicembre del 2003 (Vol. 15, atti processuali), importanti per documentare informazioni sulla nascita, sui fini e sulla struttura di ANSAR AL ISLAM, l’associazione terroristica indagata. Tali atti sono:
– mandato d’arresto emesso dal Procuratore di Oslo contro il Mullah Krekar, (ritenuto il leader dell’organizzazione);
– rapporti di Polizia e verbali di dichiarazioni rese alle autorità norvegesi tra l’11.10.03 ed il 15.10.03 a Suleimanja in Kurdistan (dove le medesime si erano a loro volta recate in attività rogatoriale nell’ambito del processo contro il Mullah Krekar) da ex appartenenti ad Ansar Al Islam e da poliziotti irakeni che erano intervenuti a sventare attentati suicidi. Queste le dichiarazioni cui il G.I.P. si riferisce:
a) l’11 ed il 12.10.03 veniva interrogato KHADER, Dedar Khalid, n. 10.10.83 ad Arbil, Iraq settentrionale. Questi era arrestato il 17 giugno 2002 nella città di Saidiq ad un’ora circa di auto da Suleimania. Al momento dell’arresto indossava un panciotto contenente diversi chilogrammi di esplosivo, presumibilmente TNT-C4. Dedar era membro di Ansar al Islam da 6 mesi, verosimilmente appartenente ad Ansar al Islam sin dalla creazione dell’organizzazione, avvenuta il 10 dicembre 2001 (KGV). Dedar aveva incontrato Mullah Krekar in diverse occasioni. Dedar era stata arrestato con circa 5 kg. di esplosivo indosso mentre stava per compiere un attentato suicida contro il quartiere generale del P.U.K.. Riferiva di essersi addestrato in un campo di Ansar Al Islam insieme ad altri sei aspiranti suicidi e che proprio il Mullar Krekar gli aveva spinti a quelle azioni esaltando chi fosse disponibile ad immolarsi e comunque teorizzando atti di terrorismo contro i non musulmani. Confermava che i campi di A. al I. erano frequentati anche da persone di Al Qaeda.
b) Il 12.10.03, era stato interrogato ALI, Omed Abdullah, n. 01.01.7 a Suleymania, Iraq settentrionale. Questi era arrestato il 20 giugno 2002 per partecipazione al medesimo tentativo di attentato suicida. Aveva aiutato Dedar con diversi pernottamenti, viaggiato insieme a lui sull’autobus che doveva portarlo al luogo dove Dedar avrebbe dovuto farsi saltare in aria. Ad Ali era stato chiesto di aiutare Dedar da una persona chiamata Bestoon, di cui sapeva che era membro di Ansar al Islam. Per questa ragione sapeva che Dedar effettuava l’incarico per conto di Ansar al Islam. Ali non aveva incontrato Krekar di persona, ma era stato presente a delle preghiere del venerdì tenute da Krekar e chiamava ancora Krekar il “Principe di Ansar al Islam” Ali era stato membro dell’Islamic Group of Kurdistan (IGK).
c) Il 13.10.03 era stato interrogato RAZA, Sirwa Abdul Karim n. 01.07.86 a Chanchamal. Questi era stato arrestato il 16 marzo 2002 quando era stato fermato a un posto di controllo e trovato in possesso di una bomba a mano. Il suo obiettivo era di lanciare la bomba in mezzo a una grande folla che presenziava alla cerimonia annuale di Halabja. A suo tempo era stato sul luogo in occasione di quella cerimonia e dichiarava che vi confluivano fino a 2000 persone. Era membro di Ansar al Islam dal gennaio 2002. Era stato reclutato per Ansar al Islam dal cognato, che era fuggito in Iran insieme a sua sorella quando gli americani e il PUK attaccarono Ansar al Islam nell’aprile del 2003. RAZA ha dichiarato di avere incontrato Mullah Krekar in più occasioni nei campi di Ansar al Islam e alle preghiere del venerdì e di averlo più volte sentito incitare all’uccisione dei non musulmani, in ogni parte del mondo, attraverso azioni suicide. Era informato su ogni azione in preparazione .
d) Il 13.10.03 veniva interrogato USMANRASUL, Umed n. 01.01.77 a Suleimania. Questi, membro di Ansar Al Islam, affermava di non voler deporre per le autorità norvegesi norvegese in quanto temeva per la vita propria e dei suoi familiari. Era al 100% certo che Mullah Krekar l’avrebbe ucciso se avesse deposto.
e) Il 14.10.03 anche HAMED, Mohammed n. 01.06.72 a Penjwen in Curdistan, abitante a Suleimania, si rifiutava di deporre per la polizia norvegese perché temeva per la vita propria e dei suoi familiari. Egli era stato membro di Ansar al Islam
f) Il 14.10.03 veniva interrogato HUSSEIN, Khallid Forman n. 05.02.7 ad Arbil. Costui dichiarava di essere in carcere dal 5 aprile 2003 per il fatto di essere membro di Ansar al Islam. Era membro di Ansar al Islam sin dalla sua creazione nel dicembre 2001 e prima di questa era membro di Jund al Islam. Dichiarava di avere personalmente visto il Mullah Krekar irrogare punizioni corporali nei campi di addestramento a chi aveva fatto uso di alcolici o aveva avuto rapporti sessuali. Il Mullah Krekar aveva dato il suo assenso all’azione suicida di Dedar
g) Il 15.10.03 veniva interrogato ALI, Kwar Qader n. 06.01.86 a Suleimania. Questi era stato arrestato il 14 settembre 2003 a causa della sua appartenenza alla associazione Ansar al Islam. Ha dichiarato di essere membro di Ansar al Islam da un anno e 5 mesi. Aveva personalmente incontrato Mullah Krekar in diverse occasioni e nel maggio del 2002 Krekar gli aveva chiesto di diventare un attentatore suicida. Mullah Krekar era direttamente al corrente di vari attentati suicidi di cui aveva parlato ad Ali Kwar. Questi confermava anche che varie persone di Al Qaeda frequentavano i campi di Ansar Al Islam, dove vi erano esplosivi ed armi pesanti.
h) Il 14.10.03 ed il 15.10.03 venivano sentiti, rispettivamente, FARMAN, Kadir Mohammed n. 1980, un soldato del Peshmergo e NURI, Qader Majid n. 01.07.61, capo di un’unità militare a Koya nell’Iraq settentrionale. I due avevano arrestato il Dedar (che era in possesso di un panciotto pieno di esplosivo) prima che compisse l’attentato suicida al quale era pronto.
Gli appartenenti ad Ansar Al Islam sentiti dalle Autorità norvegesi, peraltro, confermavano che i capi dell’organizzazione erano il Mullah Krekar ed, in sua assenza, il Mullah Shafi (Abdullah Shafi)
Nel rapporto della polizia norvegese, pure acquisito, si legge anche che “nessuno dei testimoni ha detto di avere subito violenze fisiche o ne portava i segni. Nessuno dei testimoni ha detto di avere subito pressioni affinché deponessero per la polizia norvegese. Questo fu particolarmente evidente quando due dei testimoni non vollero deporre e uno di loro si fermò nel mezzo della deposizione”.
Da quanto precisato può dedursi che:
– nessun dubbio è possibile, neppure nell’ottica del GIP, sull’utilizzabilità dei verbali dei due poliziotti sopra citati sub “h” (testimoni a tutti gli effetti), dei rapporti della polizia norvegese e del provvedimento contro il Mullah Krekar. Tali atti, di per sé, ad avviso del P.M., avrebbero condotto il GIP a conclusioni diverse da quelle assunte in ordine alla sussistenza dei gravi indizi in ordine al reato associativo sub capo n. 1;
– sono utilizzabili nel giudizio abbreviato anche i verbali dei “combattenti” di Ansar Al Islam (prima indicati sub lettere da “a” a “g”), pur non essendo state le dichiarazioni dei medesimi rese in presenza del difensore. Infatti, poiché la legge norvegese non prevede una figura simile a quella prevista dal nostro ordinamento dell’interrogatorio di imputato di reato connesso o collegato (figura non conosciuta neppure in molti altri Stati europei), va solo considerato se si tratti di atti raccolti con modalità contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano. La risposta a tale interrogativo non può che essere negativa, poiché le dichiarazioni in questione non sono state affatto utilizzate contro le persone che le hanno rese, ma solo per provare la sussistenza del reato associativo sub capo n.1. Non si è verificata, dunque, alcuna lesione dei diritti fondamentali di alcuno, né i nomi dei dichiaranti sono stati iscritti nel Registro delle Notizie di Reato o potrebbero mai esserlo, non essendosi la loro condotta, neppure in parte, consumata in Italia;
– comunque, alla luce dei principi generali prima esposti in tema di utilizzabilità degli atti acquisiti durante l’indagine preliminare, erronea è la conclusione del giudice circa la inutilizzabilità di questi atti (nient’affatto afflitti da insanabili patologie contra legem) e di quelli che, come s’è detto, sono stati solo genericamente indicati.
L’ordinanza in esame, dunque, è stata pronunciata in violazione dell’art 442 comma 1 bis cpp (in relazione all’ art 416 comma 2 cpp), non essendo stata, tra l’altro, indicata o assunta alcuna altra prova nell’udienza.

IV motivo : Erronea applicazione ed interpretazione dell’art. 270 bis cp
Con l’ordinanza impugnata, il G.I.P. di Milano, nonostante abbia affermato nel provvedimento di non volere “anticipare valutazioni di merito non certo a lei spettanti in ordine alla posizione dei due imputati”, ha erroneamente interpretato ed applicato l’art. 270 bis C.P., affermando che nella specie non è ravvisabile la permanenza di gravi indizi di responsabilità, per tale reato, a carico dei due imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI (per i quali va incidentalmente ribadito che si era stabilizzato lo stato di custodia cautelare e non era intervenuto alcun elemento nuovo a loro favore).

Queste, in particolare, le ragioni del convincimento del G.I.P.:
– la nozione di terrorismo che la norma recepisce non può riguardare, in accordo con il testo dell’art. 18/2 della Convenzione Globale dell’O.N.U. sul Terrorismo, progettata nel 1999, “l’attività di gruppi armati o movimenti, diversi dalle forze armate, nella misura in cui, in contesti bellici, essi si attengano alle norme del diritto internazionale”;
– l’attività della associazione inquisita ed, in particolare, della cellula di Cremona di cui gli imputati sono accusati di fare parte, “si colloca storicamente in concomitanza dell’attacco statunitense all’Iraq, avvenuta, come è noto, nel marzo del 2003”;
– l’attività degli imputati si configura quindi come “guerriglia” conseguente alla invasione dell’Iraq o come preparatoria della guerriglia in vista della invasione stessa, temuta ed attesa;
– agli atti di guerriglia, per quanto violenti, non può essere estesa la nozione di terrorismo;
– non esisterebbero prove della programmazione di “obiettivi trascendenti la attività di guerriglia” ed in particolare di attività terroristiche, cioè di attività “dirette a seminare terrore indiscriminato verso la popolazione civile in nome di un credo ideologico e/o religioso, ponendosi dunque come delitti contro l’umanità”;
– è vero che un collaboratore processuale, tale Zouaoi Chokri, ha attribuito alla cellula di Cremona la preparazione di un progetto di attentato al Duomo di Cremona, ma i due imputati non vi risultano direttamente coinvolti .
Quest’ufficio potrebbe qui limitarsi all’esame del Tribunale le sole circostanze desumibili dalla formulazione dell’accusa e quelle considerate veritiere dallo stesso G.I.P., per dimostrare l’erroneità delle sue conclusioni in tema di non persistenza della gravità degli indizi per il reato associativo a carico dei due imputati DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI.
A tal proposito, si devono rilevare:
– l’erroneità dell’affermazione del GIP in ordine alla collocazione temporale delle attività dei due imputati e della cd. “cellula di Cremona” che non risale al marzo del 2003 o al periodo immediatamente antecedente, ma, secondo la formulazione dell’accusa, ad un periodo che si protrae fino all’arresto di DRISSI Noureddine (5.5.03) ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI (1.4.03) e che inizia nel luglio del 2001, dunque in epoca addirittura anteriore ai noti fatti dell’11.9.01 . Ne deriva, logicamente e cronologicamente, che la loro attività non può qualificarsi come meramente preparatoria della guerriglia in vista dell’imminente attacco all’Iraq del marzo del 2003;
– la omissione di corretta valutazione di specifiche circostanze, risultanti dalla stessa ordinanza impugnata, concernenti la programmazione di “obiettivi trascendenti la attività di guerriglia” ed in particolare di attività terroristiche. Ci si intende riferire alle seguenti circostanze:
a) la telefonata intercettata il 30.3.03, pure citata dal GIP, in cui il latitante Mullah Fouad dalla Siria sollecitava al coimputato Mera’i l’invio di altri volontari, dicendo testualmente: “abbiamo urgenza di quelli che conosci tu … voglio gente che colpisca la terra e che faccia uscire il ferro. Cerca quelli che stavano in Giappone”, all’evidenza riferendosi a “kamikaze” e cioè a mujahiddin disposti a sacrificare la loro vita in azioni suicide in Iraq;
b) le già citate (ed utilizzabili) dichiarazioni raccolte in Kurdistan dalle Autorità norvegesi, provenienti da militanti dell’associazione, ivi arrestati poco prima di immolarsi come kamikaze o comunque rei confessi in ordine a tali progetti operativi (coinvolgenti civili innocenti), nonché le dichiarazioni dei poliziotti che li hanno arrestati e che quelle indagini hanno sintetizzato;
c) altre telefonate intercettate (da ultima quella del 30.3.03 tra gli imputati Hamraoui e Merai) in cui proprio ad HAMRAOUI, disposto a recarsi in Kurdistan per combattere, viene imposto di rimanere in Italia perché anche in Italia v’è bisogno di persone pronte ad agire;
d) il pur citato progetto di attentato in danno del Duomo di Cremona rivelato dal collaboratore Zouaoui che, pur non vedendo personalmente coinvolti DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI, è direttamente riconducibile alla cd. cellula di Cremona, di cui i due – anche per convincimento del GIP– facevano parte;
e) le dichiarazioni, in buona parte confessorie, di Mohamed Tahir Hammid, il cui contenuto fa riferimento alle attività terroristiche vere e proprie preparate e progettate da Ansar Al Islam (anche se dall’imputato collocate, con sicurezza, solo in Kurdistan e/o Iraq), al connesso ruolo di Trabelsi (che è il capo della cellula di Cremona) ed alla presenza in Iraq (documentata anche per altra via) proprio di DRISSI Noureddine, nel 2002, al quale Mohamed Tahir Hammid aveva personalmente inviato denaro per sovvenzionare l’attività del gruppo;
f) il collegamento indissolubile tra le attività di finanziamento e procacciamento di documenti falsi in Italia e la finalità di terrorismo delle condotte degli imputati, non essendo concettualmente compatibile, tra l’altro, l’utilizzo di documenti falsi e l’attività di immigrazione ed emigrazione clandestina (reati, questi ultimi, per cui il GIP ha mantenuto la custodia cautelare in carcere di DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI) con il fine, asseritamente lecito, di recarsi a svolgere in Iraq attività di mera “guerriglia” in difesa di uno Stato invaso militarmente.
Il G.I.P. di Milano, in definitiva, ha omesso di valutare o ha erroneamente interpretato circostanze di fatto pacificamente risultanti dagli atti ed, in buona parte, dalla stessa ordinanza impugnata.
Si tratta di circostanze che, se correttamente valutate ed interpretate, avrebbero dovuto condurre alla conclusione che l’associazione di cui DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI sono, secondo l’accusa, componenti, era dedita alla consumazione ed alla progettazione, in zone di combattimento ma anche in Europa, di attentati politicamente ed ideologicamente motivati, finalizzati proprio ad incutere timore alla popolazione civile; dunque, si è in presenza proprio quel programma delittuoso comportante, anche secondo il ragionamento del G.I.P., la consumazione di crimini contro l’umanità, tali dovendosi considerare gli attentati indiscriminati che, commessi con o senza “kamikaze”, anche se collocabili in contesti bellici, pongono a rischio l’incolumità della popolazione inerme. Tali azioni, infatti, in alcun caso possono considerarsi rientranti nel concetto di azioni di guerra o di guerriglia cui, secondo il G.I.P. (in base a definizioni ed elaborazioni non certo “stabilizzate” nella comunità giuridica internazionale), non sarebbe applicabile la nozione di terrorismo, non potendosi, cioè, riconoscere giustificazione morale ad atti di terrorismo neppure quando essi si collochino in contesti bellici.
Alla luce delle circostanze accertate, anzi, e delle numerose conversazioni tra gli imputati, formalmente intercettate e registrate, può ben affermarsi che il contesto bellico in cui parzialmente si collocano le attività degli imputati, costituisce, semmai, l’occasione per estendere la pratica del “terrore religioso”: esso, infatti, proprio secondo la formulazione del capo n.1 della rubrica, discende da una interpretazione estremistica e violenta della religione musulmana, che conduce ad una strategia violenta per l’affermazione dei principi “puri” di tale religione, anche contro quei regimi dei paesi arabi accusati di non praticarli e garantirli.

In tal senso, del resto, la stabilizzata giurisprudenza di codesto Tribunale in atti ampiamente documentata.
Tali errori ed omissioni di valutazione del Giudice, dunque, integrano inosservanza ed erronea interpretazione della legge penale, poiché la fattispecie concreta integra sicuramente quella astratta prevista dall’art. 270 bis cp, in ordine alla quale – invece – non sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di responsabilità a carico di DRISSI Noureddine ed HAMRAOUI KAMEL BEN MOULDI

P.Q.M.
Visto l’art. 310 cpp;
Si chiede
che il Tribunale di Milano, competente ex artt. 310 e 309 c. 7 cpp, annulli l’Ordinanza pronunciata dal GIP del Tribunale di Milano in data 24/01/2005 nella parte relativa alla revoca della misura cautelare nei confronti di :
1) DRISSI Noureddine nato il 30 apr 1964 a TUNISI (TUNISIA), detenuto dal 5 maggio 2003;
2) HAMRAOUI Kamel Ben Mouldi nato il 21 ott 1977 a BEJA (TUNISIA), detenuto dall’ 1 aprile 2003;
per sopravvenuta carenza di gravi indizi limitatamente all’imputazione ex art 270 bis C.P., per la quale era stato richiesto il loro rinvio a giudizio

Milano, 29.1.2005
Il Procuratore della Repubblica Agg.
(dr. Armando Spataro)
Visto, 29.1.2005
IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
Manlio Claudio MINALE