Un referendum che si ha da fare (di Massimo Villone)

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Il referendum sul nucleare torna in Corte costituzionale. L’originario quesito era stato dichiarato ammissibile dalla Corte con la sentenza 28/2011. Era poi sopravvenuta prima la moratoria di un anno sulla costruzione di impianti di produzione di energia nucleare, e poi – in via emendativa nella discussione in Aula al Senato – l’abrogazione delle norme oggetto del quesito referendario e la introduzione di due nuovi commi (1 e 8) nell’art. 5 del d.l. 31 marzo 2011, n. 34, conv. in legge 26 maggio 2011, n.75
Sulle nuove disposizioni l’Ufficio centrale per il referendum ha trasferito l’originario quesito referendario, motivando che l’innovazione introdotta rende possibile l’avvio anche immediato di un programma volto a conservare ed anzi ampliare le prospettive e i modi di ricorso alle fonti nucleari di produzione energetica. Mentre il termine di dodici mesi consente al governo di riprendere il nucleare con proprio provvedimento, mantenendo dunque l’obiettivo di fondo di ripartire con la scelta nuclearista. Risulta così radicalmente negato l’intento dei promotori del referendum, e pienamente giustificato il trasferimento del quesito sulla nuova disciplina.
Le motivazioni dell’Ufficio centrale sono di certo condivisibili. Ma per una valutazione corretta va compreso a fondo il senso del ritorno davanti al giudice di costituzionalità. È la stessa Corte che nella sentenza 68 del 1978 disegna il modello che oggi vediamo operare. Costruisce infatti, con una sentenza additiva, la possibilità che l’Ufficio centrale trasferisca il quesito su una disciplina sopravvenuta. Ed aggiunge: “Corrispondentemente, alla Corte costituzionale compete pur sempre di verificare se non sussistano eventuali ragioni d’inammissibilità, quanto ai nuovi atti o disposti legislativi, così assoggettati al voto popolare abrogativo”.
Diciamo anzitutto che il nuovo giudizio che si chiede alla Corte non è un rimedio avverso la decisione dell’Ufficio centrale. Nel sistema della legge 352/1970, come integrato dalla Corte nella sua giurisprudenza, tutto ciò che attiene alla verifica della legittimità, alla riformulazione, e all’eventuale trasferimento del quesito è esclusiva competenza dell’Ufficio centrale. In particolare, è conclusiva la determinazione sull’esistenza di un contrasto tra la disciplina sopravvenuta e l’intento dei promotori, che è premessa del trasferimento del quesito. La Corte costituzionale si limita strettamente ai profili di ammissibilità ai sensi dell’art. 75 Cost., e dei limiti logico-sistematici elaborati nella giurisprudenza della stessa Corte a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, operando sul quesito così come trasmesso dall’Ufficio centrale. La prova indiscutibile della separatezza tra Corte costituzionale e Ufficio centrale è offerta da quei casi in cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità di una disposizione, per poi immediatamente dichiarare l’ammissibilità del referendum proposto sulle disposizioni appena dichiarate illegittime (sentenze 24 e 25 del 2004, 23 e 29 del 2011). Ciò perché spetta all’Ufficio centrale, e non alla stessa Corte, valutare l’impatto della dichiarazione di illegittimità sul quesito referendario.
Non potrebbe, quindi, la Corte negare l’ammissibilità perché non condivide la scelta fatta dall’Ufficio centrale con il trasferimento del quesito. Ma nemmeno il nuovo giudizio di ammissibilità è mera ripetizione di quello già effettuato (e risolto, nella specie, con la sentenza 28/2011). Si tratta di un giudizio del tutto nuovo ed autonomo rispetto al primo. Altre sono le disposizioni oggetto di valutazione. E dunque il giudizio va rinnovato rispetto a queste, secondo gli usuali parametri di cui all’art. 75 Cost., e alla giurisprudenza costituzionale.
Anche per le nuove disposizioni, peraltro, è corretto giungere a una conclusione nel senso dell’ammissibilità del quesito referendario. Nella sentenza 28/2011 un’ampia parte della motivazione della Corte è dedicata a respingere il dubbio che l’originario quesito fosse in contrasto con normative europee o di convenzioni internazionali. La Corte conclude nel senso che è tuttora lasciata allo Stato la determinazione del mix delle fonti di approvvigionamento energetico, e dunque l’esclusione con voto popolare di una di quelle fonti non trova ostacolo. Tale conclusione deve ritenersi confermata anche per il nuovo quesito. Ancor più – almeno per quanto riguarda la disciplina europea – dopo che il colosso tedesco ha ufficialmente annunciato la sua uscita dal nucleare.
Ma è il nuovo quesito chiaro, omogeneo, univoco, secondo i dettami della giurisprudenza costituzionale? La risposta è parimenti positiva.
Vediamo anzitutto che nel comma 1 introdotto nell’art. 5 si dispone che “Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche … non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”. Qui l’espressione chiave è “non si procede”: che evidenzia l’inequivoco significato di un rinvio, ma non di un abbandono. La scelta nuclearista è ancora nell’indirizzo politico e di governo. E quando il comma 8 disegna contenuto e modalità per l’adozione della Strategia energetica nazionale, non può che farlo alla luce del comma 1, disegnando dunque una strategia comprensiva della scelta nuclearista.
Questo risulta dal testo dell’innovazione legislativa introdotta. Ma si trova conferma anche nell’intento del legislatore. Qui non si deve tanto guardare alle dichiarazioni del Presidente del consiglio, che pure ha pubblicamente dichiarato al paese che si voleva solo far passare senza danni la tempesta referendaria, per riprendere il cammino verso il nucleare subito dopo. Una dichiarazione del Presidente del consiglio, si potrebbe dire, pur fatta di fronte al grande pubblico di una platea televisiva, è solo la parola di un testimone autorevole, che certifica al più la scarsa credibilità del governo, e non la mens legis. Ma certo fanno stato le parole pronunciate nel dibattito parlamentare. Ed allora rileva che il Ministro Romani abbia detto nell’Aula del Senato, nella seduta antimeridiana del 20 aprile 2011, al fine di giustificare la nuova strategia emendativa: “… riteniamo che gli stessi cittadini sarebbero stati chiamati a scegliere fra poche settimane fra un programma di fatto superato o una rinuncia definitiva sull’onda dell’emozione, assolutamente legittima dopo l’incidente di Fukushima, senza avere sufficienti elementi di chiarezza”. L’obiettivo del comma 8, in specie, è quello di ridefinire la strategia energetica nazionale anche con “l’appropriata considerazione dei risultati a cui porteranno gli approfondimenti di carattere scientifico e tecnico in materia di sicurezza del nucleare”.
L’intento di un mero rinvio è chiarissimo. E trova conferma nell’argomento avanzato dal ministro che l’uscita dal nucleare indebolirebbe la capacità del nostro paese di partecipare al dibattito sulla sicurezza in tutta Europa. Argomento inconsistente, che andrebbe oggi anzitutto spiegato alla Merkel.
Testo ed intento del legislatore concordano nel senso che i commi 1 e 8 dell’art. 5 innovato sono nel senso di un rinvio, rimanendo l’opzione nuclearista come scelta di indirizzo politico e di governo. Sussiste dunque “l’evidenza del fine intrinseco dell’atto abrogativo”, che si trova nell’intento di precludere una strategia energetica nazionale che comprenda l’opzione nuclearista. A valle dell’esito referendario, lo Stato rimarrebbe libero di adottare una strategia fondata su qualunque mix di fonti di produzione energetica, con la sola esclusione di quella nucleare. Il quesito è dunque puntualmente volto contro il nucleare, e preclusivo di future scelte solo per questa fonte energetica. E proprio questa nettezza di contorni ha permesso all’Ufficio centrale di trasferire il quesito. Da questo punto di vista, la lettura delle disposizioni da parte del giudice – che rimane, come si è detto, nell’ambito di una diversa competenza – è elemento che la Corte pure deve considerare ai fini della ricostruzione del significato normativo della disciplina oggetto del quesito.
In sintesi, nuova disciplina, nuovo quesito, nuovo giudizio di ammissibilità, stessa conclusione. Il quesito è chiaro, univoco, omogeneo, e non contrasta con normative europee o di convenzioni internazionali. Il referendum deve essere ammesso.

HYPERLINK “http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=028” http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=028
“1. Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”.
“8. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali”.