Corte di giustizia, parità di trattamento tra i sessi, formazione professionale e accesso di un candidato ad una formazione professionale alle informazioni riguardanti le qualifiche degli altri candidati

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

21 luglio 2011 (*)

«Direttive 76/207/CEE, 97/80/CE e 2002/73/CE – Accesso alla formazione professionale – Parità di trattamento tra uomini e donne – Rigetto di una candidatura – Accesso di un candidato ad una formazione professionale alle informazioni riguardanti le qualifiche degli altri candidati»

Nel procedimento C‑104/10,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dalla High Court (Irlanda), con decisione 29 gennaio 2010, pervenuta in cancelleria il 24 febbraio seguente,

Patrick Kelly

contro

National University of Ireland (University College, Dublin),

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas (relatore), U. Lõhmus e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 gennaio 2011,

considerate le osservazioni presentate:

– Per il sig. Kelly, dal medesimo;

– per la National University of Ireland, dalla sig.ra M. Bolger, SC, su incarico del sig. E. O’Sullivan, solicitor;

– per il governo tedesco, dal sig. J. Möller, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dal sig. M. van Beek e dalla sig.ra N. Yerrell, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione del diritto dell’Unione e, in particolare, dell’art. 4 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), dell’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6), nonché dell’art. 1, punto 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207 (GU L 269, pag. 15).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il sig. Kelly e la National University of Ireland (University College, Dublin; in prosieguo: l’«UCD»), in merito al diniego di quest’ultima di divulgare documenti, in versione non modificata, relativi alla procedura di selezione di candidati ad una formazione professionale.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

La direttiva 76/207

3 La direttiva 76/207, applicabile ratione temporis alla data dei fatti da cui è scaturita la denuncia per discriminazione basata sul sesso, vale a dire nei mesi di marzo ed aprile 2002, prevedeva, al proprio art. 4, quanto segue:

«L’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda l’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento, di formazione, di perfezionamento e di aggiornamento professionali, implica che gli Stati membri prendano le misure necessarie affinché:

a) siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento;

b) siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonché negli statuti delle professioni indipendenti;

c) l’orientamento, la formazione, il perfezionamento nonché l’aggiornamento professionali, fatta salva l’autonomia accordata in alcuni Stati membri a taluni istituti privati di formazione, siano accessibili secondo gli stessi criteri e agli stessi livelli senza discriminazione basate sul sesso».

4 Il successivo art. 6 così recitava:

«Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per permettere a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, di far valere i propri diritti per via giudiziaria, eventualmente dopo aver fatto ricorso ad altre istanze competenti».

La direttiva 2002/73

5 La direttiva 76/207 è stata modificata dalla direttiva 2002/73, ai sensi del cui art. 2, n. 1, primo comma, gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva medesima entro il 5 ottobre 2005.

6 La direttiva 2002/73 ha abrogato, segnatamente, l’art. 4 della direttiva 76/207 e, come si legge nel suo art. 1, punto 3, ha dato all’art. 3 della direttiva 76/207 il seguente tenore:

«1. L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

b) all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

(…)

2. A tal fine gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che:

a) tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento siano abrogate;

b) tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate».

La direttiva 97/80

7 La direttiva 97/80, il cui termine di trasposizione era fissato al 1° gennaio 2001, istituisce norme relative all’onere della prova in casi di discriminazione basata sul sesso.

8 A termini del tredicesimo ‘considerando’ di tale direttiva, la valutazione dei fatti che consente di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta spetta all’autorità giudiziaria nazionale o ad altro organo competente, secondo il diritto e/o la prassi nazionali.

9 Ai sensi del successivo diciottesimo ‘considerando’, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha riconosciuto la necessità di modificare le regole concernenti l’onere della prova quando esista una presunta discriminazione e che, ove tale situazione si verifichi, l’applicazione effettiva del principio della parità di trattamento esige che l’onere della prova sia a carico della parte convenuta.

10 A termini dell’art. 1 della direttiva medesima, quest’ultima è volta a garantire che sia accresciuta l’efficacia dei provvedimenti adottati dagli Stati membri in applicazione del principio della parità di trattamento diretti a consentire a chiunque si ritenga leso dalla inosservanza, nei propri confronti, del principio della parità di trattamento di ottenere il riconoscimento dei propri diritti per via giudiziaria, dopo l’eventuale ricorso ad altri organi competenti.

11 La direttiva 97/80 si applica, segnatamente, come stabilito all’art. 3, n. 1, lett. a), della medesima, alle fattispecie contemplate dalla direttiva 76/207.

12 L’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 così recita:

«Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta».

La normativa nazionale

13 Dalla decisione di rinvio emerge che i principi relativi all’accesso ai documenti ai sensi dell’Order 57A, rule 6(6), delle Circuit Court Rules corrispondono ai principi relativi alla trasmissione dei documenti («discovery») e all’esame dei medesimi («inspection») di cui all’Order 32 delle Rules of the Circuit 2001‑2006 e dell’Order 31 delle Rules of the Superior Courts 1986, e successive modifiche.

14 Ai sensi di tale normativa, la trasmissione di un documento viene autorizzata qualora possa essere dimostrato che questa sia rilevante riguardo alle questioni sollevate nella controversia e che, in particolare, il documento risulti necessario ai fini di una corretta decisione della lite.

15 Per quanto un documento sia considerato, al tempo stesso, rilevante e necessario, la sua produzione può essere negata, in particolare quando si tratti di un documento «protetto» o riservato.

16 In caso di conflitto tra il diritto ad ottenere la produzione di un determinato documento, da un lato, e l’obbligo di tutelare la riservatezza ovvero di rispettare qualsivoglia obbligo o diritto in senso contrario, dall’altro, il giudice nazionale chiamato a pronunciarsi sulla lite deve procedere ad una ponderazione della natura della domanda presentata nonché del grado di riservatezza fatto valere, da un lato, con l’interesse pubblico ad una divulgazione integrale nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, dall’altro.

Causa principale e questioni pregiudiziali

17 Il sig. Kelly è un professore abilitato residente a Dublino.

18 L’UCD è un istituto di insegnamento superiore. Per il periodo accademico intercorrente tra gli anni 2002 e 2004 offriva una formazione denominata «Masters degree in Social Science (Social Worker) mode A» [dottorato in scienze sociali (assistente sociale) di tipo A].

19 In data 23 dicembre 2001, il sig. Kelly presentava domanda presso la detta università chiedendo di essere ammesso a seguire tale formazione. Al termine del procedimento di selezione dei candidati veniva informato, con lettera del 15 marzo 2002, che la sua domanda non era stata accolta.

20 Insoddisfatto di tale decisione, il sig. Kelly presentava, nel mese di aprile 2002, formale ricorso per discriminazione basata sul sesso presso il Director of the Equality Tribunal, sostenendo di possedere una qualificazione migliore rispetto alla candidata di sesso femminile meno qualificata ammessa a seguire la formazione de qua.

21 Il 2 novembre 2006, l’Equality Officer, cui il Director of the Equality Tribunal aveva affidato l’istruttoria del ricorso presentato dal sig. Kelly, pronunciava la propria decisione affermando che il ricorrente non era riuscito a provare la sussistenza, prima facie, di una discriminazione fondata sul sesso. Avverso tale decisione il sig. Kelly proponeva impugnazione dinanzi al Circuit Court (tribunale distrettuale).

22 In data 4 gennaio 2007 il sig. Kelly proponeva parimenti un’istanza, a norma dell’Order 57A rule 6(6) dei Circuit Court Rules, che veniva trasmessa al Circuit Court, affinché l’UCD depositasse copia della documentazione indicata nell’istanza medesima («disclosure»; in prosieguo: l’«istanza di divulgazione»). Tale istanza era volta ad ottenere la trasmissione di copia dei formulari d’iscrizione conservati, dei documenti allegati o inclusi ai formulari stessi nonché delle «schede di valutazione» dei candidati di cui erano stati conservati i formulari d’iscrizione.

23 Il presidente della Circuit Court respingeva l’istanza di divulgazione con ordinanza 12 marzo 2007. Il 14 marzo seguente, il sig. Kelly impugnava tale ordinanza dinanzi alla High Court.

24 Il 23 aprile seguente, il sig. Kelly presentava parimenti istanza dinanzi alla High Court, chiedendo che quest’ultima procedesse ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Il 14 marzo 2008, detto giudice nazionale rilevava che il rinvio appariva prematuro, considerato che essa non si era ancora pronunciata sulla questione se l’accesso ai documenti in questione potesse essere concesso sulla base della normativa nazionale. In esito al proprio esame, la High Court concludeva che, in base alla normativa nazionale, l’UCD non era tenuta a divulgare, in forma non modificata, la documentazione la cui trasmissione era stata richiesta dal sig. Kelly.

25 A fronte di dubbi in merito alla questione se il rigetto dell’istanza di divulgazione fosse conforme o meno al diritto dell’Unione, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 (…) legittimi un aspirante ad un corso professionale, che ritenga essergli stata negata l’ammissione al corso medesimo per mancata applicazione del principio di parità di trattamento, ad ottenere informazioni sulle qualifiche degli altri aspiranti al corso e, in particolare, di coloro che vi siano stati ammessi, così che il ricorrente possa produrre “dinanzi a un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta”.

2) Se l’art. 4 della direttiva 76/207(…) legittimi un aspirante a un corso professionale, che ritenga essergli stata negata l’ammissione al corso medesimo “sulla base degli stessi criteri”, e di essere stato discriminato “in base al sesso” ai fini dell’ammissione allo stesso, ad ottenere le informazioni, detenute dall’organizzatore del corso, sulle rispettive qualifiche degli altri aspiranti e, in particolare, di coloro che vi siano stati ammessi.

3) Se l’art. [1, punto 3,] della direttiva 2002/73 (…), che vieta “la discriminazione diretta o indiretta in base al sesso” nella “ammissione” ad un corso professionale, legittimi un aspirante al corso medesimo, che ritenga di essere stato discriminato “in base al sesso” ai fini dell’ammissione al corso professionale, ad ottenere le informazioni, detenute dall’organizzatore del corso, sulle rispettive qualifiche degli altri aspiranti e, in particolare, di coloro che vi siano stati ammessi.

4) Se la natura dell’obbligo di cui all’art. 267, n. 3, TFUE differisca qualora in uno Stato membro viga un sistema accusatorio (in contrapposizione ad uno in cui viga un sistema inquisitorio) e, in caso affermativo, sotto quale profilo.

5) Se le leggi nazionali o [dell’Unione] in materia di riservatezza possano incidere sul diritto all’informazione di cui alle summenzionate direttive».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

26 Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 debba essere interpretato nel senso che preveda il diritto per un candidato ad una formazione professionale, che ritenga che l’accesso alla medesima gli sia stato negato per mancato rispetto del principio di parità di trattamento, di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione relative alle qualifiche degli altri candidati alla formazione medesima, affinché sia in grado di accertare elementi di «fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta» ai sensi della menzionata disposizione.

Argomenti delle parti

27 Il sig. Kelly sostiene che l’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 attribuisce il diritto a colui che si ritenga leso dal mancato rispetto, nei propri confronti, del principio di parità di trattamento di accedere alle informazioni che – nell’assunto che tale principio non gli sia stato applicato erroneamente – dimostrino ovvero consentano di dimostrare, dinanzi ad un giudice o altra autorità nazionale competente, fatti che consentano di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta. Per un candidato ad una formazione professionale che si ritenga leso dal mancato rispetto, nei propri confronti, di detto principio, ciò comprenderebbe le informazioni riguardanti le qualifiche degli altri candidati.

28 Il governo tedesco sostiene che il tenore dell’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 non contiene alcuna indicazione in merito al riconoscimento di un diritto all’informazione. Tale disposizione disciplinerebbe, al pari di quanto sostenuto dall’UCD e dalla Commissione europea, le modalità del trasferimento dell’onere della prova dal ricorrente alla controparte. A suo parere, tale trasferimento si verifica solamente nei casi in cui un candidato abbia preliminarmente dimostrato fatti che consentano di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta.

Giudizio della Corte

29 La direttiva 97/80 enuncia, all’art. 4, n. 1, che gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del suddetto principio ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (v. sentenza 10 marzo 2005, causa C‑196/02, Nikoloudi, Racc. pag. I‑1789, punto 68).

30 In tal senso, incombe a colui che si ritenga leso dal mancato rispetto del principio di parità di trattamento, dimostrare, in un primo momento, i fatti che consentano di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta. Solamente nel caso in cui questi abbia provato tali fatti, spetterà poi alla controparte, in un secondo momento, dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione.

31 A tal riguardo, dal tredicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/80 emerge che spetta all’autorità giudiziaria nazionale o ad altra autorità competente valutare, in base al diritto e/o alle prassi nazionali, i fatti che consentano di presumere la sussistenza di una discriminazione diretta o indiretta.

32 Spetta conseguentemente al giudice del rinvio, o ad altra autorità irlandese competente, valutare, sulla base del diritto e/o delle prassi nazionali irlandesi, se il sig. Kelly abbia dimostrato fatti che consentano di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta o indiretta.

33 Tuttavia, si deve precisare che la direttiva 97/80, a termini del suo art. 1, mira a garantire che sia accresciuta l’efficacia dei provvedimenti adottati dagli Stati membri in applicazione del principio della parità di trattamento, diretti a consentire a chiunque si ritenga leso dall’inosservanza, nei propri confronti, di tale principio di ottenere il riconoscimento dei propri diritti per via giudiziaria, dopo l’eventuale ricorso ad altri organi competenti.

34 In tal senso, se è pur vero che l’art. 4, n. 1, della direttiva de qua non prevede un diritto specifico a favore di colui che si ritenga leso dal mancato rispetto, nei propri confronti, del principio della parità di trattamento di accedere ad informazioni affinché questi sia in grado di dimostrare «elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta» ai sensi della menzionata disposizione, resta il fatto che non può essere escluso che il diniego di fornire informazioni da parte della convenuta, nell’ambito dell’accertamento dei fatti stessi, possa rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva medesima, privando in tal modo tale disposizione, segnatamente, del proprio effetto utile.

35 A tal riguardo, si deve rammentare che agli Stati membri non è consentito applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e, conseguentemente, di privare la direttiva medesima del proprio effetto utile (v. sentenza 28 aprile 2011, causa C‑61/11 PPU, El Dridi, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 55).

36 Infatti, ai sensi rispettivamente del secondo e del terzo comma dell’art. 4, n. 3, TUE, gli Stati membri, in particolare, «adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione» e «si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione», compresi quelli perseguiti dalle direttive (v. sentenza El Dridi, cit., punto 56).

37 Nella specie, emerge tuttavia dalla decisione di rinvio che, se è pur vero che il presidente della Circuit Court ha respinto la domanda di divulgazione, si deve necessariamente rilevare che l’UCD ha proposto di fornire al sig. Kelly parte delle informazioni richieste, cosa non contestata dal medesimo.

38 La prima questione dev’essere quindi risolta dichiarando che l’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 dev’essere interpretato nel senso che non prevede il diritto per un candidato ad una formazione professionale, che ritenga che l’accesso alla medesima gli sia stato negato per mancato rispetto del principio di parità di trattamento, di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione medesima riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, affinché sia in grado di dimostrare «elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta», ai sensi della menzionata disposizione.

39 Non può essere tuttavia escluso che il diniego di fornire informazioni da parte del convenuto, nell’ambito dell’accertamento dei fatti, possa rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva medesima, privando in tal modo, segnatamente, l’art. 4, n. 1, della stessa del proprio effetto utile. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale ipotesi ricorra nella causa principale.

Sulle questioni seconda e terza

40 Con le questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 4 della direttiva 76/207, ovvero l’art. 1, punto 3, della direttiva 2002/73 debbano essere interpretati nel senso che prevedono il diritto per un candidato ad una formazione professionale di accedere ad informazioni, in possesso dell’organizzatore della formazione medesima, riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, nel caso in cui detto candidato ritenga di non aver avuto accesso alla formazione de qua secondo gli stessi criteri applicati agli altri candidati e di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi dello stesso art. 4, ovvero quando il candidato medesimo lamenti di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi del menzionato art. 1, punto 3, per quanto attiene all’accesso alla formazione professionale stessa.

Argomenti delle parti

41 Il sig. Kelly ritiene che l’art. 4 della direttiva 76/207, nonché l’art. 1, punto 3, della direttiva 2002/73, attribuiscano il diritto a colui che ritenga essergli stato negato l’accesso ad una formazione professionale a causa di una discriminazione fondata sul sesso di ottenere informazioni riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione professionale de qua.

42 Il governo tedesco e la Commissione deducono che tali disposizioni costituiscono regole di base relative al divieto di discriminazioni fondate sul sesso e che esse non riguardano la questione delle norme procedurali. Essi ritengono che tali disposizioni non siano articolate in termini sufficientemente concreti per poter ritenere che ne discenda un diritto all’attuazione di una determinata misura, quale il diritto all’informazione.

Giudizio della Corte

43 Dal tenore degli artt. 4 della direttiva 76/207 ovvero 1, punto 3, della direttiva 2002/73 non emerge che un candidato ad una formazione professionale disponga del diritto di accedere a informazioni, in possesso dell’organizzatore della medesima, riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione stessa.

44 Infatti, l’art. 4, lett. c), della direttiva 76/207 prevede che l’applicazione del principio di parità di trattamento per quanto attiene all’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di formazione professionale implica che gli Stati membri prendano le misure necessarie affinché la formazione professionale, fatta salva l’autonomia accordata in alcuni Stati membri a taluni istituti privati di formazione, sia accessibile secondo gli stessi criteri e agli stessi livelli senza discriminazioni basate sul sesso.

45 Quanto all’art. 1, punto 3, della direttiva 2002/73, esso dispone che l’applicazione del principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, ivi compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento professionale, di formazione professionale, di perfezionamento e riqualificazione professionale, ivi inclusi i tirocini professionali. A tal fine, gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che siano abrogate tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative contrarie al principio di parità di trattamento.

46 Tali disposizioni sono in effetti volte ad assicurare l’applicazione del principio di parità di trattamento per quanto attiene all’accesso alla formazione, ma lasciano le autorità nazionali, ai sensi dell’art. 288, terzo comma, TFUE, competenti ad adottare, quanto alla forma e ai mezzi, le misure necessarie affinché «tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative» contrarie a tale principio siano abrogate.

47 In tal senso, da tali disposizioni non può essere dedotto un obbligo particolare volto a consentire ad un candidato ad una formazione professionale l’accesso alle informazioni riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione medesima.

48 Le questioni pregiudiziali seconda e terza devono essere quindi risolte dichiarando che l’art. 4, della direttiva 76/207, ovvero l’art. 1, punto 3, della direttiva 2002/73 devono essere interpretati nel senso che non prevedono il diritto per un candidato ad una formazione professionale di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione medesima riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, qualora tale candidato ritenga di non aver avuto accesso alla formazione de qua secondo gli stessi criteri applicati agli altri candidati e di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi del detto art. 4, ovvero qualora il candidato medesimo lamenti di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi del detto art. 1, punto 3, per quanto attiene all’accesso alla formazione professionale stessa.

Sulla quinta questione

49 Con la quinta questione, che appare opportuno esaminare prima della quarta, il giudice del rinvio chiede se norme dell’Unione o nazionali in materia di riservatezza possano incidere sul diritto di ottenere informazioni ai sensi delle direttive 76/207, 97/80 e 2002/73.

50 Alla luce della soluzione fornita alle prime tre questioni ed atteso che, nell’ambito del procedimento previsto dall’art. 267 TFUE, la Corte non è competente ad interpretare il diritto nazionale, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio (v. sentenze 7 settembre 2006, causa C‑53/04, Marrosu e Sardino, Racc. pag. I‑7213, punto 54; 18 novembre 2010, cause riunite C‑250/09 e C‑268/09, Georgiev, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 75), la quinta questione dev’essere intesa nel senso che il giudice a quo chiede, sostanzialmente, se sull’eventuale diritto di invocare una delle direttive menzionate nelle prime tre questioni, al fine di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore di una formazione professionale riguardanti le qualifiche dei candidati alla medesima, possano incidere norme del diritto dell’Unione in materia di riservatezza.

Argomenti delle parti

51 Il sig. Kelly ritiene che su un diritto riconosciuto da un atto giuridicamente vincolante dell’Unione, ivi compresa una direttiva quale definita all’art. 288, terzo comma, TFUE, possono incidere non norme nazionali ovvero la loro attuazione, bensì unicamente un altro atto giuridicamente vincolante dell’Unione.

52 L’UCD nonché il governo tedesco ritengono che tale questione debba essere risolta unicamente in via di subordine, in quanto un diritto all’informazione, quale descritto dal ricorrente nella causa principale, non esisterebbe in base agli artt. 4 della direttiva 76/207 e 1, punto 3, della direttiva 2002/73. Tuttavia, qualora la Corte dovesse pervenire alla conclusione che tali disposizioni attribuiscano un diritto di tal genere al sig. Kelly, la riservatezza, nozione riconosciuta dal diritto dell’Unione e sancita in vari suoi atti, prevarrebbe su tale diritto di informazione.

Giudizio della Corte

53 Si deve ricordare, in limine, che la Corte ha già affermato, al punto 38 supra, che l’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 non prevede il diritto per un candidato ad una formazione professionale, che ritenga che l’accesso alla medesima gli sia stato negato per mancato rispetto del principio di parità di trattamento, di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione stessa riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, affinché sia in grado di dimostrare «elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta», ai sensi della menzionata disposizione.

54 Tuttavia, al punto 39 supra la Corte ha parimenti affermato che non può essere escluso che il diniego di informazioni da parte del convenuto, nell’ambito dell’accertamento dei fatti, possa rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 97/80, privando in tal modo, segnatamente, detto art. 4, n. 1, del proprio effetto utile.

55 Nella valutazione di tali circostanze, le autorità giudiziarie nazionali o gli altri organi competenti devono tener conto delle norme in materia di riservatezza sancite da atti del diritto dell’Unione, quali la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31), nonché la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 luglio 2002, 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201, pag. 37), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 25 novembre 2009, 2009/136/CE (GU L 337, pag. 11). La tutela dei dati di carattere personale è parimenti prevista dall’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

56 La quinta questione dev’essere quindi risolta ne senso che, nel caso in cui un candidato ad una formazione professionale possa invocare la direttiva 97/80 al fine di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla medesima, le norme del diritto dell’Unione in materia di riservatezza possono incidere su tale diritto d’accesso.

Sulla quarta questione

57 Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se la natura dell’obbligo previsto all’art. 267, terzo comma, TFUE differisca a seconda che, nello Stato membro interessato, esista un sistema giuridico accusatorio ovvero un sistema giuridico inquisitorio e, in tal caso, in qual misura.

Argomenti delle parti

58 Il sig. Kelly deduce che l’obbligo per un giudice nazionale che decida nell’ambito di un sistema giuridico accusatorio di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte sia più esteso rispetto a quello di un giudice di uno Stato membro in cui esista un sistema giuridico inquisitorio, in quanto, in un sistema giuridico accusatorio, sono le parti, e non il giudice stesso, a dettare la forma, il contenuto ed il ritmo del procedimento. Pertanto, nell’ambito di quest’ultimo sistema, un giudice nazionale non potrebbe apportare modifiche sostanziali ad una questione sollevata da una parte o sottoporre alla Corte la propria opinione in merito alla soluzione da fornire alla questione.

59 L’UCD, il governo tedesco e la Commissione concordano nel ritenere che la natura dell’obbligo previsto dall’art. 267, n. 3, TFUE non dipenda dalle caratteristiche specifiche dei sistemi giuridici degli Stati membri. Inoltre, dalla sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit e a. (Racc. pag. 3415) emergerebbe che spetta al giudice nazionale stabilire se e, all’occorrenza, in qual modo sottoporre le questioni pregiudiziali.

Giudizio della Corte

60 Secondo costante giurisprudenza della Corte, l’art. 267 TFUE istituisce un meccanismo di rinvio pregiudiziale volto a prevenire divergenze interpretative del diritto dell’Unione che i giudici nazionali devono applicare e tende a garantire quest’applicazione, conferendo al giudice nazionale un mezzo per eliminare le difficoltà che possa generare il dovere di dare al diritto dell’Unione piena esecuzione nella cornice dei sistemi giurisdizionali degli Stati membri (v., in tal senso, parere 8 marzo 2011, 1/09, non ancora pubblicato nella Raccolta, punto 83 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

61 Infatti, l’art. 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la facoltà – ed eventualmente impone loro l’obbligo – di effettuare un rinvio pregiudiziale qualora il giudice rilevi, vuoi d’ufficio, vuoi su domanda di parte, che il merito della controversia solleva un aspetto previsto al primo comma di detto articolo. Ne discende che le magistrature nazionali godono della più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esse pendente siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che implicano un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto comunitario (v., segnatamente, sentenze 16 dicembre 2008, causa C‑210/06, Cartesio, Racc. pag. I‑9641, punto 88, nonché 22 giugno 2010, cause riunite C‑188/10 e C‑189/10, Melki e Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 41).

62 La Corte ha inoltre già avuto modo di affermare che il sistema introdotto dall’art. 267 TFUE per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto dell’Unione negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo ad ogni iniziativa delle parti (v., segnatamente, sentenza Cartesio, cit., punto 90).

63 A tal riguardo, il rinvio pregiudiziale si basa su un dialogo tra giudici, il cui avvio si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessità del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale (sentenza Cartesio, cit., punto 91).

64 In tal senso, se spetta al giudice nazionale valutare se l’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione risulti necessaria per consentirgli di pronunciarsi sulla lite dinanzi ad esso pendente, alla luce del meccanismo procedurale previsto dall’art. 267 TFUE, spetta al giudice medesimo decidere in quali termini dette questioni debbano essere formulate.

65 Se è pur vero che detto giudice è libero di invitare le parti della lite dinanzi ad esso pendente a suggerire formulazioni che possano essere raccolte nella redazione dei quesiti pregiudiziali, resta tuttavia il fatto che è solamente al giudice medesimo cui spetta decidere, da ultimo, in merito tanto alla forma quanto al contenuto dei quesiti stessi.

66 Conseguentemente, la quarta questione dev’essere risolta nel senso che l’obbligo previsto all’art. 267, n. 3, TFUE non differisce a seconda che nello Stato membro interessato esista un sistema giuridico accusatorio ovvero un sistema giuridico inquisitorio.

Sulle spese

67 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) L’art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso, dev’essere interpretato nel senso che non prevede il diritto per un candidato ad una formazione professionale, che ritenga che l’accesso alla medesima gli sia stato negato per mancato rispetto del principio di parità di trattamento, di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione medesima riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, affinché sia in grado di dimostrare «elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta», ai sensi della menzionata disposizione.

Tuttavia, non può essere escluso che il diniego di fornire informazioni da parte del convenuto, nell’ambito dell’accertamento dei fatti, possa rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva medesima, privando in tal modo, segnatamente, l’art. 4, n. 1, della stessa del proprio effetto utile. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale ipotesi ricorra nella causa principale.

2) L’art. 4 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, ovvero l’art. 1, punto 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE, che modifica la direttiva 76/207, devono essere interpretati nel senso che non prevedono il diritto per un candidato ad una formazione professionale di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione medesima riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, qualora tale candidato ritenga di non aver avuto accesso alla formazione de qua secondo gli stessi criteri applicati agli altri candidati e di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi del detto art. 4, ovvero quando il candidato medesimo lamenti di essere stato vittima di una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi del detto art. 1, punto 3, per quanto attiene all’accesso alla formazione professionale stessa.

3) Nel caso in cui un candidato ad una formazione professionale possa invocare la direttiva 97/80 al fine di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione stessa riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla medesima, le norme del diritto dell’Unione in materia di riservatezza possono incidere su tale diritto d’accesso.

4) L’obbligo previsto all’art. 267, n. 3, TFUE non differisce a seconda che nello Stato membro interessato esista un sistema giuridico accusatorio ovvero un sistema giuridico inquisitorio.

Firme

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