Corte di giustizia, rinnovo prolungato di contratti di lavoro a tempo determinato, efficacia diretta del diritto comunitario

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

15 aprile 2008 (*)

«Direttiva 1999/70/CE – Clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Rapporti di lavoro a tempo determinato nella pubblica amministrazione – Condizioni di impiego – Retribuzioni e pensioni – Rinnovo di contratti a tempo determinato per una durata massima di otto anni – Autonomia procedurale – Effetto diretto»

Nel procedimento C‑268/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Labour Court (Irlanda) con decisione 12 giugno 2006, pervenuta in cancelleria il 19 giugno 2006, nella causa tra

Impact

e

Minister for Agriculture and Food,

Minister for Arts, Sport and Tourism,

Minister for Communications, Marine and Natural Resources,

Minister for Foreign Affairs,

Minister for Justice, Equality and Law Reform,

Minister for Transport,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Rosas, K. Lenaerts (relatore), G. Arestis, U. Lõhmus e L. Bay Larsen, presidenti di sezione, dai sigg. P. Kūris, E. Juhász, A. Borg Barthet, J. Klučka e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 5 dicembre 2007,

considerate le osservazioni presentate:

– per Impact, dal sig. B. O’Moore, SC, dalla sig.ra M. Bolger, BL, e dal sig. D. Connolly, solicitor;

– per l’Irlanda, dai sigg. D. O’Hagan, e M. Heneghan, in qualità di agenti, assistiti dal sig. A. Collins, SC, nonché dai sigg. A. Kerr e F. O’Dubhghaill, BL;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster e dal sig. M. de Grave, in qualità di agenti;

– per il governo del Regno Unito, dalle sig.re E. O’Neill, K. Smith e I. Rao, in qualità di agenti, assistite dal sig. R. Hill, barrister;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. van Beek e J. Enegren, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 gennaio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43), nonché sull’estensione dell’autonomia procedurale degli Stati membri e sulla portata dell’obbligo di interpretazione conforme gravante sui giudici di questi ultimi.

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sindacato irlandese Impact, che rappresenta dipendenti pubblici irlandesi ed i ministeri presso cui questi ultimi sono occupati in qualità di dipendenti non di ruolo riguardo, da un lato, alle condizioni di retribuzione e pensione applicati ai medesimi in ragione del loro statuto di lavoratori a tempo determinato e, dall’altro, alle condizioni di rinnovo di taluni contratti a tempo determinato da parte di uno di tali ministeri.

Contesto normativo

Normativa comunitaria

3 La direttiva 1999/70 si basa sull’art. 139, n. 2, CE e ai sensi dell’art. 1 è diretta ad «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

4 A norma dell’art. 2, primo comma, di tale direttiva:

«Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione».

5 A norma dell’art. 3, la suddetta direttiva è entrata in vigore il 10 luglio 1999, data della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

6 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, «[l]’obiettivo [di quest’ultimo] è:

a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».

7 La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «[P]rincipio di non discriminazione», prevede:

«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

2. Se del caso, si applicherà il principio del “pro rata temporis”.

3. Le disposizioni per l’applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.

4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».

8 La clausola 5 dell’accordo quadro, relativa alle «[m]isure di prevenzione degli abusi», enuncia:

«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a) devono essere considerati “successivi”;

b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

9 L’accordo quadro contiene anche una clausola 8 relativa alle «[d]isposizioni di attuazione», il cui punto 5 prevede:

«La prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturite dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali».

Normativa nazionale

10 La direttiva 1999/70 è stata trasposta nell’ordinamento irlandese dalla legge del 2003, sulla tutela dei lavoratori (lavoro a tempo determinato) [Protection of Employees (Fixed – Term Work) Act 2003] (in prosieguo: la «legge del 2003»). Tale legge è entrata in vigore il 14 luglio 2003.

11 L’art. 6 della legge del 2003 traspone la clausola 4 dell’accordo quadro. Il combinato disposto degli artt. 2, n. 1, e 6, n. 1, della suddetta legge garantisce ai lavoratori a tempo determinato diritti a retribuzione e pensione uguali a quelli dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili.

12 L’art. 9 della legge del 2003 traspone la clausola 5 dell’accordo quadro. Esso prevede al n. 1 che il rapporto di lavoro a tempo determinato di un lavoratore il quale, alla data di adozione di tale legge o successivamente ad essa, abbia completato il terzo anno di lavoro consecutivo presso il suo datore di lavoro o un datore di lavoro associato possa essere rinnovato solamente una volta e per un periodo di un anno al massimo. Ai sensi dell’art. 9, n. 3, della stessa legge, le condizioni inserite in un contratto di lavoro in violazione del n. 1 di tale articolo sono inefficaci ed il contratto in parola è reputato concluso a tempo indeterminato.

13 Un datore di lavoro può tuttavia derogare, per ragioni oggettive, agli obblighi derivanti dagli artt. 6 e 9 della legge del 2003. La nozione di ragioni oggettive è specificata all’art. 7 di tale legge.

14 L’art. 14, n. 1, della legge del 2003 prevede che un lavoratore o il sindacato cui sia iscritto possa indirizzare una domanda fondata su una violazione della suddetta legge ad un rights commissioner che è tenuto ad esaminare la domanda e ad emanare una decisione per iscritto. Se la domanda è accolta, quest’ultimo può accordare un risarcimento secondo le modalità previste dall’art. 14, n. 2, della suddetta legge, cioè, segnatamente, un indennizzo fino ad un massimo di due retribuzioni annuali.

15 L’art. 15 della legge del 2003 prevede la possibilità di interporre appello contro la decisione di un rights commissioner dinanzi alla Labour Court. La pronuncia in appello può essere impugnata dinanzi alla High Court.

16 I rights commissioners e la Labour Court sono stati istituiti, rispettivamente, dalle leggi del 1969 e del 1946 in materia di rapporti di lavoro (Industrial Relations Act 1969 e Industrial Relations Act 1946). Diverse leggi irlandesi, tra cui la legge del 2003, attribuiscono loro competenza a conoscere delle controversie tra datori di lavoro e lavoratori. Tuttavia, secondo le indicazioni fornite nella decisione di rinvio, né i rights commissioners né la Labour Court hanno un’espressa competenza a decidere di una domanda basata su una disposizione del diritto comunitario avente efficacia diretta, a meno che tale disposizione rientri nel campo di applicazione della normativa che istituisce la loro competenza.

Fatti all’origine della controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali

17 Nella causa principale l’Impact rappresenta gli interessi di 91 dei suoi membri (in prosieguo: i «ricorrenti nella causa principale»), impiegati presso diversi ministeri irlandesi (in prosieguo: i «convenuti nella causa principale») sulla base di successivi contratti a tempo determinato per periodi che hanno iniziato a decorrere prima del 14 luglio 2003, data di entrata in vigore della legge del 2003, e che sono stati prolungati oltre tale data.

18 I ricorrenti nella causa principale sono dipendenti non di ruolo e sono oggetto, in forza della normativa irlandese relativa al pubblico impiego, di un regime distinto da quello applicabile ai dipendenti di ruolo. Si precisa nella decisione di rinvio che, a parere dei suddetti ricorrenti, quest’ultimo regime è più vantaggioso di quello loro applicabile.

19 Tra i ricorrenti nella causa principale, alcuni hanno compiuto meno di tre anni di servizio ininterrotto come lavoratori a tempo determinato e rivendicano le medesime condizioni di impiego dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, mentre gli altri hanno effettuato più di tre anni di servizio ininterrotto e rivendicano, oltre a uguali condizioni di impiego, un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

20 Secondo la decisione di rinvio, i contratti a tempo determinato di cui trattasi erano diretti a rispondere ad esigenze temporanee dei convenuti nella causa principale ed a far fronte a situazioni in cui non poteva essere garantito un finanziamento stabile dei posti in questione. La prassi diffusa dei suddetti convenuti consisteva nel rinnovare tali contratti per periodi variabili da uno a due anni. Tuttavia, nel corso del periodo immediatamente precedente all’entrata in vigore della legge del 2003, uno dei convenuti nella causa principale ha rinnovato i contratti di un certo numero di ricorrenti nella stessa causa a tempo determinato per una durata massima di otto anni.

21 Ritenendo che i convenuti nella causa principale avessero violato, in quanto datori di lavoro, le disposizioni della legge del 2003 e della direttiva 1999/70 a svantaggio dei ricorrenti nella stessa causa, l’Impact ha intentato un ricorso a nome di questi ultimi dinanzi ad un rights commissioner. Nell’ambito di tale ricorso esso ha fatto valere, da un lato, la violazione del diritto di questi ultimi ad un trattamento uguale, in termini di retribuzione e di diritti a pensione, a quello dei dipendenti di ruolo, considerati, secondo i ricorrenti nella causa principale, come lavoratori a tempo indeterminato comparabili, e, dall’altro, il carattere abusivo del ripetuto rinnovo dei contratti a tempo determinato. Le domande così presentate sono state fondate sulla clausole 4 e 5 dell’accordo quadro, per quanto concerne il periodo compreso tra il 10 luglio 2001, data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70, ed il 14 luglio 2003, data di entrata in vigore delle disposizioni che attuano effettivamente la trasposizione di quest’ultima nell’ordinamento irlandese. Per il periodo successivo a quest’ultima data, tali domande sono state fondate sull’art. 6 della legge del 2003.

22 I convenuti nella causa principale hanno contestato la competenza del rights commissioner a conoscere dei ricorsi in parola qualora questi ultimi si fondassero sulla direttiva 1999/70. Essi hanno fatto valere in proposito che il suddetto rights commissioner era unicamente competente a decidere dei ricorsi fondati sul diritto nazionale. Essi hanno anche fatto valere che le clausole 4 e 5 dell’accordo quadro, che non sono né incondizionate né sufficientemente precise, non potevano essere invocate dai singoli dinanzi ai giudici nazionali. Essi hanno peraltro sostenuto che i termini della clausola 4 dell’accordo quadro non permettevano ad un lavoratore a tempo determinato di aver diritto a condizioni di retribuzione e di pensione uguali a quelle di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile.

23 Il rights commissioner ha affermato la propria competenza a conoscere dell’integralità dei ricorsi, anche per quelli relativi al periodo compreso tra il 10 luglio 2001 ed il 14 luglio 2003. Egli ha dichiarato che il principio di non discriminazione sancito nella clausola 4 dell’accordo quadro comprendeva anche la retribuzione nonché i diritti a pensione e che tale clausola era direttamente applicabile, a differenza della clausola 5.

24 Ritenendo fondate le domande diverse da quelle basate sulla clausola 5 dell’accordo quadro e considerando che i convenuti nella causa principale avessero violato i diritti dei ricorrenti in forza sia del diritto nazionale sia della direttiva 1999/70 riservando loro condizioni di impiego meno favorevoli di quelle riconosciute ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili, il rights commissioner ha accordato ai suddetti ricorrenti, sul fondamento dell’art. 14, n. 2, della legge del 2003, un indennizzo pecuniario variabile da EUR 2 000 a EUR 40 000. Esso ha inoltre ingiunto ai convenuti nella causa principale di accordare ai ricorrenti nella medesima causa condizioni di impiego equivalenti a quelle di cui fruiscono i lavoratori in parola. Esso ha loro ordinato anche di accordare a taluni ricorrenti nella causa principale un contratto a tempo indeterminato a condizioni che non fossero meno favorevoli di quelle riservate ai suddetti lavoratori.

25 I convenuti nella causa principale hanno interposto appello avverso la decisione del rights commissioner dinanzi alla Labour Court. L’Impact ha presentato domanda riconvenzionale avverso tale decisione nella parte in cui quest’ultima ha dichiarato la clausola 5 dell’accordo quadro priva di efficacia diretta.

26 Il giudice nazionale, alla luce degli argomenti dinanzi ad esso dibattuti, è posto di fronte ad una serie di questioni, determinanti per la soluzione della causa principale, che dipendono dall’interpretazione del diritto comunitario.

27 In primo luogo tale giudice, benché la legge del 2003 non gli conferisca espressamente la competenza a statuire su un ricorso mirante all’applicazione diretta del diritto comunitario, dubita tuttavia, tenuto conto dell’art. 10 CE, da un lato, e dei principi di equivalenza e di effettività che delimitano l’autonomia procedurale di cui fruiscono gli Stati membri, dall’altro, che esso possa dichiararsi incompetente ad esaminare i ricorsi nella causa principale in quanto fondati sulla direttiva 1999/70 e sull’accordo quadro.

28 In secondo luogo il giudice nazionale, anche supponendo di essere competente ad applicare il diritto comunitario, si chiede se le clausole 4 e 5 dell’accordo quadro, su cui sono fondati i ricorsi nella causa principale quanto al periodo compreso tra il 10 luglio 2001 ed il 14 luglio 2003, siano incondizionati e sufficientemente precisi per essere dotati di efficacia diretta. Esso è del parere che ciò vale unicamente per la clausola 4.

29 In terzo luogo il giudice nazionale chiede se la clausola 5 dell’accordo quadro possa essere invocata per far dichiarare l’illegittimità della decisione adottata da uno dei convenuti nella causa principale nel corso del periodo immediatamente precedente all’entrata in vigore della legge del 2003, di mantenere, per quanto riguarda taluni ricorrenti nella causa principale, contratti con una durata massima di otto anni.

30 Tale giudice ritiene che, malgrado l’assenza manifesta di cattiva fede del convenuto nella causa principale di cui trattasi ed i chiarimenti di quest’ultimo fondati su esigenze temporanee nonché sull’impossibilità di garantire il finanziamento stabile dei posti in questione, tale decisione abbia avuto per risultato concreto di privare i ricorrenti nella causa principale della possibilità di ottenere un contratto di durata indeterminata entro un termine ragionevole dopo l’adozione della legge del 2003. Esso considera che, con la suddetta decisione, l’Irlanda ha ottenuto, a detrimento dei suddetti ricorrenti, un vantaggio dall’illegittimità da essa stessa commessa non trasponendo la direttiva 1999/70 nel termine impartito.

31 In quarto luogo il giudice nazionale, anche supponendo che non è competente ad applicare il diritto comunitario o che le clausole 4 e 5 dell’accordo quadro siano prive di efficacia diretta, chiede se l’obbligo di interpretazione conforme gravante su di esso implichi che deve interpretare la legge del 2003 nel senso che quest’ultima retroagisce al 10 luglio 2001.

32 Tale giudice rileva che, benché il diritto irlandese escluda in linea di principio l’applicazione retroattiva delle leggi, l’art. 6 della legge del 2003 non comporta alcuna indicazione che osti alla sua applicazione retroattiva. Esso aggiunge che, se è vero che l’obbligo di interpretazione conforme trova i suoi limiti nei principi di certezza del diritto e di non retroattività, e non può, di per se stesso e indipendentemente da una legge nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70, determinare o aggravare la responsabilità penale risultante da una violazione del diritto comunitario, sorge però la questione, nel caso di specie, se tale obbligo significhi che il diritto nazionale possa essere applicato retroattivamente al fine di imporre la responsabilità civile a carico di uno Stato membro, nella sua veste di datore di lavoro, per azioni o omissioni contrarie ad una direttiva e risalenti ad un periodo in cui quest’ultima avrebbe dovuto essere attuata dal suddetto Stato membro.

33 In quinto luogo il giudice nazionale chiede se le condizioni di impiego, ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro, comprendano le condizioni di retribuzione ed i diritti a pensione.

34 Rinviando all’accezione ampia del concetto di retribuzione nel contesto dell’art. 141 CE, relativo al principio della parità tra i sessi, esso considera che un’interpretazione escludente le retribuzioni dal campo di applicazione della clausola di cui trattasi equivarrebbe a privare i lavoratori a tempo determinato di una protezione dalle discriminazioni per quanto concerne una serie di aspetti essenziali rientranti nella retribuzione, il che andrebbe contro l’obiettivo perseguito dall’accordo quadro.

35 Esso ritiene peraltro che, alla luce dell’’art. 136 CE e della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata in occasione della riunione del Consiglio europeo tenuto a Strasburgo il 9 dicembre 1989 (in particolare del suo punto 7), con cui l’art. 137 CE va letto in combinato disposto, il n. 5 di quest’ultimo articolo, che esclude le retribuzioni dal campo di applicazione del medesimo, debba essere interpretato nel senso che esso è diretto unicamente a negare una competenza legislativa alla Comunità europea per la fissazione di retribuzioni minime comunitarie e non osta quindi all’inclusione degli elementi di retribuzione e di pensione nella nozione di «condizioni di lavoro» ai sensi dell’art. 137, n. 1, CE.

36 Tenuto conto di tali vari interrogativi, la Labour Court ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se, nel decidere una causa in primo grado ai sensi di una disposizione di diritto nazionale oppure nel pronunciarsi su un appello avverso una tale decisione, i [r]ights [c]ommissioners e la Labour Court siano tenuti in base ad un principio di diritto comunitario (in particolare i principi di equivalenza e di effettività) ad applicare una disposizione direttamente applicabile della direttiva (…) 1999/70 (…) in circostanze in cui:

– al [r]ight [c]ommissioner ed alla Labour Court non è stata attribuita espressamente competenza a tal fine ai sensi del diritto nazionale dello Stato membro, comprese le disposizioni del diritto nazionale che hanno trasposto la direttiva;

– i singoli possono proporre ricorsi alternativi per la mancata applicazione della direttiva da parte dei loro datori di lavoro alle loro singole fattispecie dinanzi alla High Court, e

– i singoli possono proporre ricorsi alternativi dinanzi ad un giudice ordinario competente contro lo Stato membro chiedendo un risarcimento danni per la perdita da loro subita derivante dall’omessa trasposizione della direttiva entro il termine da parte degli Stati membri.

2) Se, in caso di soluzione affermativa della prima questione:

a) la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro (…) sia incondizionata e sufficientemente precisa così da poter essere fatta valere dai singoli dinanzi ai loro giudici nazionali;

b) la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (…) sia incondizionata e sufficientemente precisa così da poter essere fatta valere dai singoli dinanzi ai loro giudici nazionali.

3) Se, con riguardo alle soluzioni della Corte alla prima questione e alla seconda questione, lett. b), la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (…) impedisca ad uno Stato membro, che agisce nella sua veste di datore di lavoro, di rinnovare un contratto di lavoro a tempo determinato per una durata massima di otto anni nel periodo successivo alla data in cui la suddetta direttiva avrebbe dovuto essere trasposta e prima dell’adozione della normativa di attuazione, qualora:

– in tutte le precedenti occasioni il contratto sia stato rinnovato per periodi più brevi e il datore di lavoro richieda le prestazioni del dipendente per un periodo più lungo del rinnovo abituale;

– il rinnovo per tale più lungo periodo abbia l’effetto di eludere l’applicazione ad un singolo del pieno beneficio della clausola 5 dell’accordo quadro all’atto della trasposizione nel diritto nazionale, e

– non vi siano ragioni oggettive non correlate allo status di dipendente come lavoratore a tempo determinato, tali da giustificare un rinnovo siffatto.

4) Se, in caso di soluzione negativa della prima o della seconda questione, il [r]ights [c]ommissioner e la Labour Court siano tenuti ai sensi di qualche disposizione di diritto comunitario (e in particolare dall’obbligo di interpretare il diritto nazionale alla luce della lettera e dello spirito di una direttiva in modo tale da conseguire il risultato perseguito dalla direttiva) ad interpretare disposizioni di diritto nazionale adottate allo scopo di trasporre la direttiva (…) 1999/70 (…) nel senso che retroagiscano alla data in cui la suddetta direttiva avrebbe dovuto essere trasposta, qualora:

– la formulazione letterale della disposizione di diritto nazionale non impedisca espressamente tale interpretazione, ma

– una norma di diritto nazionale che disciplina l’interpretazione delle leggi impedisca tale applicazione retroattiva senza che vi sia una chiara e inequivocabile indicazione in senso contrario.

5) Se, in caso di soluzione positiva della prima o della quarta questione, le “condizioni di impiego” cui si riferisce la clausola 4 dell’accordo quadro (…) comprendano le condizioni di un contratto di lavoro relative a retribuzione e pensioni».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

37 Con la prima questione il giudice del rinvio intende in sostanza accertare se, nonostante l’assenza di disposizione espressa in tal senso nel diritto nazionale applicabile, un giudice nazionale in quanto tale o un rights commissioner, chiamato a decidere una controversia fondata su una violazione della legge che traspone la direttiva 1999/70, sia tenuto, ai sensi del diritto comunitario, a dichiararsi competente anche a conoscere di domande direttamente fondate sulla direttiva medesima, allorché queste ultime si riferiscono ad un periodo successivo alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva in questione, ma precedente alla data di entrata in vigore della legge di trasposizione che gli ha attribuito competenza a conoscere di domande fondate sulla legge stessa.

38 Il giudice nazionale precisa al riguardo che gli interessati possono citare in giudizio lo Stato membro in questione dinanzi ai giudici ordinari sia nella sua veste di datore di lavoro, sia al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dall’omessa trasposizione della direttiva 1999/70 nel termine impartito.

39 Occorre preliminarmente rilevare, come ha fatto l’Irlanda all’udienza, che né la direttiva 1999/70 né l’accordo quadro designano gli organi nazionali competenti a garantire la loro applicazione, così come non definiscono le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire tale applicazione. Al contrario, la clausola 8, punto 5, dell’accordo quadro rinvia alle leggi, ai contratti collettivi ed alle prassi nazionali per quanto concerne la prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturenti dall’applicazione di quest’ultimo.

40 Occorre peraltro ricordare che la libertà di scegliere il modo ed i mezzi destinati a garantire l’attuazione di una direttiva nulla toglie all’obbligo, per ciascuno degli Stati membri destinatari, di adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva in questione, conformemente allo scopo che essa persegue (v. sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 15).

41 L’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai sensi dell’art. 10 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi dei detti Stati, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (sentenza von Colson e Kamann, cit., punto 26).

42 Infatti, spetta in particolare ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto comunitario e garantirne la piena efficacia (sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835, punto 111).

43 Si deve ricordare in proposito che il principio di tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet, Racc. pag. I‑2271, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

44 Conformemente alla giurisprudenza costante, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, Racc. pag. 1989, punto 5; causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 13; 14 dicembre 1995, causa C‑312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I‑4599, punto 12; Unibet, cit., punto 39, e 7 giugno 2007, cause riunite da C‑222/05 a C‑225/05, van der Weerd e a., Racc. pag. I‑4233, punto 28).

45 Tuttavia gli Stati membri sono tenuti a garantire in ogni caso la tutela effettiva di tali diritti (v., segnatamente, sentenze 9 luglio 1985, causa 179/84, Bozzetti, Racc. pag. 2301, punto 17; 18 gennaio 1996, causa C‑446/93, SEIM, Racc. pag. I‑73, punto 32, e 17 settembre 1997, causa C‑54/96, Dorsch Consult, Racc. pag. I‑4961, punto 40).

46 Sotto tale profilo, come risulta dalla giurisprudenza consolidata, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, punto 5; Comet, punti 13‑16; Peterbroeck, punto 12; Unibet, punto 43, nonché van der Weerd e a., punto 28).

47 Tali esigenze di equivalenza e di effettività, espresse attraverso l’obbligo generale per gli Stati membri di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza del diritto comunitario, valgono anche quanto alla designazione dei giudici competenti a conoscere delle azioni fondate su tale diritto.

48 Infatti il mancato rispetto delle suddette esigenze sotto tale profilo è, al pari di un inadempimento delle medesime sotto il profilo della definizione delle modalità procedurali, tale da ledere il principio di tutela giurisdizionale effettiva.

49 Proprio alla luce di tali considerazioni, occorre risolvere la prima questione sollevata dal giudice nazionale.

50 Va sottolineato che, poiché la legge del 2003 costituisce la normativa con la quale l’Irlanda ha soddisfatto gli obblighi incombentile ai sensi della direttiva 1999/70, una domanda fondata sulla violazione di tale legge ed una domanda direttamente fondata sulla suddetta direttiva vanno considerate, come sottolineato dallo stesso giudice nazionale, come uno stesso e identico rimedio giurisdizionale (v., in tal senso, sentenze 1° dicembre 1998, causa C‑326/96, Levez, Racc. pag. I‑7835, punti 46 e 47, nonché 16 maggio 2000, causa C‑78/98, Preston e a., Racc. pag. I‑3201, punto 51). In effetti, nonostante fondamenti normativi diversi sotto il profilo formale, esse sono dirette, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, alla tutela dei medesimi diritti, derivati dal diritto comunitario, cioè dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro.

51 In tale situazione, quando il legislatore nazionale ha operato la scelta di conferire a giudici speciali la competenza a conoscere delle domande fondate sulla legge di trasposizione della direttiva 1999/70, l’obbligo che verrebbe imposto a singoli i quali versino nella situazione dei ricorrenti nella causa principale, che hanno inteso adire siffatto giudice speciale con una domanda fondata sulla violazione della suddetta legge, di adire parallelamente un giudice ordinario con una domanda distinta al fine di far valere i diritti che potrebbe derivare direttamente dalla direttiva medesima per il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima e la data di entrata in vigore della legge che ne assicura la trasposizione, risulterebbe contrario al principio di effettività se dovessero risultarne per i singoli in questione, ciò di cui la verifica spetta al giudice nazionale, inconvenienti procedurali in termini, segnatamente, di costo, durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti fondati sulla suddetta direttiva.

52 All’udienza l’Irlanda ha fatto valere che la competenza riconosciuta dalla legge del 2003 ai rights commissioners ed alla Labour Court è facoltativa e, quindi, non impedisce ai singoli di proporre dinanzi ad un giudice ordinario un solo e medesimo ricorso, fondato in parte sul diritto nazionale ed in parte sul diritto comunitario.

53 Quand’anche tale affermazione fosse esatta, ciò non toglie che, dal momento che dei singoli abbiano inteso ricorrere, alla stregua dei ricorrenti nella causa principale, alla competenza conferita, fosse solo in via facoltativa, dal legislatore nazionale, all’atto della trasposizione della direttiva 1999/70, ai giudici speciali in parola per conoscere delle controversie fondate sulla legge del 2003, il principio di effettività esigerebbe che essi possano anche rivendicare, dinanzi a tali medesimi giudici, la tutela dei diritti che potrebbero derivare direttamente dalla direttiva medesima, se dalle verifiche effettuate dal giudice del rinvio dovesse emergere che l’obbligo di scindere il loro ricorso in due distinte domande e di presentare dinanzi ad un giudice ordinario quella direttamente fondata sulla suddetta direttiva porta a complicazioni procedurali idonee a rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti agli interessati dall’ordinamento comunitario.

54 Se il giudice nazionale pervenisse a constatare una violazione siffatta del principio di effettività, gli incomberebbe interpretare le regole interne di competenza, per quanto possibile, in modo tale che esse possano ricevere un’applicazione che contribuisca al perseguimento dell’obiettivo di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza Unibet, cit., punto 44).

55 Alla luce delle precedenti considerazioni la prima questione va risolta nel senso che il diritto comunitario, in particolare il principio di effettività, esigerebbe che un giudice speciale, chiamato, nell’ambito della competenza che gli è stata conferita, sia pure in via facoltativa, dalla normativa di trasposizione della direttiva 1999/70, a conoscere di una domanda fondata su una violazione di tale normativa, si dichiari competente a conoscere anche delle domande del richiedente direttamente fondate sulla medesima direttiva per il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima e la data di entrata in vigore della suddetta normativa se risultasse che l’obbligo per il richiedente in questione di adire parallelamente un giudice ordinario con una domanda distinta direttamente fondata sulla suddetta direttiva dovesse implicare inconvenienti procedurali tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferitigli dall’ordinamento comunitario. Spetta al giudice nazionale procedere alle necessarie verifiche al riguardo.

Sulla seconda questione

56 Qualora il giudice nazionale, alla luce degli elementi di risposta forniti sulla prima questione, fosse tenuto a dichiararsi competente a conoscere delle domande dei ricorrenti nella causa principale direttamente fondate sulla direttiva 1999/70, occorre risolvere la seconda questione con cui esso chiede in sostanza se le clausole 4, punto 1, e 5, punto 1, dell’accordo quadro possano essere invocate da singoli dinanzi ad un giudice nazionale.

57 Risulta in proposito da una giurisprudenza costante che, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere invocate dai singoli nei confronti dello Stato, anche in qualità di datore di lavoro (v., segnatamente, in tal senso, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punti 46 e 49, nonché 20 marzo 2003, causa C‑187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741, punti 69 e 71).

58 Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 87 delle sue conclusioni, la suddetta giurisprudenza può essere applicata agli accordi che, come l’accordo quadro, sono nati da un dialogo condotto, sul fondamento dell’art. 139, n. 1, CE, tra parti sociali a livello comunitario e sono stati attuati, conformemente al n. 2 di tale stesso articolo, da una direttiva del Consiglio dell’Unione europea, di cui sono allora parte integrante.

Sulla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro

59 La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro enuncia il divieto di trattare, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

60 Tale disposizione esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego. Come ha sostenuto l’Impact, il suo contenuto appare quindi sufficientemente preciso affinché possa essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice (v., per analogia, citata sentenza Marshall, punto 52).

61 Contrariamente a quanto ha fatto valere l’Irlanda, l’assenza di definizione, nella disposizione in questione, della nozione di condizioni di impiego non tocca l’idoneità della suddetta disposizione ad essere applicata da un giudice ai dati della controversia di cui deve conoscere e, conseguentemente, non è tale da togliere al contenuto di tale disposizione il suo carattere sufficientemente preciso. Pertanto disposizioni di una direttiva sono già state considerate sufficientemente precise nonostante l’assenza di definizione comunitaria delle nozioni di diritto sociale che comportano le disposizioni medesime (v., al riguardo, sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a., Racc. pag. I‑5357, punti 13 e 14).

62 Peraltro il divieto preciso stabilito dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non necessita l’emanazione di alcun atto delle istituzioni comunitarie (v., per analogia, sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn, Racc. pag. 1337, punto 6). Del resto la disposizione esaminata non attribuisce affatto agli Stati membri la facoltà, in occasione della sua trasposizione in diritto nazionale, di condizionare o di restringere la portata del diritto stabilito in materia di condizioni di impiego (v., per analogia, citata sentenza Marshall, punto 55).

63 È vero che, come ha fatto valere l’Irlanda, tale disposizione implica, rispetto al principio di non discriminazione da essa enunciato, una riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive.

64 Tuttavia, come sottolineato dallo stesso giudice nazionale, l’applicazione di tale riserva può essere soggetta ad un sindacato giurisdizionale (v., per un esempio di un sindacato siffatto relativo alla nozione di ragioni oggettive nel contesto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punti 58‑75), talché la possibilità di avvalersene non impedisce di considerare che la disposizione esaminata attribuisce ai singoli diritti che possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare (v., per analogia, sentenze van Duyn, cit., punto 7; 10 novembre 1992, causa C‑156/91, Hansa Fleisch Ernst Mundt, Racc. pag. I‑5567, punto 15; 9 settembre 1999, causa C‑374/97, Feyrer, Racc. pag. I‑5153, punto 24, nonché 17 settembre 2002, causa C‑413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I‑7091, punti 85 e 86).

65 Sulla precisione e sul carattere incondizionato della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non incide neppure il punto 2 della medesima. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 101 delle sue conclusioni, tale punto 2 si limita a sottolineare una delle conseguenze che possono se del caso essere ricollegate, sotto il controllo eventuale del giudice, all’applicazione del principio di non discriminazione a favore dei lavoratori a tempo determinato, senza per nulla incidere sul tenore stesso di tale principio.

66 Circa la clausola 4, punto 3, dell’accordo quadro, del pari invocata dall’Irlanda per negare efficacia diretta al punto 1 della clausola stessa, occorre osservare che essa rimette agli Stati membri e/o alle parti sociali il compito di definire le disposizioni destinate a facilitare l’«applicazione» del principio del divieto di discriminazione vietato da tale clausola.

67 Tali disposizioni non possono quindi, in alcun modo, riguardare la definizione del contenuto stesso di tale principio (v., per analogia, sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punti 32 e 33). Come ha suggerito lo stesso giudice nazionale e come ha fatto valere l’Impact, esse non possono quindi condizionare l’esistenza o restringere la portata di quest’ultimo (v., per analogia, sentenze 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punti 21 e 26, nonché Becker, cit., punto 39).

68 Ne consegue che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale.

Sulla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro

69 La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, di adottare, in assenza di norme equivalenti nel diritto nazionale, una o più tra le misure da essa elencate. Le misure così elencate, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive per la giustificazione del rinvio di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi.

70 La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, imponendo agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure elencate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti (v. sentenze Adeneler e a., cit., punti 65 e 101, nonché 7 settembre 2006, causa C‑53/04, Marrosu e Sardino, Racc. pag. I‑7213, punto 44, nonché causa C‑180/04, Vassallo, Racc. pag. I‑7251, punto 35), assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella prevenzione di tali abusi, pur lasciando ad essi la scelta dei mezzi per conseguirlo.

71 Ai sensi di tale disposizione, rientra infatti nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere a tal fine ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o ancora a norme in vigore equivalenti, pur tenendo conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori.

72 È vero che, come ha fatto valere la Commissione basandosi sulla citata sentenza Francovich e a. (punto 17), la facoltà, per gli Stati membri, di scegliere tra una molteplicità di mezzi possibili al fine di conseguire il risultato prescritto da una direttiva non esclude che i singoli possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti il cui contenuto può essere determinato con una precisione sufficiente sulla base delle sole disposizioni della direttiva (v. anche, in tal senso, sentenze 2 agosto 1993, causa C‑271/91, Marshall, Racc. pag. I‑4367, punto 37, nonché causa Pfeiffer e a., cit., punto 105).

73 Occorre però constatare che, diversamente dalle disposizioni di cui trattasi nella causa all’origine della citata sentenza Francovich e a., la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro non comporta alcun obbligo incondizionato e sufficientemente preciso che possa essere invocato, in assenza di misure di trasposizione adottate nei termini, da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale.

74 Nella citata sentenza Francovich e a., la Corte ha potuto, nonostante la libertà di scelta lasciata dalla direttiva in questione agli Stati membri per conseguire il risultato prescritto da tale direttiva, individuare in quest’ultima disposizioni che definiscono in maniera incondizionata e sufficientemente precisa un contenuto di protezione minima concernente il pagamento dei crediti salariali in caso di insolvibilità del datore di lavoro (v. anche, per altri casi di individuazione di una siffatta protezione minima, sentenze 3 ottobre 2000, causa C‑303/98, Simap, Racc. pag. I‑7963, punti 68 e 69, nonché Pfeiffer e a., cit., punto 105).

75 Orbene, nel caso di specie, non può accogliersi il suggerimento della Commissione secondo cui la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro determinerebbe anche una siffatta protezione materiale minima in quanto esigerebbe, in assenza di qualsiasi altra misura destinata a lottare contro gli abusi o, almeno, di misura sufficientemente efficace, oggettiva e trasparente a tal fine, che ragioni obiettive giustifichino il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.

76 Infatti, da una parte, se è vero, come la Corte ha sottolineato al punto 67 della citata sentenza Adeneler e a., a tenore del punto 7 delle considerazioni generali dell’accordo quadro, le parti firmatarie di quest’ultimo hanno considerato che «l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni obiettive è un modo di prevenire gli abusi», resta il fatto che la lettura patrocinata dalla Commissione equivarrebbe ad istituire una gerarchia tra le diverse misure di cui alla clausola 5, punto 1, del suddetto accordo quadro, mentre i termini stessi di tale disposizione indicano senza equivoco che le diverse misure prese in considerazione sono concepite come «equivalenti».

77 D’altra parte, come ha rilevato anche l’avvocato generale al paragrafo 116 delle sue conclusioni, l’interpretazione suggerita dalla Commissione avrebbe per conseguenza di privare di qualsiasi senso la scelta di mezzi consentita dalla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, dato che essa permetterebbe ad un singolo di eccepire l’assenza di ragioni obiettive al fine di contestare il rinnovo del suo contratto a tempo determinato, quand’anche tale rinnovo non infrangesse le regole relative alla durata massima totale o al numero di rinnovi che lo Stato membro interessato avrebbe adottato conformemente alle opzioni offerte dalla suddetta clausola 5, punto 1, lett. b) e c).

78 Contrariamente a quanto ammesso nella causa all’origine delle sentenze citate al punto 72 della presente sentenza, non è quindi possibile nella presente causa determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtù della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro.

79 Ne consegue che tale disposizione non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale.

80 Dato quanto precede, la seconda questione va risolta nel senso che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro è incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale, mentre ciò non si verifica per la clausola 5, punto 1, del suddetto accordo quadro.

Sulla terza questione

81 Con la terza questione il giudice nazionale chiede in sostanza se, alla luce delle soluzioni fornite alla prima e alla seconda questione per la parte relativa alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, tale disposizione del medesimo impedisca ad uno Stato membro, in quanto datore di lavoro, di rinnovare un contratto di lavoro a tempo determinato per una durata massima di otto anni nel periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70 e quella dell’entrata in vigore della legge di trasposizione di tale direttiva.

82 Nell’ambito della terza questione, il giudice del rinvio precisa che in tutte le precedenti occasioni il contratto era stato rinnovato per periodi più brevi, che il datore di lavoro richiede le prestazioni dell’interessato per un periodo più lungo del rinnovo abituale, che il rinnovo di tale contratto per un periodo più lungo ha per effetto di privare il lavoratore dell’applicazione della clausola 5 dell’accordo quadro all’atto della trasposizione di quest’ultima nel diritto nazionale e che non vi sono ragioni obiettive, non correlate allo status di lavoratore a tempo determinato dell’interessato, tali da giustificare un rinnovo siffatto.

83 Qualora il giudice nazionale, alla luce degli elementi di risposta forniti alla prima questione, fosse tenuto a dichiararsi competente a conoscere delle domande dei ricorrenti nella causa principale fondate sulla direttiva 1999/70, occorre precisare che, se è vero che, come già risposto alla seconda questione, il contenuto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro non è incondizionato e sufficientemente preciso per poter essere invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale, ciò non toglie che, a norma dell’art. 249, terzo comma, CE, la direttiva, pur lasciando agli organi nazionali la competenza quanto alla forma ed ai mezzi, vincola qualsiasi Stato membro destinatario per quanto riguarda il risultato da raggiungere (v. citata sentenza von Colson e Kamann, punto 15).

84 All’art. 2, n. 1, la direttiva 1999/70 prevede dunque che gli Stati membri debbano prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati da essa prescritti.

85 Come già ricordato al punto 41 della presente sentenza, l’obbligo degli Stati membri di conseguire il risultato contemplato da una direttiva, come pure l’obbligo, imposto dall’art. 10 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri (v. citata sentenza von Colson e Kamann, punto 26). Obblighi siffatti gravano su tali autorità, ivi compreso, se del caso, nella loro qualità di datore di lavoro pubblico.

86 Per quanto riguarda l’obiettivo prescritto dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro, quest’ultimo, come risulta dai punti 6 e 8 delle sue considerazioni generali, parte dalla premessa che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro, pur riconoscendo che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori e per determinate occupazioni e attività (v. citata sentenza Adeneler e a., punto 61).

87 Di conseguenza il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (v. sentenza 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold, Racc. pag. I‑9981, punto 64), mentre, come risulta dal secondo comma del preambolo e dal punto 8 delle considerazioni generali dell’accordo quadro, soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (v. citata sentenza Adeneler e a., punto 62).

88 In tale ottica l’accordo quadro intende delimitare il ripetuto ricorso a quest’ultima categoria di rapporti di lavoro, considerata come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v. citata sentenza Adeneler e a., punto 63).

89 Come risulta dalla clausola 1, lett. b), di tale accordo quadro, oggetto di quest’ultimo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Secondo il suo stesso tenore, la clausola 5, punto 1, del suddetto accordo quadro persegue specificamente tale obiettivo di prevenzione.

90 Ne consegue che gli Stati membri sono tenuti, ai sensi sia degli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE sia della stessa direttiva 1999/70, a prendere qualsiasi misura, generale o particolare, idonea a raggiungere l’obiettivo perseguito dalla suddetta direttiva e dall’accordo quadro consistente nel prevenire il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato.

91 Orbene, tale obbligo sarebbe privo di qualsiasi effetto utile se un’autorità di uno Stato membro, che agisca in qualità di datore di lavoro pubblico, fosse autorizzata a rinnovare contratti per una durata inabitualmente lunga nel corso del periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70 e quella dell’entrata in vigore della legge di trasposizione di quest’ultima, con il risultato di privare per un termine non ragionevole gli interessati del beneficio di misure adottate dal legislatore nazionale per trasporre la clausola 5 dell’accordo quadro.

92 Alla luce delle precedenti considerazioni occorre risolvere la terza questione interpretando gli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE, nonché la direttiva 1999/70, nel senso che un’autorità di uno Stato membro che agisca in qualità di datore di lavoro pubblico non è autorizzata ad adottare misure, contrarie all’obiettivo perseguito dalla suddetta direttiva e dall’accordo quadro per quanto riguarda la prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, consistenti nel rinnovo di tali contratti per un periodo inabitualmente lungo nel corso del periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva e quella dell’entrata in vigore della legge che attua la trasposizione stessa.

Sulla quarta questione

93 Qualora il giudice nazionale, alla luce degli elementi di risposta forniti alla prima questione, non fosse tenuto a dichiararsi competente a conoscere delle domande dei ricorrenti nella causa principale direttamente fondate sulla direttiva 1999/70, è necessario risolvere la quarta questione, con cui esso chiede in sostanza se esista un obbligo a suo carico, in ragione del suo obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità del diritto comunitario, di conferire alla legge del 2003 effetto retroattivo alla data di scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva.

94 Va preliminarmente rilevato che tale quarta questione concerne unicamente l’art. 6 della legge del 2003, che costituisce la misura di trasposizione della clausola 4 dell’accordo quadro.

95 Si indica infatti nella decisione di rinvio che i ricorrenti nella causa principale hanno invece ammesso che i termini utilizzati all’art. 9 della legge del 2003 escludono di per se stessi che si conferisca effetto retroattivo a tale articolo, corrispondente alla trasposizione della clausola 5 dell’accordo quadro, a meno che non si pervenga ad un’interpretazione contra legem.

96 È conseguentemente necessario esaminare se il giudice nazionale, nell’ipotesi di cui al punto 93 della presente sentenza, in cui sarebbe unicamente competente a statuire sulle domande nella causa principale in quanto queste ultime sono fondate su una violazione della legge del 2003, sia tenuto, in ragione dell’esigenza di interpretazione conforme, a conferire all’art. 6 della suddetta legge effetto retroattivo alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70.

97 Il giudice del rinvio precisa al riguardo che, se è vero che il tenore di tale articolo della legge del 2003 non esclude espressamente che un siffatto effetto retroattivo sia riconosciuto a tale disposizione, una regola di diritto nazionale relativa all’interpretazione delle leggi esclude dal canto suo che una legge sia applicata retroattivamente, salvo indicazione chiara ed univoca in senso contrario.

98 Va ricordato in proposito che, nell’applicare il diritto nazionale, in particolare le disposizioni di una normativa appositamente adottata al fine di attuare quanto prescritto da una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE (v., segnatamente, citata sentenza Pfeiffer e a., punto 113 e giurisprudenza ivi citata).

99 L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti inerente al sistema del Trattato CE, in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle sue competenze, la piena efficacia delle norme comunitarie quando risolve la controversia ad esso sottoposta (v., in particolare, citate sentenze Pfeiffer e a., punto 114, e Adeneler e a., punto 109).

100 Tuttavia l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (v. sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, nonché Adeneler e a., cit., punto 110; v. anche, per analogia, sentenza 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino, Racc. pag. I‑5285, punti 44 e 47).

101 Il principio di interpretazione conforme richiede nondimeno che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena effettività della direttiva di cui trattasi e pervenire ad una soluzione conforme alla finalità perseguita da quest’ultima (v. citate sentenze Pfeiffer e a., punti 115, 116, 118 e 119, nonché Adeneler e a., punto 111).

102 Nel caso di specie, dal momento che, secondo le indicazioni contenute nella decisione di rinvio, sembra che il diritto nazionale comporti una regola escludente l’applicazione retroattiva di una legge in assenza di indicazione chiara ed univoca in senso contrario, spetta al giudice del rinvio verificare se esista in tale diritto, segnatamente nella legge del 2003, una disposizione contenente un’indicazione di tale natura, atta a conferire all’art. 6 della suddetta legge siffatto effetto retroattivo.

103 In assenza di una disposizione siffatta, il diritto comunitario, in particolare l’esigenza di interpretazione conforme, non potrebbe interpretarsi, salvo costringere il giudice nazionale ad interpretare il diritto nazionale contra legem, come un diritto che gli impone di conferire all’art. 6 della legge del 2003 una portata retroattiva alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70.

104 Alla luce delle precedenti considerazioni, la quarta questione va risolta nel senso che, nei limiti in cui il diritto nazionale applicabile contenga una norma che esclude l’applicazione retroattiva di una legge in assenza di indicazione ed univoca in senso contrario, un giudice nazionale, adito con una domanda fondata sulla violazione di una disposizione della legge nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70, è tenuto, ai sensi del diritto comunitario, a conferire alla disposizione in parola effetto retroattivo alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva stessa solo se esiste, nel diritto nazionale, un’indicazione di tale natura, idonea a conferire alle disposizioni in questione siffatto effetto retroattivo.

Sulla quinta questione

105 Qualora il giudice nazionale fosse tenuto, alla luce degli elementi di risposta forniti alla prima questione, a dichiararsi competente a conoscere di una domanda direttamente fondata sulla direttiva 1999/70, occorre risolvere la quinta questione con cui esso chiede se le condizioni di impiego ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro comprendano le condizioni relative alle retribuzioni ed alle pensioni, fissate in un contratto di lavoro.

106 Al riguardo, come la Corte ha già dichiarato, il Consiglio, nell’adottare la direttiva 1999/70 finalizzata all’attuazione dell’accordo quadro, si è fondato sull’art. 139, n. 2, CE, il quale dispone che gli accordi conclusi a livello comunitario sono attuati nell’ambito dei settori contemplati dall’art. 137 CE (sentenza 13 settembre 2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).

107 Tra tali materie figurano, all’art. 137, n. 1, lett. b), CE, le «condizioni di lavoro».

108 È necessario constatare che il tenore dell’art. 137, n. 1, lett. b), CE, al pari di quello della clausola 4 dell’accordo quadro, non permettono, da soli, di decidere se le condizioni di impiego, rispettivamente considerate in tali due disposizioni, comprendano o meno le condizioni relative ad elementi quali le retribuzioni e le pensioni di cui trattasi nella causa principale.

109 A tale proposito il fatto, sottolineato dal governo del Regno Unito, che un certo numero di disposizioni di diritto comunitario, quali l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, 2002/73/CE (GU L 269, pag. 15), l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22), o ancora l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), menzionino espressamente che la nozione di condizioni di impiego e di lavoro, cui si riferiscono tali disposizioni, ingloba le retribuzioni non autorizza ad inferire dall’assenza di una menzione in tal senso nella clausola 4 dell’accordo quadro che la nozione di condizioni di impiego ai fini dell’applicazione di tale clausola non concerne aspetti finanziari come quelli di cui alla causa principale.

110 Poiché il tenore della clausola 4 dell’accordo quadro non permette di risolvere la questione interpretativa sollevata, si deve prendere in considerazione, conformemente ad una costante giurisprudenza, il contesto e gli scopi perseguiti dalla normativa di cui tale clausola fa parte (v., segnatamente, sentenze 17 novembre 1983, causa 292/82, Merck, Racc. pag. 3781, punto 12; 21 febbraio 1984, causa 337/82, St. Nikolaus Brennerei und Likörfabrik, Racc. pag. 1051, punto 10; 14 ottobre 1999, causa C‑223/98, Adidas, Racc. pag. I‑7081, punto 23, e 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 21).

111 A tal proposito, come già rilevato dalla Corte (citata sentenza Del Cerro Alonso, punto 36), dal tenore della clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro emerge che uno degli obiettivi di quest’ultimo è di «migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione». Del pari il preambolo dell’accordo quadro precisa che esso «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni». Il quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70 precisa, a tal fine, che l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare, nel miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a garantire l’applicazione del divieto di discriminazione.

112 L’accordo quadro, in particolare la sua clausola 4, persegue quindi uno scopo che rientra negli obiettivi fondamentali, iscritti all’art. 136, primo comma, CE, del pari che al terzo comma del preambolo del Trattato CE ed ai punti 7 e 10, primo comma, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori cui rinvia la summenzionata disposizione del Trattato e che sono connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nonché all’esistenza di una protezione sociale adeguata, nel caso di specie dei lavoratori a tempo determinato.

113 Del resto l’art. 136, primo comma, CE, che definisce gli obiettivi in vista dei quali il Consiglio può, nelle materie di cui all’art. 137 CE, attuare, conformemente all’art. 139, n. 2, CE, accordi conclusi tra parti sociali al livello comunitario, rinvia alla Carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961, che, nella parte I, punto 4, fa rientrare il diritto di tutti i lavoratori ad una «retribuzione equa che assicuri, a loro ed alle loro famiglie, un livello di vita soddisfacente» negli obiettivi che le parti contraenti si sono impegnate a raggiungere, a tenore dell’art. 20 figurante nella parte III di tale Carta.

114 Alla luce di tali obiettivi, la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale comunitario che non può essere interpretato in modo restrittivo (v. citata sentenza Del Cerro Alonso, punto 38).

115 Come hanno fatto valere sia l’Impact sia la Commissione, un’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro che escludesse categoricamente dalla nozione di «condizioni di impiego» ai sensi di quest’ultima le condizioni finanziarie come quelle relative alle retribuzioni ed alle pensioni equivarrebbe a ridurre, in spregio dell’obiettivo assegnato alla suddetta clausola, l’ambito della protezione accordata ai lavoratori interessati contro le discriminazioni, introducendo una distinzione, fondata sulla natura delle condizioni di impiego, che i termini di tale clausola non suggeriscono affatto.

116 Del resto, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 161 delle sue conclusioni, un’interpretazione siffatta condurrebbe a privare di senso il riferimento, operato alla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro, al principio del pro rata temporis, la cui applicabilità è concepibile per definizione solo in presenza di prestazioni divisibili come quelle derivanti da condizioni di impiego finanziarie, connesse, ad esempio, alle retribuzioni ed alle pensioni.

117 Contrariamente a quanto hanno fatto valere l’Irlanda ed il governo del Regno Unito, l’esame precedente non è rimesso in questione dalla giurisprudenza sviluppata dalla Corte nel settore della parità di trattamento fra gli uomini e le donne secondo cui le condizioni di lavoro ai sensi della direttiva 76/207, nella versione anteriore a quella derivante dalla direttiva 2002/73, non inglobano le retribuzioni (v., segnatamente, sentenze 13 febbraio 1996, causa C‑342/93, Gillespie e a., Racc. pag. I‑475, punto 24; 12 ottobre 2004, causa C‑313/02, Wippel, Racc. pag. I‑9483, punti 29‑33, e 8 settembre 2005, causa C‑191/03, McKenna, Racc. pag. I‑7631, punto 30).

118 Infatti la suddetta giurisprudenza si giustifica attraverso l’esistenza parallela dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE ‑ 143 CE) e di una direttiva specifica per la parità di trattamento degli uomini e delle donne in materia di retribuzioni, cioè la direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19).

119 Data l’assenza di un siffatto dualismo normativo per quanto concerne il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, non può essere tratto da tale giurisprudenza alcun insegnamento ai fini dell’interpretazione della nozione di «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro.

120 Quanto all’obiezione dell’Irlanda e del governo del Regno Unito fondata sull’art. 137, n. 5, CE, come interpretato dalla sentenza 1° dicembre 2005, causa C‑14/04, Dellas e a. (Racc. pag. I‑10253, punti 38 e 39), occorre ricordare che la direttiva 1999/70 è stata adottata sul fondamento dell’art. 139, n. 2, CE, il quale rinvia all’art. 137 CE per l’elenco dei settori rientranti nella competenza del Consiglio ai fini, segnatamente, dell’attuazione di accordi conclusi dalle parti sociali a livello comunitario.

121 Ai sensi dell’art. 137, n. 5, CE, le disposizioni di tale articolo «non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, al diritto di sciopero né al diritto di serrata».

122 Come la Corte ha già dichiarato, poiché l’art. 137, n. 5, CE introduce una deroga alle norme di cui ai nn. 1‑4 dello stesso articolo, le materie per le quali il suddetto paragrafo introduce una riserva devono formare oggetto di interpretazione restrittiva, in modo da non incidere indebitamente sulla portata dei suddetti nn.1‑4, né rimettere in causa gli obiettivi perseguiti dall’art. 136 CE (citata sentenza Del Cerro Alonso, punto 39).

123 Per quanto riguarda più in particolare l’eccezione relativa alle «retribuzioni», di cui all’art. 137, n. 5, CE, essa trova la sua ragion d’essere nel fatto che la determinazione del livello degli stipendi rientra nell’autonomia contrattuale delle parti sociali su scala nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in materia. Ciò posto, è stato giudicato appropriato, allo stato attuale del diritto comunitario, escludere la determinazione del livello delle retribuzioni da un’armonizzazione in base agli artt. 136 CE e seguenti (citata sentenza Del Cerro Alonso, punti 40 e 46).

124 Come ha fatto valere la Commissione, la suddetta eccezione deve di conseguenza essere intesa in quanto rivolta alle misure che, come un’uniformizzazione di tutti o parte degli elementi costitutivi dei salari e/o del loro livello negli Stati membri o ancora l’istituzione di un salario minimo comunitario, implicherebbero un’ingerenza diretta del diritto comunitario nella determinazione delle retribuzioni in seno alla Comunità.

125 Tuttavia essa non può essere estesa a ogni questione avente un nesso qualsiasi con la retribuzione, a pena di svuotare taluni settori contemplati dall’art. 137, n. 1, CE di gran parte dei loro contenuti [v., in tal senso, citata sentenza Del Cerro Alonso, punto 41; v. anche, nel medesimo senso, sentenza 12 novembre 1996, causa C‑84/94, Regno Unito/Consiglio (Racc. pag. I‑5755), sulla competenza del Consiglio ad adottare, sul fondamento dell’art. 118 A del Trattato CE (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE ‑ 143 CE), la direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), segnatamente l’art. 7 di tale direttiva, relativo alla concessione di ferie annuali retribuite di quattro settimane].

126 Ne consegue che la riserva di cui all’art. 137, n. 5, CE non osta a che la clausola 4 dell’accordo quadro sia intesa nel senso che prescrive agli Stati membri l’obbligo di garantire a favore dei lavoratori a tempo determinato l’applicazione del principio di non discriminazione anche in materia di retribuzioni. Tale riserva non può conseguentemente impedire a lavoratori come i ricorrenti nella causa principale di opporsi, eccependo l’efficacia diretta della suddetta clausola 4, punto 1, all’applicazione, in materia di retribuzioni, di un trattamento che, al di fuori di qualsiasi giustificazione obiettiva, sarebbe meno favorevole di quello riservato al riguardo a lavoratori a tempo indeterminato comparabili (v., in tal senso, sentenza Del Cerro Alonso, cit., punti 42 e 47).

127 Per i motivi esposti ai punti 43‑45 della citata sentenza Del Cerro Alonso, la precedente interpretazione non è affatto incompatibile con gli sviluppi figuranti ai punti 38 e 39 della citata sentenza Dellas e a.

128 All’udienza il governo del Regno Unito ha sostenuto che è permesso inferire dalla citata sentenza Del Cerro Alonso che il principio di non discriminazione enunciato dall’accordo quadro concerne solo gli elementi costitutivi della retribuzione, ad esclusione del livello di questi ultimi, che le competenti autorità nazionali restano libere di fissare in maniera differenziata per i lavoratori a tempo determinato.

129 Tuttavia, se è vero che, come risulta dai punti 40 e 46 della citata sentenza Del Cerro Alonso e come è ricordato ai punti 123 e 124 della presente sentenza, la determinazione del livello dei diversi elementi costitutivi della retribuzione di un lavoratore esula dalla competenza del legislatore comunitario e rimane incontestabilmente di competenza delle istituzioni competenti nei vari Stati membri, resta il fatto che, nell’esercizio della loro competenza nei settori non rientranti in quella della Comunità, tali istituzioni sono tenute a rispettare il diritto comunitario (v., in tal senso, sentenze 11 dicembre 2007, causa C‑438/05, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 40, e 18 dicembre 2007, causa C‑341/05, Laval un Partneri, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 87), segnatamente la clausola 4 dell’accordo quadro.

130 Ne consegue che, nella determinazione sia degli elementi costitutivi della retribuzione sia del livello di tali elementi, le competenti istituzioni nazionali devono applicare ai lavoratori a tempo determinato il principio di non discriminazione quale consacrato dalla clausola 4 dell’accordo quadro.

131 Per quanto riguarda le pensioni, occorre precisare che, conformemente alla costante giurisprudenza della Corte pronunciata nel contesto dell’art. 119 del Trattato CE e poi, a decorrere dal 1° maggio 1999, in quello dell’art. 141 CE, articoli relativi al principio della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di retribuzioni rientrano nella nozione di «retribuzione», ai sensi dell’art. 141, n. 2, secondo comma, CE, le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di lavoro, ad esclusione di quelle derivanti da un sistema legale al cui finanziamento contribuiscono i lavoratori, i datori di lavoro e, eventualmente, i pubblici poteri in una misura meno dipendente da un rapporto di lavoro siffatto che da considerazioni di politica sociale (v., segnatamente, sentenze 25 maggio 1971, causa 80/70, Defrenne, Racc. pag. 445, punti 7 e 8; 13 maggio 1986, causa 170/84, Bilka-Kaufhaus, Racc. pag. 1607, punti 16‑22; 17 maggio 1990, causa C‑262/88, Barber, Racc. pag. I‑1889, punti 22‑28, nonché 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02, Schönheit e Becker, Racc. pag. I‑12575, punti 56‑64).

132 Tenuto conto di tale giurisprudenza, occorre considerare che rientrano nella nozione di «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale meno dipendenti da un rapporto siffatto che da considerazioni di ordine sociale.

133 Tale interpretazione risulta confermata dall’indicazione figurante al quinto comma del preambolo dell’accordo quadro, a norma del quale le parti di quest’ultimo «riconosc[ono] che le questioni relative ai regimi legali di sicurezza sociale rientrano nella competenza degli Stati membri» e fanno appello a questi ultimi per concretizzare la loro Dichiarazione sull’occupazione del Consiglio europeo di Dublino del 1996, che sottolineava fra l’altro la necessità di adattare i sistemi di protezione sociale ai nuovi tipi di lavoro allo scopo di fornire una protezione sociale adeguata alle persone impegnate in tali lavori.

134 Dato quanto precede, occorre risolvere la quinta questione interpretando la clausola 4 dell’accordo quadro nel senso che le condizioni di impiego ai sensi di quest’ultima inglobano le condizioni relative alle retribuzioni nonché alle pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro, ad esclusione delle condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale.

Sulle spese

135 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1) Il diritto comunitario, in particolare il principio di effettività, esigerebbe che un giudice speciale, chiamato, nell’ambito della competenza che gli è stata conferita, sia pure in via facoltativa, dalla normativa di trasposizione della direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, a conoscere di una domanda fondata su una violazione di tale normativa, si dichiari competente a conoscere anche delle domande del richiedente direttamente fondate sulla medesima direttiva per il periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima e la data di entrata in vigore della suddetta normativa se risultasse che l’obbligo per il richiedente in questione di adire parallelamente un giudice ordinario con una domanda distinta direttamente fondata sulla suddetta direttiva dovesse implicare inconvenienti procedurali tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferitigli dall’ordinamento comunitario. Spetta al giudice nazionale procedere alle necessarie verifiche al riguardo.

2) La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70, è incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale, mentre ciò non si verifica per la clausola 5, punto 1, del suddetto accordo quadro.

3) Gli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE, nonché la direttiva 1999/70, devono essere interpretati nel senso che un’autorità di uno Stato membro che agisca in qualità di datore di lavoro pubblico non è autorizzata ad adottare misure, contrarie all’obiettivo perseguito dalla suddetta direttiva e dall’accordo quadro per quanto riguarda la prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, consistenti nel rinnovo di tali contratti per un periodo inabitualmente lungo nel corso del periodo compreso tra la data di scadenza del termine di trasposizione di tale direttiva e quella dell’entrata in vigore della legge che attua la trasposizione stessa.

4) Nei limiti in cui il diritto nazionale applicabile contenga una norma che esclude l’applicazione retroattiva di una legge in assenza di indicazione chiara ed univoca in senso contrario, un giudice nazionale, adito con una domanda fondata sulla violazione di una disposizione della legge nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70, è tenuto, ai sensi del diritto comunitario, a conferire alla disposizione in parola effetto retroattivo alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva stessa solo se esiste, nel diritto nazionale, un’indicazione di tale natura, idonea a conferire alle disposizioni in questione siffatto effetto retroattivo.

5) La clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che le condizioni di impiego ai sensi di quest’ultima inglobano le condizioni relative alle retribuzioni nonché alle pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro, ad esclusione delle condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale.

Firme

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* Lingua processuale: l’inglese.