Eclisse della ragione e violenza del simbolico

EMERGENZA COSTITUZIONALE

La follia di un gesto che non ha nulla a che fare con le dinamiche politiche, piuttosto con quelle dell’immaginario individuale e collettivo. E’ per questo che il tentativo di ricercare i “mandanti” politici che avrebbero “armato” il braccio di Tartaglia è privo di senso, non invece quello di spiegare culturalmente l’atto demenziale.
Prendersela con l’immagine riflessa del sovrano, sfigurarlo, imporre un urlo di dolore e un’umiliazione istantanea al nemico mitizzato che altrimenti appare inafferrabile, invincibile, sfogare la propria rabbia con un gesto inconsulto, tanto violento quanto inutile (anzi autolesionista): tutto ciò può avere mosso l’inconscio di chi ha scagliato un simbolo (la miniatura del Duomo) contro un altro simbolo (l’uomo che rappresenta il potere). Seguire questa via interpretativa per commentare il barbaro gesto di Milano ci condurrebbe forse a riflettere sul degrado assunto dalla nostra vita materiale ormai dominata da fantasie allucinate, più che dai ragionamenti razionali.
Ma la politica non può abbandonarsi a considerazioni sulla follia dei nostri tempi, deve invece reagire richiamandosi al logos che proprio tali fenomeni sembrano alla fine compromettere. Può dirsi allora che il maggior antidoto contro questi gesti insani sia un ritorno alla ragione politica.
Eppure le prime reazioni sembrano improntate ancora all’emotività o alla strumentalità irrazionale. Che senso di razionalità politica può avere, infatti, indicare negli oppositori i mandanti del vile attentato? Si badi, tutti gli oppositori: dall’odiato Di Pietro, al nemico “interno” Fini, passando per gli “estremisti” del PD come la Bindi, per non parlare delle opposizioni sociali che fomentano l’odio sol perché esistono, sino a giungere alla stampa, a particolari trasmissioni, ai singoli giornalisti sgraditi al regime. Ma il cerchio si allarga e i mandanti sono anche gli insospettabili organi che esercitano le proprie funzioni costituzionali e i soggetti che li incarnano. Così, colpevole è la Corte costituzionale che, depositando una sentenza in cui si dichiara l’illegittimità costituzionale di una normativa di privilegio, “apre la caccia al Premier” non più protetto dallo scudo della legge Alfano; complici i magistrati che prendono la parola per denunciare gli effetti nefasti del disegno di legge che estingue i processi, lasciando impregiudicati gli imputati, tra questi il Capo politico supremo. Tutti indiziati nel fomentare l’odio nei confronti di chi non può essere ostacolato nella sua strategia di fuga dal processo, di chi non può essere discusso nella sua magnanimità di governo. Per non parlare dei singoli giudici che, esercitando le proprie funzioni, cercano di perseguire i reati con indagini e processi, ma che, se si avvicinano troppo al sovrano, dovrebbero avere l’accortezza di piegarsi al volere di chi è stato legittimamente eletto; come se l’elezione popolare (in realtà non del Premier, bensì solo di un deputato e Capo dell’attuale maggioranza parlamentare) fornisse un salvacondotto per i reati commessi in ogni tempo e in ogni dove. Secondo questo schema appare coerente sostenere che se non si arresta la giurisdizione dinanzi al Capo plebiscitato, ciò è prova manifesta di una giurisdizione di parte, odiosa e fomentatrice d’odio. Tutti mandanti, dunque. Tutti dietro le spalle di un folle, poiché folle è il dissenso, folle ogni limite che ostacola il potere.
Se questo è lo schema che emerge, se questa è la morale che vuol trarsi dall’emotività di un gesto sconsiderato e “privo di senso” c’è da temere che davvero non si sia trattato di un gesto isolato, ma che esprima in modo criminale e surreale lo stato di cose presenti. Un precipitare della ragione politica verso l’irrazionale. L’abbandono dell’unica ragione che nello scontro delle opinioni trova la sua forza e il vigore per superare i conflitti anche quelli più aspri, senza abbandonarsi alle urla scomposte, che confondono le idee, sino a lasciare il campo alla demagogia, all’autoritarismo di un Capo senza ragione e senza contestazione, alla violenza del simbolico.