La Corte di giustizia si pronuncia sul falso in bilancio.

La Corte di Giustizia delle Comunità europee si pronuncia nel senso che le autorità di uno Stato membro non possono invocare una direttiva nei confronti degli imputati in procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati.

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
3 maggio 2005 (*)
«Diritto societario – Artt. 5 del Trattato CEE (divenuto art. 5 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 10 CE) e 54, n. 3, lett. g), del Trattato CEE (divenuto art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 44, n. 2, lett. g), CE) – Prima direttiva 68/151/CEE, quarta direttiva 78/660/CEE e settima direttiva 83/349/CEE – Conti annuali – Principio del quadro fedele – Sanzioni previste in caso di false comunicazioni sociali (falsità in scritture contabili) – Art. 6 della prima direttiva 68/151 – Requisito dell’adeguatezza delle sanzioni per violazioni del diritto comunitario»
Nei procedimenti riuniti C 387/02, C 391/02 e C 403/02,
aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Milano (cause C 387/02 e C 403/02) e dalla Corte d’appello di Lecce (causa C 391/02), con ordinanze 26, 29 e 7 ottobre 2002, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 28 ottobre, il 12 e l’8 novembre 2002 , nei procedimenti penali a carico di
Silvio Berlusconi (causa C 387/02),
Sergio Adelchi (causa C 391/02),
Marcello Dell’Utri e a. (causa C 403/02),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore), A. Rosas e A. Borg Barthet, presidenti di sezione, dai sigg. J. P. Puissochet, R. Schintgen, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr, M.Ilešič, J. Malenovský, U. Lõhmus e E. Levits, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 luglio 2004,
viste le osservazioni presentate:
– per il sig. Berlusconi, dagli avv.ti G. Pecorella e N. Ghedini;
– per il sig. Adelchi, dall’avv. P. Corleto;
– per il sig. Dell’Utri, dagli avv.ti G. Roberti e P. Siniscalchi;
– per la Procura della Repubblica, dai sigg. G. Colombo, G. Giannuzzi, E. Cillo e dalla sig.ra I. Boccassini, in qualità di agenti;
– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, avvocato dello Stato;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. V. Di Bucci e dalla sig.ra C. Schmidt, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 ottobre 2004,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione della prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8; in prosieguo: la «prima direttiva sul diritto societario»), in particolare dell’art. 6 della medesima, della quarta direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (GU L 222, pag. 11; in prosieguo: la «quarta direttiva sul diritto societario»), in particolare dell’art. 2 della medesima, e della settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti consolidati (GU L 193, pag. 1; in prosieguo: la «settima direttiva sul diritto societario»), in particolare dell’art. 16 della medesima, nonché degli artt. 5 del Trattato CEE (divenuto art. 5 del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 10 CE) e 54, n. 3, lett. g), del Trattato CEE (divenuto art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato CE, a sua volta divenuto, in seguito a modifica, art. 44, n. 2, lett. g), CE).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali avviati a carico dei sigg. Berlusconi (causa C 387/02), Adelchi (causa C 391/02) e Dell’Utri e a. (causa C 403/02) per presunta violazione delle disposizioni in materia di false comunicazioni sociali (falsità in scritture contabili) previste dal codice civile italiano (in prosieguo: il «codice civile»).
Contesto normativo
Disciplina comunitaria
3 In forza dell’art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione delle Comunità europee operano al fine della soppressione delle restrizioni relative alla libertà di stabilimento coordinando, nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società ai sensi dell’art. 58, secondo comma, del Trattato CEE (divenuto art. 58, secondo comma, del Trattato CE, a sua volta divenuto art. 48, secondo comma, CE), per proteggere gli interessi tanto dei soci quanto dei terzi.
4 Su tale fondamento sono state quindi adottate dal Consiglio varie direttive, di cui le seguenti in particolare assumono rilevanza nelle cause principali.
5 La prima direttiva sul diritto societario si applica, conformemente al suo art. 1, alle società di capitali, vale a dire, per l’Italia, ai seguenti tipi di società: la società per azioni (in prosieguo: la «SpA»), la società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata (in prosieguo: la «Srl»).
6 Tale direttiva prevede tre misure dirette a proteggere i terzi che trattino con tali società, vale a dire la costituzione di un fascicolo contenente talune informazioni obbligatorie tenuto per ogni società presso il registro di commercio territorialmente competente, l’armonizzazione delle disposizioni nazionali concernenti la validità e l’opponibilità degli obblighi assunti in nome di una società (comprese le società in formazione) e la fissazione di un elenco tassativo dei casi di nullità delle società.
7 Ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva sul diritto societario:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie perché l’obbligo della pubblicità per le società concerna almeno gli atti e le indicazioni seguenti:
(…)
f) il bilancio ed il conto profitti e perdite di ogni esercizio. Il documento che contiene il bilancio deve indicare le generalità delle persone che ai sensi di legge sono tenute a certificare il bilancio. Tuttavia, per le società a responsabilità limitata di diritto tedesco, belga, francese, italiano e lussemburghese, enumerate all’articolo 1, nonché per le società anonime chiuse dell’ordinamento olandese, l’applicazione obbligatoria di questa disposizione è rinviata sino alla data di attuazione di una direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti profitti e perdite e comportante l’esenzione dall’obbligo di pubblicare, integralmente o parzialmente, tali documenti per le società di questo tipo con un ammontare di bilancio inferiore alla cifra che sarà fissata nella direttiva stessa. Il Consiglio adotterà tale direttiva nei due anni successivi all’adozione della presente direttiva;
(…)».
8 L’art. 3, nn. 1 e 2, di questa direttiva dispone che:
«1. In ciascuno Stato membro viene costituito un fascicolo, o presso un registro centrale, o presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni società iscritta.
2. Tutti gli atti e indicazioni soggetti all’obbligo della pubblicità a norma dell’articolo 2 sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro; dal fascicolo deve in ogni caso risultare l’oggetto delle trascrizioni fatte nel registro».
9 Ai sensi dell’art. 6 della detta direttiva:
«Gli Stati membri stabiliscono adeguate sanzioni per i casi di:
– mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite, come prescritta dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera f);
(…)».
10 La quarta direttiva sul diritto societario, che per quanto riguarda l’Italia si applica ai medesimi tipi di società a cui fa riferimento la prima direttiva sul diritto societario, citati al punto 5 della presente sentenza, armonizza le disposizioni nazionali relative alla redazione, al contenuto, alla struttura e alla pubblicità dei conti annuali delle società.
11 L’art. 2 di questa direttiva prevede quanto segue:
«1. I conti annuali comprendono lo stato patrimoniale, il conto profitti e perdite e l’allegato. Questi documenti formano un tutto inscindibile.
2. I conti annuali devono essere elaborati con chiarezza ed essere conformi alla presente direttiva.
3. I conti annuali devono dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società.
4. Quando l’applicazione della presente direttiva non basta per fornire il quadro fedele di cui al paragrafo 3, si devono fornire informazioni complementari.
5. Se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione della presente direttiva contrasta con l’obbligo di cui al paragrafo 3, occorre derogare alla disposizione in questione onde fornire il quadro fedele di cui al paragrafo 3. Tale deroga deve essere menzionata nell’allegato e debitamente motivata con l’indicazione della sua influenza sulla situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul risultato economico. Gli Stati membri possono precisare i casi eccezionali e fissare il corrispondente regime derogatorio.
6. Gli Stati membri possono autorizzare o esigere che nei conti annuali vengano divulgate altre informazioni oltre a quelle la cui divulgazione è richiesta dalla presente direttiva».
12 L’art. 11 della detta direttiva prevede che gli Stati membri possono permettere che le società che non superano taluni limiti numerici relativi al totale dello stato patrimoniale, all’importo netto del volume d’affari e al numero dei dipendenti redigano uno stato patrimoniale in forma abbreviata. L’art. 12 della medesima direttiva contiene altre precisazioni a tale riguardo.
13 L’art. 47, n. 1, della quarta direttiva sul diritto societario, figurante nella sezione 10 della medesima, intitolata «Pubblicità», dispone quanto segue:
«I conti annuali regolarmente approvati e la relazione sulla gestione, nonché la relazione redatta dalla persona incaricata della revisione dei conti formano oggetto di una pubblicità effettuata nei modi prescritti dalla legislazione di ogni Stato membro conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE.
(…)».
14 Ai sensi dell’art. 51 della quarta direttiva sul diritto societario, figurante nella sezione 11 della stessa, intitolata «Controllo»:
«1. a) Le società devono far controllare i loro conti annuali da una o più persone abilitate ai sensi della legge nazionale alla revisione dei conti.
b) La persona o le persone incaricate della revisione dei conti devono altresì controllare che la relazione sulla gestione concordi con i conti annuali di esercizio.
2. Gli Stati membri possono esentare dall’obbligo previsto al paragrafo 1 le società di cui all’articolo 11.
L’articolo 12 è applicabile.
3. Nell’ipotesi di cui al paragrafo 2 gli Stati membri introducono nella loro legislazione adeguate sanzioni nel caso in cui i conti annuali o la relazione sulla gestione delle società in questione non siano redatti conformemente alla presente direttiva».
15 La settima direttiva sul diritto societario, che per quanto riguarda l’Italia si applica ai medesimi tipi di società a cui fanno riferimento la prima e la quarta direttiva sul diritto societario, citati ai punti 5 e 10 della presente sentenza, prescrive misure di coordinamento delle disposizioni nazionali relative ai conti consolidati delle società di capitali.
16 L’art. 16, nn. 2 6, della settima direttiva sul diritto societario contiene, in materia di conti consolidati, in sostanza, disposizioni identiche a quelle dell’art. 2, nn. 2 6, della quarta direttiva sul diritto societario per i conti annuali, ricordate al punto 11 della presente sentenza.
17 L’art. 38, nn. 1, 4 e 6, figurante nella sezione 5 della settima direttiva sul diritto societario, intitolata «Pubblicità dei conti consolidati», così dispone:
«1. I conti consolidati regolarmente approvati e la relazione consolidata sulla gestione nonché la relazione della persona incaricata del controllo dei conti consolidati formano oggetto di una pubblicità effettuata dall’impresa che ha redatto i conti consolidati nei modi prescritti dalla legislazione dello Stato membro cui l’impresa è soggetta conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE.
(…)
4. Tuttavia, qualora l’impresa che ha redatto i conti consolidati sia organizzata in una forma diversa da quelle elencate all’articolo 4 e non sia soggetta, a norma della legislazione nazionale, a un obbligo di pubblicità per i documenti di cui al paragrafo 1, analogo a quello previsto all’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE, essa deve almeno tenerli a disposizione del pubblico presso la propria sede sociale. (…)
(…)
6. Gli Stati membri prevedono sanzioni appropriate in caso di mancata pubblicità ai sensi del presente articolo».
Normativa nazionale
Il diritto societario
18 Il decreto legislativo del presidente della Repubblica 11 aprile 2002, n. 61, relativo alla disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell’articolo 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (GURI 15 aprile 2002, n. 88, pag. 4; in prosieguo: il «d. lgs. n. 61/2002»), entrato in vigore il 16 aprile 2002, ha sostituito il titolo XI del libro V del codice civile con il nuovo titolo XI, intitolato «Disposizioni penali in materia di società e di consorzi».
19 Questo decreto legislativo è intervenuto nell’ambito della riforma del diritto societario italiano attuata mediante un complesso di decreti legislativi adottati in base alla delega contenuta nella legge 3 ottobre 2001, n. 366 (GURI 8 ottobre 2001, n. 234).
20 L’art. 2621 del codice civile, intitolato «False comunicazioni ed illegale ripartizione di utili o di acconti sui dividendi», nella sua versione precedente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002 (in prosieguo: l’«originario art. 2621 del codice civile»), disponeva quanto segue:
«Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 1 032 euro a 10 329 euro:
1) i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime;
(…)».
21 Il d. lgs. n. 61/2002 ha introdotto, in particolare, negli artt. 2621 e 2622 del codice civile nuove disposizioni penali che reprimono la presentazione di false comunicazioni sociali, reato denominato anche «falsità in scritture contabili» (in prosieguo, a seconda dei casi, il «nuovo art. 2621 del codice civile», il «nuovo art. 2622 del codice civile» o «i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile»), che prevedono quanto segue:
«Articolo 2621 (False comunicazioni sociali)
Salvo quanto previsto dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino ad un anno e sei mesi.
La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi.
La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
Articolo 2622 (False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori)
Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d’ufficio.
La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta».
Il diritto penale generale
22 Ai sensi dell’art. 2, secondo-quarto comma, del codice penale italiano (in prosieguo: il «codice penale»), intitolato «Successione di leggi penali»:
«Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti».
23 Secondo l’art. 39 del codice penale, i reati si suddividono essenzialmente in delitti e contravvenzioni e per i delitti, conformemente all’art. 17 dello stesso codice, sono stabiliti taluni tipi di pene più gravi che per le contravvenzioni.
24 Dall’art. 158, primo comma, di questo codice emerge che il termine di prescrizione decorre dal giorno della consumazione del reato e non dalla sua scoperta.
25 Risulta inoltre dagli artt. 157 e 160 del detto codice che i termini di prescrizione vanno da tre anni a non oltre quattro anni e mezzo per contravvenzioni quali quelle previste dal nuovo art. 2621 del codice civile, e da cinque anni a non oltre sette anni e mezzo per delitti quali quelli enunciati dall’originario art. 2621 del codice civile e quelli previsti dal nuovo art. 2622 del medesimo codice. L’art. 160 del codice penale fissa la durata massima dei termini di prescrizione in caso di interruzione di quest’ultima.
Controversie principali e questioni pregiudiziali
26 Dalle ordinanze di rinvio emerge che, nei tre procedimenti penali in questione nelle cause principali, i reati contestati agli imputati sono stati commessi durante la vigenza dell’originario art. 2621 del codice civile, vale a dire prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002 e dei nuovi artt. 2621 e 2622 del detto codice.
27 Nella causa C 387/02, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con decreto 26 novembre 1999, ha rinviato a giudizio il sig. Berlusconi dinanzi alla Prima Sezione penale di tale Tribunale. Nei confronti dell’imputato viene fatta valere la responsabilità di alcuni falsi commessi tra il 1986 e il 1989 e relativi ai conti annuali della società Fininvest S.p.A e di altre società dell’omonimo gruppo, in qualità di presidente di tali società e di azionista di riferimento delle società del detto gruppo. Tali falsi avrebbero consentito di alimentare riserve occulte destinate a finanziare talune operazioni ritenute illegali.
28 Nella causa C 403/02, dall’ordinanza di rinvio emerge che i sigg. Dell’Utri, Luzi e Comincioli sono imputati dinanzi alla Quarta Sezione penale del Tribunale di Milano per falsi in bilancio commessi sino al 1993.
29 La causa C 391/02 trae origine dall’appello proposto dal sig. Adelchi contro la sentenza del Tribunale di Lecce 9 gennaio 2001 che lo ha riconosciuto colpevole di falsi relativi alle società La Nuova Adelchi Srl e Calzaturificio Adelchi Srl, di cui era amministratore unico. Tali fatti, commessi nel 1992 e nel 1993, vertono su operazioni doganali di esportazione e d’importazione ritenute fittizie, nonché sull’emissione, da parte di tali società, di fatture ritenute false. Essi avrebbero avuto l’inevitabile conseguenza di far apparire nei bilanci delle dette società costi superiori a quelli reali e ricavi puramente apparenti e, pertanto, un fatturato diverso da quello effettivo.
30 In seguito all’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002, gli imputati in tali tre procedimenti hanno fatto valere che dovevano essere loro applicati i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile.
31 I giudici del rinvio rilevano che l’applicazione di tali nuove disposizioni avrebbe la conseguenza di impedire che i fatti, inizialmente perseguiti quali fattispecie delittuose previste dall’originario art. 2621 del codice civile, possano essere perseguiti penalmente per le seguenti ragioni.
32 In primo luogo, sebbene i fatti possano, in linea di principio, essere perseguiti d’ufficio, quindi in assenza di querela, dal pubblico ministero sulla base del nuovo art. 2621 del codice civile, il reato previsto da tale articolo costituisce adesso una contravvenzione che, pertanto, è soggetta ad un termine di prescrizione massimo di quattro anni e mezzo e non integra più gli estremi del delitto, comportante un termine di prescrizione massimo di sette anni e mezzo, previsto dall’originario art. 2621 del codice civile. Orbene, nelle controversie principali, il reato previsto dal nuovo articolo 2621 del codice civile sarebbe inesorabilmente prescritto.
33 In secondo luogo, secondo tali giudici, tale modifica della qualificazione del reato implica anche che i reati connessi, quali l’associazione a delinquere, il delitto di riciclaggio di danaro o la ricettazione, non potrebbero più dar luogo ad azioni penali poiché tali delitti sono legati alla previa esistenza di un delitto e non a quella di una contravvenzione.
34 In terzo luogo, anche se, con riferimento al delitto previsto dal nuovo art. 2622 del codice civile, i fatti in questione nella causa principale non dovessero essere già prescritti, essi non potrebbero essere perseguiti in base a tale articolo in assenza di querela da parte di un socio o di un creditore che si ritenga leso dal falso, in quanto la presentazione di una querela è, infatti, una condizione di procedibilità necessaria sulla base di tale disposizione, perlomeno nel caso in cui, come è stato rilevato nei procedimenti penali principali, i falsi riguardino società non quotate in borsa.
35 Infine, i detti giudici rilevano che il perseguimento dei fatti potrebbe trovare un ostacolo anche nelle soglie previste, in termini identici, ai nuovi artt. 2621, terzo e quarto comma, e 2622, quinto e sesto comma, del codice civile, che comportano l’esclusione della punibilità per i falsi aventi effetti non significativi o d’importanza minima, vale a dire quelli che abbiano avuto in particolare come conseguenza solo una variazione o del risultato dell’esercizio lordo non superiore al 5%, o del patrimonio netto non eccedente l’1%.
36 Tenuto conto di tali considerazioni, i giudici del rinvio ritengono, così come il pubblico ministero, che i procedimenti pendenti sollevino questioni relative all’adeguatezza o meno delle sanzioni previste dai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile con riferimento o all’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario, come interpretato dalla Corte in particolare nella sentenza 4 dicembre 1997, causa C 97/96, Daihatsu Deutschland (Racc. pag. I 6843), oppure all’art. 5 del Trattato, da cui deriva, secondo una giurisprudenza costante a partire dalla sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. 2965, punti 23 e 24), che le sanzioni per violazione di disposizioni del diritto comunitario devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
37 È in un tale contesto che, per quanto riguarda la causa C 387/02, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte talune questioni pregiudiziali che, alla luce della motivazione dell’ordinanza di rinvio, possono essere intese come segue:
1) Se l’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario si applichi non solo in caso di omessa pubblicazione di comunicazioni sociali, ma anche in caso di pubblicazione di false comunicazioni sociali.
2) Se il rispetto dei criteri di effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni in caso di violazione di disposizioni comunitarie debba essere valutato con riferimento alla natura o al tipo della sanzione prevista astrattamente o con riferimento alla sua concreta applicabilità, tenuto conto delle caratteristiche strutturali dell’ordinamento giuridico cui afferisce.
3) Se i principi che derivano dalla quarta e dalla settima direttiva sul diritto societario ostino ad una disciplina nazionale che fissa soglie al di sotto delle quali le informazioni inesatte contenute nei conti annuali e nelle relazioni di gestione delle società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata sono irrilevanti.
38 Nella causa C 391/02, la Corte d’appello di Lecce ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, con riferimento all’obbligo dei singoli Stati membri di adottare “adeguate sanzioni” per le violazioni previste dalle direttive 68/151 e 78/660, le direttive stesse e, in particolare, il combinato disposto degli artt. 44, [n. 2], lett. g), CE (…), 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, e 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debba[no] essere interpretat[i] (…) nel senso che tali norme ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, modificando la disciplina sanzionatoria già in vigore in materia di reati societari, a fronte della violazione degli obblighi imposti per la tutela del principio di pubblica e fedele informazione delle società, preveda un sistema sanzionatorio in concreto non improntato a criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni poste a presidio di tale tutela.
2) Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione di certi atti societari (tra cui il bilancio ed il conto profitti e perdite), allorquando la falsa comunicazione sociale o l’omessa informazione determin[a]no una variazione del risultato economico di esercizio o una variazione del patrimonio sociale netto non superiori ad una certa soglia percentuale.
3) Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, ed art. 2, nn. 2 3 4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, allorquando s[o]no fornite indicazioni che, quantunque finalizzate ad ingannare i soci o il pubblico a scopo d’ingiusto profitto, siano conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differisc[o]no in misura non superiore ad una determinata soglia.
4) Se, indipendentemente da limiti progressivi o soglie, le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, ed art. 2, nn. 2 3 4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, allorquando le falsità o le omissioni fraudolente e, comunque, le comunicazioni e informazioni non fedelmente rappresentative della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico della società, non alter[a]no “in modo sensibile” la situazione patrimoniale o finanziaria del gruppo (sebbene sia rimessa al legislatore nazionale l’individuazione della nozione di “alterazione sensibile”).
5) Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, posti a presidio della tutela degli “interessi tanto dei soci come dei terzi”, preveda solo per i soci ed i creditori il diritto di chiedere la sanzione, con conseguente esclusione di una tutela generalizzata ed effettiva dei terzi.
6) Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151, ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (…) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, posti a tutela degli “interessi tanto dei soci come dei terzi”, preveda un meccanismo di perseguibilità ed un sistema sanzionatorio particolarmente differenziati, riservando esclusivamente alle violazioni in danno di soci e creditori la punibilità a querela e sanzioni più gravi ed effettive».
39 Nella causa C 403/02, il Tribunale di Milano ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 6 della direttiva 68/151 possa essere inteso nel senso di obbligare gli Stati membri a stabilire adeguate sanzioni non solo per la mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite delle società commerciali, ma anche per la falsificazione dello stesso, delle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, o di qualsiasi informazione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria che la società abbia obbligo di fornire sulla società stessa o sul gruppo alla quale essa appartiene.
2) Se, anche ai sensi dell’art. 5 del Trattato CEE, il concetto di “adeguatezza” della sanzione debba essere inteso in modo concretamente valutabile nell’ambito normativo (sia penale che procedurale) del paese membro, e cioè come sanzione “efficace, effettiva, realmente dissuasiva”.
3) Se, infine, tali caratteristiche siano riscontrabili nel combinato disposto dei novellati artt. 2621 e 2622 del codice civile così modificati dal [decreto legislativo n. 61/2002]: in particolare se possa definirsi “efficacemente dissuasiva” e “concretamente adeguata” la norma che prevede (al citato art. 2621 del codice civile) per i reati di falso in bilancio non causativi di danno patrimoniale, ovvero causativi di danno ma ritenuti improcedibili ex art. 2622 del codice civile per carenza di querela, una pena contravvenzionale di anni l e mesi 6 di arresto; se, infine, risulti adeguato prevedere, per i reati previsti dal primo comma dell’art. 2622 del codice civile (e cioè commessi nell’ambito di società commerciali non quotate in borsa) una procedibilità a querela di parte (e cioè a querela di soci e di creditori) anche in relazione alla concreta tutela del bene collettivo della “trasparenza” del mercato societario sotto il profilo della possibile estensione comunitaria dello stesso».
40 Con ordinanza del presidente della Corte 20 gennaio 2003, le cause C 387/02, C 391/02 e C 403/02 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.
Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni presentate alla Corte
41 I sigg. Berlusconi e Dell’Utri contestano la ricevibilità delle questioni pregiudiziali presentate rispettivamente nelle cause C 387/02 e C 403/02. Anche il governo italiano solleva dubbi a tale proposito.
42 Le questioni sottoposte avrebbero lo scopo di evitare l’applicazione dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile di modo che il procedimento penale possa essere avviato in base all’originario art. 2621 del codice civile, disposizione nettamente meno favorevole agli imputati.
43 Orbene, anche ipotizzando che i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile si rivelino incompatibili con la prima o la quarta direttiva sul diritto societario, sarebbe escluso che, in mancanza di una disposizione penale dell’ordinamento nazionale vigente, gli imputati possano essere perseguiti e che possano essere loro inflitte sanzioni diverse e più severe in base alle dette direttive.
44 Dalla giurisprudenza della Corte emergerebbe infatti che una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo ad un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso. Una direttiva non potrebbe nemmeno avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale delle persone che agiscono in violazione delle sue disposizioni.
45 La soluzione chiesta alla Corte sarebbe irrilevante ai fini della soluzione delle controversie pendenti dinanzi ai giudici del rinvio poiché in ogni caso, nelle controversie principali, l’originario art. 2621 del codice civile non potrebbe essere applicato.
46 Il principio dell’applicazione retroattiva all’imputato della legge penale più favorevole, diritto fondamentale che fa parte, così come il principio di legalità di cui costituirebbe un aspetto importante, dell’ordinamento giuridico comunitario, osterebbe ad un tale risultato.
47 La Commissione fa invece valere che le questioni pregiudiziali sono ricevibili.
48 La ricevibilità delle stesse non sarebbe pregiudicata da un’eventuale applicazione del principio di legalità nell’ipotesi in cui dalla soluzione data dalla Corte derivasse un’incompatibilità dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile con il diritto comunitario, ipotesi che può avere come conseguenza l’avvio di azioni penali sulla base dell’originario art. 2621 del detto codice, meno favorevole agli imputati.
49 Andrebbe infatti rilevato che, all’epoca dell’accertamento dei fatti all’origine dei procedimenti penali avviati nei confronti degli imputati nelle controversie principali, tali fatti potevano essere repressi penalmente, vale a dire in base all’originario art. 2621 del codice civile, e che solo successivamente sono state adottate disposizioni nazionali più favorevoli agli imputati, ma la cui compatibilità con il diritto comunitario viene messa in questione per taluni aspetti, per cui il giudice nazionale potrebbe eventualmente essere tenuto a disapplicarle.
50 In una situazione di questo tipo, non sarebbe la normativa comunitaria a determinare o aggravare la responsabilità penale. Si tratterebbe semplicemente di conservare gli effetti della legge nazionale, in vigore all’epoca dei fatti e conforme al diritto comunitario, disapplicando una legge successiva più favorevole ma contraria a tale diritto.
51 Il principio del primato del diritto comunitario osterebbe all’applicazione di disposizioni nazionali nuove più favorevoli all’imputato a fatti anteriori alle stesse, ove risultasse che tali disposizioni non sanzionano adeguatamente la violazione delle norme di diritto comunitario e sono, di conseguenza, incompatibili con lo stesso, come interpretato dalla Corte.
Giudizio della Corte
52 Con le questioni sollevate, i giudici del rinvio cercano essenzialmente di sapere se, in ragione di talune disposizioni che essi contengono, i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile siano compatibili con l’esigenza del diritto comunitario afferente all’adeguatezza delle sanzioni per violazione di disposizioni dell’ordinamento comunitario (v. punto 36 della presente sentenza).
Sull’esigenza del diritto comunitario relativa all’adeguatezza delle sanzioni
53 In via preliminare, occorre esaminare se l’esigenza afferente all’adeguatezza delle sanzioni per reati risultanti da falsità in scritture contabili, come quelli previsti dai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, venga imposta dall’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario, oppure derivi dall’art. 5 del Trattato che, secondo una giurisprudenza costante ricordata al punto 36 della presente sentenza, implica che le sanzioni per la violazione di disposizioni del diritto comunitario devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
54 A tal riguardo, va constatato che sanzioni per reati risultanti da falsità in scritture contabili, come quelli previsti dai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, mirano a reprimere violazioni gravi e manifeste del principio fondamentale, il cui rispetto costituisce l’obiettivo di massima rilevanza della quarta direttiva sul diritto societario, che deriva dal quarto ‘considerando’ e dall’art. 2, nn. 3 e 5, di questa direttiva, secondo cui i conti annuali delle società a cui si riferisce la detta direttiva devono fornire un quadro fedele della situazione patrimoniale e finanziaria nonché del risultato economico della stessa (v., in tal senso, sentenza 7 gennaio 2003, causa C 306/99, BIAO, Racc. pag. I 1, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).
55 Tale constatazione può essere estesa del resto alla settima direttiva sul diritto societario che, all’art. 16, nn. 3 e 5, prevede in sostanza, in materia di conti consolidati, disposizioni identiche a quelle enunciate dall’art. 2, nn. 3 e 5, della quarta direttiva sul diritto societario per i conti annuali.
56 Per quanto riguarda il regime sanzionatorio previsto all’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario, la formulazione di tale disposizione fornisce di per sé un indizio nel senso che tale regime deve essere inteso come concernente non solo i casi di un’omissione di qualsiasi pubblicità dei conti annuali, ma anche quelli di una pubblicità di conti annuali non redatti conformemente alle disposizioni previste dalla quarta direttiva sul diritto societario relativamente al contenuto di tali conti.
57 Infatti, il detto art. 6 non si limita a prevedere l’obbligo per gli Stati membri di stabilire sanzioni adeguate per mancata pubblicazione del bilancio e del conto profitti e perdite, ma prevede un obbligo di tale tipo per mancata pubblicazione di tali documenti come prescritta dall’art. 2, n. 1, lett. f), della prima direttiva sul diritto societario. Orbene, quest’ultima disposizione fa espresso riferimento all’armonizzazione prevista delle norme relative al contenuto dei conti annuali, la quale è stata realizzata dalla quarta direttiva sul diritto societario.
58 Dall’economia della quarta direttiva sul diritto societario, la quale completa, per gli stessi tipi di società, gli obblighi stabiliti dalla prima direttiva sul diritto societario, e dall’assenza in tale direttiva di norme generali relative alle sanzioni, risulta che, a prescindere dai casi coperti dalla deroga specifica prevista all’art. 51, n. 3, della quarta direttiva sul diritto societario, il legislatore comunitario ha voluto effettivamente estendere l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario alle violazioni degli obblighi contenuti nella quarta direttiva sul diritto societario e, in particolare, alla mancata pubblicazione di conti annuali conformi, quanto al loro contenuto, alle norme previste a tal riguardo.
59 La settima direttiva sul diritto societario prevede, invece, una norma generale di tale tipo all’art. 38, n. 6. Non si può contestare che tale norma generale si applichi anche alla pubblicità di conti consolidati non redatti conformemente alle norme stabilite da questa stessa direttiva.
60 Tale differenza di contenuto tra la quarta e la settima direttiva sul diritto societario si spiega per il fatto che l’art. 2, n. 1, lett. f), della prima direttiva sul diritto societario non fa alcun riferimento ai conti consolidati. L’art. 6 di questa direttiva non può quindi essere considerato come applicabile al caso di inosservanza degli obblighi relativi ai conti consolidati.
61 Un’interpretazione del detto art. 6 nel senso che esso si applica anche alla mancata pubblicazione di conti annuali redatti conformemente alle norme previste per quanto riguarda il contenuto degli stessi è inoltre confermata dal contesto e dagli obiettivi delle direttive in questione.
62 A tale riguardo, occorre prendere in considerazione, in particolare, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 72 75 delle sue conclusioni, il ruolo fondamentale della pubblicità dei conti annuali delle società di capitali e, a maggior ragione, dei conti annuali redatti conformemente alle norme armonizzate relative al loro contenuto, al fine di tutelare gli interessi dei terzi, obiettivo chiaramente sottolineato nei preamboli sia della prima sia della quarta direttiva sul diritto societario.
63 Ne consegue che l’esigenza relativa all’adeguatezza delle sanzioni come quelle previste dai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile per i reati risultanti da falsità in scritture contabili è imposto dall’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario.
64 Ciò non toglie che, per chiarire la portata dell’esigenza relativa all’adeguatezza delle sanzioni stabilite al detto art. 6, può essere utilmente presa in considerazione la giurisprudenza costante della Corte relativa all’art. 5 del Trattato, da cui deriva un’esigenza di identica natura.
65 Secondo tale giurisprudenza, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo (v., in particolare, sentenze Commissione/Grecia, cit., punti 23 e 24; 10 luglio 1990, causa C 326/88, Hansen, Racc. pag. I 2911, punto 17; 30 settembre 2003, causa C 167/01, Inspire Art, Racc. pag. I 10155, punto 62, e 15 gennaio 2004, causa C 230/01, Penycoed, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).
Sul principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite
66 A prescindere dall’applicabilità dell’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario alla mancata pubblicazione dei conti annuali, va osservato che, in virtù dell’art. 2 del codice penale, che enuncia il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile dovrebbero essere applicati anche se sono entrati in vigore solo successivamente alla commissione dei fatti che sono all’origine delle azioni penali avviate nelle cause principali.
67 Va a tal riguardo ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, quest’ultima s’ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito (v., in particolare, sentenze 12 giugno 2003, causa C 112/00, Schmidberger, Racc. pag. I 5659, punto 71 e giurisprudenza ivi citata, e 10 luglio 2003, cause riunite C 20/00 e C 64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, Racc. pag. I 7411, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
68 Orbene, il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri
69 Ne deriva che tale principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l’ordinamento comunitario e, nella fattispecie, in particolare, le direttive sul diritto societario.
Sulla possibilità di invocare la prima direttiva sul diritto societario
70 Si pone tuttavia la questione se il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite si applichi qualora questa sia contraria ad altre norme di diritto comunitario.
71 Non è però necessario decidere tale questione ai fini delle controversie principali, poiché la norma comunitaria in questione è contenuta in una direttiva fatta valere nei confronti di un soggetto dall’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali.
72 E’ vero che, nel caso in cui i giudici del rinvio, sulla base delle soluzioni loro fornite dalla Corte, dovessero giungere alla conclusione che i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, a causa di talune disposizioni in essi contenute, non soddisfano l’obbligo del diritto comunitario relativo all’adeguatezza delle sanzioni, ne deriverebbe, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, che gli stessi giudici del rinvio sarebbero tenuti a disapplicare, di loro iniziativa, i detti nuovi articoli, senza che ne debbano chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punti 21 e 24; 4 giugno 1992, cause riunite C 13/91 e C 113/91, Debus, Racc. pag. I 3617, punto 32, e 22 ottobre 1998, cause riunite da C 10/97 a C 22/97, IN. CO. GE.’90 e a., Racc. pag. I 6307, punto 20).
73 Tuttavia, la Corte ha anche dichiarato in maniera costante che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (v., in particolare, sentenza 5 ottobre 2004, cause riunite da C 397/01 a C 403/01, Pfeiffer e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 108 e giurisprudenza ivi citata).
74 Nel contesto specifico di una situazione in cui una direttiva viene invocata nei confronti di un soggetto dalle autorità di uno Stato membro nell’ambito di procedimenti penali, la Corte ha precisato che una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle dette disposizioni (v., in particolare, sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, e 7 gennaio 2004, causa C 60/02, X, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).
75 Orbene, far valere nel caso di specie l’art. 6 della prima direttiva sul diritto societario al fine di far controllare la compatibilità con tale disposizione dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile potrebbe avere l’effetto di escludere l’applicazione del regime sanzionatorio più mite previsto dai detti articoli.
76 Infatti, dalle ordinanze di rinvio risulta che, se i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile dovessero essere disapplicati a causa della loro incompatibilità con il detto art. 6 della prima direttiva sul diritto societario, ne potrebbe derivare l’applicazione di una sanzione penale manifestamente più pesante, come quella prevista dall’originario art. 2621 di tale codice, durante la cui vigenza sono stati commessi i fatti all’origine delle azioni penali avviate nelle cause principali.
77 Una tale conseguenza contrasterebbe con i limiti derivanti dalla natura stessa di qualsiasi direttiva, che vietano, come risulta dalla giurisprudenza ricordata ai punti 73 e 74 della presente sentenza, che una direttiva possa avere il risultato di determinare o di aggravare la responsabilità penale degli imputati.
78 Tenuto conto di tutto quanto precede, le questioni pregiudiziali vanno risolte dichiarando che, in circostanze come quelle in questione nelle cause principali, la prima direttiva sul diritto societario non può essere invocata in quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti degli imputati nell’ambito di procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati.
Sulle spese
79 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per sottoporre osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
In circostanze come quelle in questione nelle cause principali, la prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, non può essere invocata in quanto tale dalle autorità di uno Stato membro nei confronti degli imputati nell’ambito di procedimenti penali, poiché una direttiva non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati.
Firme

* Lingua processuale: l’italiano.