Offese alla religione cattolica. La Corte costituzionale ribadisce l’esigenza costituzionale di equiparazione del trattamento sanzionatorio rispetto alle altre confessioni religiose

La Corte costituzionale, con la sent. n. 168 del 2005, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 403 c.p., che riservava un trattamento sanzionatorio più grave per le offese alla religione cattolica (mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto) rispetto a quanto previsto per i medesimi fatti, qualora commessi «contro un culto ammesso nello Stato», dall’art. 406 c.p.
Le esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose, sono riconducibili, da un lato, al principio di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di religione sancito dall’art. 3 Cost., dall’altro al principio di laicità o non-confessionalità dello Stato, che implica, tra l’altro, equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall’art. 8 Cost., ove è appunto sancita l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge.
La “inammissibile discriminazione” sanzionatoria tra la religione cattolica e le altre confessioni religiose realizzata dall’art. 403, 1° e 2° comma, cod. pen., impone che esso sia dichiarato costituzionalmente illegittimo “nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice”.