Berlusconi decade? Faccia ricorso

Emergenza costituzionale


Politici, opinionisti e giuristi si affaticano per evitare il voto in Senato. Ha aperto le danze il lodo Violante. Che la legge Severino-Monti sia incostituzionale è difficile pensarlo, e forse poco interessa. L’obiettivo è bloccare la decadenza.

La questione di legittimità viene sollevata da un giudice nel corso di un giudizio (requisito soggettivo e oggettivo). La Corte costituzionale non ritiene che debba trattarsi di giudici togati e di aule di giustizia in senso stretto, ma di soggetti assimilabili a un giudice, nell’esercizio di una funzione assimilabile a quella giurisdizionale. Chi aderisce al lodo Violante sembra voler richiamare quelle pronunce della Corte (113/1993; 117/2006; 259/2009) per cui la funzione svolta dalla Giunta per le elezioni è sostanzialmente giurisdizionale. Problema risolto? No.

La Corte ritiene oggi necessari per l’ammissibilità della questione entrambi i requisiti (6/2008; 164/2008). Diciamo pure che la funzione della Giunta è assimilabile a quella giurisdizionale (requisito oggettivo). Ma potremmo mai assimilare la Giunta a un giudice? Certamente no.

Il giudice è terzo e imparziale, indifferente rispetto all’esito della controversia. Come può essere giudice un organo collegiale che, riflettendo la proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, comprende parti politiche portatrici di posizioni diverse, non formate all’interno dell’organo stesso in un libero confronto sottratto a ogni influenza, ma precostituite in sedi esterne, di gruppo o di partito? Come può essere giudice quando ne fa parte chi collega al voto una possibile crisi di governo? Dove finiscono terzietà, imparzialità, indifferenza rispetto all’esito? Inoltre, per la Corte deve trattarsi di un giudice che abbia poteri decisori sulla questione. Nel caso, tali poteri non spettano alla Giunta, ma all’Aula, che ancor meno è assimilabile a un giudice.

La Corte potrebbe ritenere ammissibile una questione di legittimità sollevata dalla Giunta solo invertendo una giurisprudenza oggi consolidata. Potrebbe farlo, ma sarebbe un pessimo segnale per la stessa Corte. Il lodo Violante va respinto.

E se si tracciasse un’altra via per giungere in Corte senza torsioni strumentali, costruendo un lodo alternativo più accettabile?

Consideriamo il conflitto tra poteri dello Stato, tra i quali sono gli organi costituzionali. Per Camera e Senato la titolarità al conflitto si estende anche a organi interni, quale ad esempio una commissione d’inchiesta. Deve essere incisa una competenza che trovi fondamento nella Costituzione. La domanda è: un parlamentare può essere potere dello Stato e proporre conflitto davanti alla Corte avverso la Camera di appartenenza per l’atto della stessa che lo privi della sua carica?

Nel 1995 il ministro della giustizia Mancuso fu colpito in Senato da una sfiducia individuale. Fu sostituito, con l’interim al Presidente del consiglio Dini. L’ex-ministro presentò ricorso per conflitto tra poteri avverso il Senato, il Presidente del consiglio e il Capo dello Stato. Se la legittimazione al conflitto dell’organo governo – nella sua collegialità e impersonato dal premier – fosse stata assorbente rispetto al singolo ministro, il ricorso per la parte relativa al premier avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Invece, la Corte lo ammise, pur rigettandolo nel merito (ord. 470/1985; sent. 7/1996). Gli argomenti furono essenzialmente due: la titolarità di funzioni direttamente attribuite in Costituzione al ministro della giustizia; il diniego di tutela per l’ex-ministro nel caso che la titolarità al conflitto fosse stata ristretta al potere-governo e per esso al suo presidente, che non avrebbe ovviamente sollevato conflitto contro se stesso. Questo si poteva evitare solo costruendo la figura del ministro come potere autonomo all’interno del potere-governo.

Ora, ciascun parlamentare ha attribuzioni proprie, conferite dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari: il diritto di voto, di parola, di iniziativa legislativa, di presentare mozioni, interrogazioni, interpellanze. La decadenza incide su quelle attribuzioni. Se un ex-ministro può essere potere autonomo all’interno del potere-governo e proporre conflitto per l’atto che ha prodotto la sua estromissione, perché mai si dovrebbe negare all’ex-senatore analogo conflitto per la decadenza dichiarata dal Senato?

Questa soluzione consentirebbe a Berlusconi, dopo la decadenza, di rivolgersi subito e direttamente alla Corte, che potrebbe nel giudizio anche sollevare davanti a se stessa in via incidentale la questione di costituzionalità della legge Severino-Monti. Con pieno riconoscimento del diritto di difesa, senza forzature, e senza un’intollerabile specialità per chi si vorrebbe più eguale degli altri. Se poi dev’essere crisi comunque, sia.

Dalla tesi esposta due utili corollari. Il primo. Il conflitto può sorgere anche per il diniego di un atto, o l’inerzia, e nel caso di mera turbativa all’esercizio delle attribuzioni (conflitto di menomazione o interferenza). Se la legge impone – come io penso – la decadenza, il diniego o l’omissione determina una illegittima composizione dell’assemblea. La partecipazione ai lavori di un organo collegiale da parte di chi non ha titolo incide negativamente sull’esercizio delle funzioni da parte dei componenti che hanno titolo. Non è in gioco la validità degli atti, che nel caso potrebbe essere assicurata dalla prova di resistenza. Ma rileva la turbativa sulle attribuzioni dei componenti. Ciascun parlamentare avente legittimo titolo a partecipare potrebbe quindi proporre conflitto tra poteri davanti alla Corte per il diniego o l’omessa decisione di decadenza, causa di una illegittima composizione e della conseguente turbativa sulle proprie attribuzioni.

Il secondo. Sarebbe superfluo riformare – come è stato più volte proposto – l’art. 66 Cost. attribuendo il giudizio ivi previsto alla Corte costituzionale. Per la via qui suggerita vi si arriverebbe ugualmente, a Costituzione invariata.

Capiamo bene le spinte, anche autorevoli, a non decidere. Ma non vogliamo poi sentire, o magari leggere su un giornale straniero, che un Senato e partiti con un briciolo di dignità avrebbero dovuto assumersi le proprie responsabilità e votare. Un rinvio al fine che sia domani la magistratura – e non oggi la politica – a risolvere il problema con l’interdizione dai pubblici uffici aggiungerebbe battute all’assurdo copione della persecuzione giudiziaria, e ancor più ci allontanerebbe dall’essere un paese normale. Che ognuno faccia, qui e ora, quel che deve.