Il codice Gasparri: un illecito tempestivo?

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È stato, e lo sarà ancora, oggetto di scontro in Parlamento il ddl Gasparri sul sistema radiotelevisivo. Passa quasi inosservato, invece, nelle commissioni parlamentari, il decreto legislativo di recepimento delle Direttive comunitarie sulle comunicazioni elettroniche (c.d. codice Gasparri), approvato con soli sette giorni di ritardo rispetto al termine comunitario (24 luglio). Eppure, le direttive avevano ad oggetto insieme le telecomunicazioni (tlc) e l’audiovisivo. Avrebbero potuto e dovuto essere recepite con unico atto, e secondo una logica unitaria. Che l’audiovisivo sia stato disciplinato separatamente con il ddl Gasparri, risponde probabilmente ad un accidente della politica italiana di oggi.
Le due vicende – decreto tlc e ddl Gasparri – si incrociano comunque sul terreno comunitario. La ragione è nella “convergenza”, che il diritto comunitario assume come fondamento di regole comuni a più mezzi di trasmissione, dalle tlc all’audiovisivo, quanto al regolatore pubblico, all’accesso alle reti e al rapporto tra normazione e concorrenza.
La Direttiva Quadro (2002/21) esprime il principio che tra regole e concorrenza esiste un rapporto inversamente proporzionale, che impone un monitoraggio costante teso ad eliminare le regole non più indispensabili con il crescere della competizione.
Ancora, la Direttiva quadro individua il soggetto regolatore in una autorità nazionale di regolazione (ANR), indipendente sia verso il potere politico, sia verso gli operatori di settore. La Direttiva chiarisce, in specie, che se lo Stato mantiene la proprietà o il controllo di reti, i servizi devono essere resi da un soggetto pubblico strutturalmente distinto dal soggetto regolatore. Dunque, a un servizio pubblico in senso proprio corrisponde tendenzialmente un’autorità indipendente di regolazione.
La Direttiva autorizzazioni (2002/20) alleggerisce il peso normativo anche per l’accesso alle reti assumendo il modello dell’autorizzazione generale. L’operatore è ammesso all’esercizio immediato del servizio di comunicazione previa mera notifica all’ANR di avvio dell’attività. Procedure speciali, con selezione caso per caso dell’operatore e comparazione tra gli aspiranti in base a criteri trasparenti, obiettivi e non discriminatori, si ammettono in caso di risorse frequenziali scarse.
Rispetto a questi punti più immediatamente significativi del quadro comunitario emergono difformità sostanziali, come già rilevato in sede di audizione parlamentare sul decreto tlc dall’Antitrust, e – con minore incisività – dall’AGCOM.
Circa l’accesso alla rete, il decreto tlc assume il principio dell’autorizzazione generale. Ma, facendo salvi i titoli in corso, di fatto lo rende residuale e ad efficacia sospesa. Si contravviene così al disposto comunitario, dal quale piuttosto si trae una scadenza necessariamente anticipata degli stessi titoli, cioè una sorta di anno zero che consenta l’allineamento di tutti e la sottoposizione ad un’unica disciplina.
Inoltre, il decreto tlc rinvia alla normativa vigente per le procedure speciali di autorizzazione rivolte alle risorse frequenziali scarse nell’audiovisivo. Ma, in concreto, il rinvio è al ddl Gasparri, che – allo stato – non solo conferma l’occupazione di fatto di tutte le risorse disponibili, ma disegna una selezione dell’operatore comunque non basata su criteri trasparenti, obiettivi e non discriminatori come disposto dalla direttiva.
Nemmeno è aderente al dettato comunitario il decreto tlc quanto all’autorità chiamata a dettare le regole e gestire i titoli. Per le tlc, si preferisce alla ANR il ministro delle comunicazioni tanto nell’attività di regolazione, che di controllo. Si rinvia poi alla legislazione vigente per il comparto dell’audiovisivo. Il richiamo è dunque ancora al ddl Gasparri, che realizza proprio la censurata coincidenza tra Stato regolatore e Stato imprenditore. Infatti, la nomina del Cda Rai è affidata alla diarchia Parlamento-Governo: dunque, un soggetto politicamente orientato gestisce il servizio. Al tempo stesso, un altro soggetto politicamente orientato – il Ministro delle comunicazioni – è centrale nella gestione del titolo. A nulla è valsa, in specie, la comunicazione della Commissione UE del dicembre 2002 (Com/2002/0695) che puntando – secondo l’esperienza di molti paesi europei – a separare la regolazione dalla prestazione del servizio pubblico, guardava con sospetto a sistemi che distribuissero i poteri regolatori tra ANR e Ministro.
Quali rimedi?
Nel diritto interno, gli spazi sono angusti, a fronte in specie di un legislatore che nemmeno osserva il giudicato della Corte costituzionale (si pensi alla sent. 466 del 2002 sulla questione di Rete4). Va anche detto che, nel quadro dell’esperienza italiana, la Corte ha guardato in specie al punto che gestore e regolatore del servizio pubblico gravitino in un’orbita parlamentare piuttosto che governativa.
La prospettiva comunitaria va oggi oltre. In presenza di un servizio pubblico, non basta che il regolatore sia un soggetto politicamente equilibrato (in ipotesi, il Parlamento). Piuttosto, deve trattarsi di un soggetto distante dalla politica: una ANR. E affermandosi il diritto comunitario, vanno considerati anche i rimedi offerti dalla dimensione sovranazionale. Secondo le regole oggi vigenti, la Corte di giustizia non potrà annullare la futura legge Gasparri, o il decreto tlc. Ma potrà, in sede di interpretazione delle Direttive, affermarne la prevalenza sul diritto nazionale difforme. Ciò comporterà per il giudice nazionale la disapplicazione del diritto interno a favore del diritto comunitario.
D’altronde, la prevalenza in via di principio del diritto comunitario si esplica verso qualsiasi soggetto pubblico. Bene potrebbe una ANR riappropriarsi di competenze ad essa sottratte in violazione di un dettato comunitario direttamente applicabile.
Quindi, tempestivo il Governo nel recepire le Direttive, quanto nel violarle.

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