Della “neutralità” del Capo dello stato in tempo di crisi: sulla (presunta) “deriva presidenzialista” nella più recente evoluzione della forma di governo parlamentare in Italia, con precipuo raffronto all’esperienza weimariana*

Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico – Università della Calabria

Abstract

La nozione di “potere neutro” è, com’è noto, tutt’altro che stabile e univoca. Accanto alla raffigurazione dei poteri del Capo dello Stato come non scindibili e costantemente condizionati dalle sollecitazioni e dalle scelte dei soggetti titolari della funzione politica in senso proprio, si rinvengono ricostruzioni che presuppongono, all’inverso, una estesa attitudine “intromissiva” da parte dell’organo e che legittimano, in particolare, il diretto e penetrante intervento volto al perseguimento di interessi eventualmente “altri” rispetto a quelli sopra evocati. Tale ultima eventualità si manifesterebbe nei suoi termini più espansi nei contesti istituzionali emergenziali e legittimerebbe la risoluzione, in via tendenzialmente autonoma ed “autoritaria”, delle situazioni riferibili ai cosiddetti casi d’eccezione. In tali ipotesi il Presidente della Repubblica sarebbe abilitato alla assunzione di decisioni non solo non supportate dalla volontà adesiva degli organi attributari di funzioni politiche, ma tali da consentire l’emanazione di atti connotati da un rilevantissimo contenuto politico. In tal senso gli atti in questione sarebbero diversificabili, e in modo assai netto, anche da quelli che parte della dottrina ammette e ricollega al perseguimento di fini essenzialmente “costituzionali”, in quanto riconducibili all’indirizzo “politico-costituzionale” (secondo la nota ricostruzione di Paolo Barile). L’emanazione, nei casi estremi ora detti, di atti aventi natura e contenuto politici (e “propri” del Capo dello Stato nel senso più estremo del termine) trova la più diretta matrice nella ricostruzione schmittiana del potere neutro, inteso non già come “potere mediatore e regolatore”, ma, sulla scia di quanto già preconizzato da Benjamin Constant, come “pouvoir préservateur”. E’ noto, a tal ultimo riguardo, che è proprio in confronto alla “concezione di una legalità neutrale, avalutativa e priva di contenuto” che si rivolge la critica schmittiana relativa alla conterminazione dei poteri d’intervento del Capo dello Stato. Ed è altresì noto che da tali premesse – ed in termini sostanzialmente non dissimili – prende le mosse, in Italia, la riflessione di Carlo Esposito per il tramite della raffigurazione del Presidente della Repubblica “reggitore dello stato in tempo di crisi”.

Il presente lavoro si propone di illustrare le ragioni che impongono di reputare non trasponibili – anche in presenza dello stato di crisi politico-istituzionale in cui versa l’Italia e nonostante la cennata ambiguità e dinamicità del concetto di “neutralità presidenziale” nei sistemi parlamentari – sia la raffigurazione di Esposito ora evocata sia quella schmittiana del Presidente della Repubblica “custode della costituzione”. Ciò in quanto non è rinvenibile, in Costituzione, alcun formale accenno né alla eventuale assunzione di “poteri di crisi” né all’esercizio di funzioni di “custodia”, dall’elevatissimo tenore politico e dalla connotazione “autoritaria” altrettanto evidente; di quei poteri, cioè, che legittimerebbero la emanazione di atti aventi come precipua finalità non già (e non solo) la rappresentanza della unità nazionale, bensì – secondo il lessico schmittiano – la difesa della “unità del popolo come totalità politica”. La non estensibilità e la non coerenza delle teorie in discorso rispetto al contesto emergenziale italiano va poi ribadita laddove si prenda in esame il modo di rappresentarsi della “neutralità” presidenziale alla luce degli atti posti in essere dal Presidente Napolitano e della centralità ed essenzialità del ruolo progressivamente assunto da quest’ultimo. Seppure non possa revocarsi in dubbio la sostantiva espansione dell’azione compositiva esercitata dal Capo dello Stato, specie nell’ultimo biennio, in particolare avendo riguardo alle vicende che hanno contrassegnato la formazione dei Governi Monti e Letta, non è dato rinvenire, in detta azione, non solo elementi che facciano presumere un vulnus vero e proprio nei confronti dei principi costituzionali che configurano e disciplinano la funzione presidenziale, ma neppure interferenze così espanse ed incisive da consentire la qualificazione del modus operandi in discorso alla stregua della cosiddetta deriva presidenzialista. Ciò in quanto si ritiene che di “deriva presidenzialista” – intesa quest’ultima in termini propri e non atecnici – si possa parlare solo in presenza di quelle gravissime intrusioni da parte del Capo dello Stato – quali quelle che hanno connotato l’evoluzione dei poteri presidenziali nel corso della stagione weimariana – che presuppongono, appunto, la autoassunzione di funzioni “salvifiche” e la “autoritaria” coartazione della volontà manifestata degli organi titolari del potere d’indirizzo politico e delle scelte da questi ultimi operate; e ciò, se non proprio attraverso atti che configurino l’attentato alla Costituzione, quanto meno per il tramite di una contrapposizione così netta ed esasperata da determinare il rischio di incisione del circuito democratico-rappresentativo. Gli atti posti in essere dal Presidente Napolitano non paiono affatto indurre una tale patologia, dal momentoche è il circuito democratico stesso che richiede – e, talvolta, “implora” (si veda, per tutti, l’episodio della rielezione di Napolitano) – il comportamento intromissivo del Capo dello Stato; e ciò, essenzialmente, a causa della situazione di “vuoto” che connota ormai stabilmente lo scenario politico-istituzionale italiano. Si ritiene, dunque, che l’elemento caratterizzante che varrebbe a determinare l’avvento della cennata “deriva presidenzialista” sia, essenzialmente, la volontà del Capo dello Stato, non solo espressa ma attuata per il tramite di atti e comportamenti fattuali, di operare una incisione e trasformazione delle più essenziali caratterizzazioni della funzione presidenziale per come configurata all’interno del sistema parlamentare quale quello attualmente vigente in Italia.

The notion of “neutral power” is far to be stable and unambiguous, as is well known. Next to the depiction of Head of State’s powers as not divisible and conditioned by pressures and decisions taken by the holders of political power, there are those who claim that the President of the Republic can “interfere” with government matters, in particular through direct and penetrating courses of action whose aims may differ from those pursued by the government. This aspect would seem to be most evident in emergency institutional fields and would seem to legitimise using an autonomous and “authoritarian” approach to resolve problems that may arise in exceptional cases.

In such cases, the President of the Republic is empowered to take decisions that are not necessarily supported by the unanimous will of the traditional political bodies, but which make it possible to issue rulings which stand out for their political content. In this sense, the acts in question would be diversifiable even by those that would be linked to the pursuit of “political-constitutional” aims (according to Paolo Barile’s reconstruction).

In exceptional cases as mentioned above, issuing such stricto sensu political acts displays its matrix in the reconstruction of Carl Schmitt’s “neutral power”, viewed not as a “mediating and regulating power” but as “pouvoir préservateur” (power to preserve) along the lines of what Benjamin Constant had described. In this regard, it is clear that Schmitt’s criticism is aimed at the “concept of neutral legality, lacking valuation and content”. Such premises are also the basis for Carlo Esposito’s observations – in terms that are practically similar – concerning the President of the Republic as the “protector of the State in times of crisis”.

The present paper intends to illustrate the reasons for which nor Esposito’s theory mentioned above nor Schmitt’s one of the President of the Republic as “guardian of the Constitution” are applicable (in spite of the political and institutional crisis in which Italy is floundering at the moment, and notwithstanding the ambiguous nature of the concept of “presidential neutrality” in parliamentary systems). This is because the Italian Constitution makes no formal mention of “powers of crisis” nor of the Head of State as “guardian” whose “authoritarian” connotation is evident. In other words, powers that would legitimise issuing acts whose aims would be not merely (and not only) to represent national unity, but rather – according to Schmitt’s view – to defend the “people’s unity as a political entity” are not allowed. The fact that these theories cannot be applied and cannot be extended to the emerging Italian context should be borne in mind when examining the way of representing presidential “neutrality” nowadays, in other words in the light of President Giorgio Napolitano’s behaviour and of the centrality and focus that he has built up for his position.

There can be no doubt about the significant expansion of the overall powers exercised by the Head of State over the last two years, especially regarding the formation of the governments headed first by Mario Monti and then by Enrico Letta. However, such actions do not seem to display a real vulnus against the constitutional principles that determine and govern presidential powers; neither do they seem to display wide-ranging interferences that would define them as part of the trend towards increasing presidential powers (so called “deriva presidenzialista”). There is no doubt, in fact, that the risk of “extreme presidential powers” – in its real technical sense – only arises when there are “severe intrusions” of the Head of State (such as those involved in the evolution of presidential powers during the Weimar period) and when this elects himself as a “saviour” of the nation, by vesting himself with the authority to contradict the decisions taken by the legitimate political bodies (Parliament and Government). Therefore President Napolitano’s latest actions do not take the form of a formal breach of the Constitution neither do lead to the risk of an interruption of the process of representative democracy.

The decisions and actions taken by President Napolitano in no way fall into this category for the simple reason that the democratic process itself requires – and sometimes “implores” (on this count, see the re-election of Napolitano) the involvement of the Head of State; and this is basically due to the situation of “vacuum” constantly present in Italy’s political and institutional scenario. Therefore, the main reason of the abnormal increasing of presidential powers is due to an essential factor that is the Head of State’s determination demonstrated by deeds and actions to alter the presidential powers as configured in the parliamentary system currently in force in Italy.

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