La guerra in Ucraina e il costituzionalismo democratico

già Professore ordinario di Diritto pubblico comparato Università degli Studi di Perugia

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La guerra in Ucraina pone vari interrogativi al costituzionalismo democratico. Ovviamente è innegabile la gravità di quanto è avvenuto con l’intervento militare della Russia sul territorio ucraino. Tuttavia non è la prima volta, come la narrazione generale tende a far credere, che viene violata con la forza l’integrità territoriale di uno Stato europeo. Va ricordato in particolare il bombardamento della NATO, con ampia utilizzazione delle basi collocate in Italia, effettuato nel 1999 per 72 giorni su Belgrado a sostegno della indipendenza del Kosovo, che costituiva una indubbia ingerenza interna nei confronti della Serbia nel quadro di uno scontro militare tra esercito e indipendentisti. L’aggravante oggi è rappresentata dall’ingresso diretto dell’esercito russo sul territorio dell’intera Ucraina, con le conseguenze drammatiche che determina in termini di distruzione di strutture essenziali, di morti e di condizioni disumane che colpiscono la popolazione civile. Si tratta di un intervento che viola apertamente la Carta delle Nazioni Unite e il Patto di Helsinki e quindi deve essere condannato senza alcuna equidistanza tra le parti belligeranti. Così come va condannata qualsiasi guerra che in base all’art. 11 Cost. non abbia una dimensione puramente difensiva contro un’aggressione esterna. Ciò detto, tre sono le questioni fondamentali che ci interrogano.
La prima è la salvaguardia della libertà di critica all’interno di uno Stato democratico, che viene messa in discussione da reazioni intolleranti e da accuse infondate di putinismo contro chiunque esprime dubbi e riserve sul comportamento degli Stati Uniti e della Nato. Si pone quindi la necessità di rivendicare il diritto di esprime opinioni dissonanti rispetto al clima da union sacrée che è stato diffuso. Ciò vale in particolare per chi esprime dubbi tutt’altro che infondati sulla responsabilità degli Stati Uniti e della Nato nel perseguimento di una strategia di accerchiamento militare della Russia, senza porsi il problema di una neutralizzazione dell’Ucraina e senza che sia stata data alcuna garanzia alle istanze autonomistiche interne al paese, situazione che ha determinato nel Donbass una prolungata guerra interna non dichiarata, che tra il 2014 e il febbraio 2022 ha causato più di 14.000 morti e più di 20.000 feriti. Ciò non significa affatto giustificare l’intervento della Russia, ma prendere atto che l’atteggiamento degli Stati Uniti e della Nato ha fornito un alibi a Putin per arrivare all’intervento. Quindi desta una forte preoccupazione e va condannata ogni isteria antirussa, come quelle che si sono verificate con l’allontanamento dalla Scala di Milano di un importante musicista russo, con la sospensione del corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano, con la censura espressa dai vertici della LUISS per le opinioni espresse pubblicamente dal professor Alessandro Orsini. Non meno condannabili sono gli attacchi ai pacifisti che scendono in piazza per dire no alla guerra e non chiedono armi per l’Ucraina, pretesa veramente incredibile per chi è pacifista. Ci manca solo che siano condannati e accusati di putinismo i pacifisti russi duramente repressi che non chiedono armi per l’Ucraina ma la fine della guerra e della propaganda di regime. Infine è stata accusata di putinismo l’ANPI dai soliti anti-antifascisti in servizio permanente effettivo che sono stati silenti di fronte alla devastazione della sede nazionale della CGIL, ma non tollerano critiche alla politica di Stati Uniti e Nato